Il Festival di Maja, niente capricci o rivoluzioni
In alto a sinistra sull’home page del Locarno Film Festival ci sono già le date della prossima edizione, la numero 77, accompagnate dall’indicazione di un anno nuovo e fiammante, a cui molti di noi ancora non pensano: il 2024. Così lontano, così vicino. Ma il Festival, come sempre, è già nel futuro.
E da mercoledì scorso lo è ancora di più. Salutato tra gli onori (che gli spettano) Marco Solari, Maja Hoffmann è stata confermata ufficialmente presidente della manifestazione e l’assemblea straordinaria ha eletto i nuovi membri del Consiglio di amministrazione, cinque e non sette, su proposta della stessa Hoffmann. Questo è già un primo segnale non piccolo. A luglio il CdA era stato ridotto da 27 a 7 membri, numero che resta ancora valido per eventuali allargamenti, ma la partenza si farà con un gruppo ancora più piccolo. Questo significa fin da subito agilità e dinamismo, con poche persone molto rappresentative che riferiscono direttamente alla presidente, la quale si rivelerà forse più decisionista di quanto si pensa (o si teme). Esperienze e carattere non le mancano. Certo, in un Ticino abituato molto alla collegialità e ai tempi talora lunghi, questo «dimagrimento» significa che già dalla prossima edizione il Festival avrà un «profilo Hoffmann» ben riconoscibile, al netto dei contenuti artistici.
La caratura dei membri del CdA - oltre alla presidente, Luigi Pedrazzini, vicepresidente, Nadia Dresti, Jean Philippe Rochat, Alain Scherrer - è comunque garanzia che l’ampio spettro delle esigenze territoriali della kermesse sia riconosciuto e sostenuto. Ci saranno anche due organi consultivi a dare una mano, uno politico e l’altro legato all’industria cinematografica. Si tratta certamente di una struttura che testimonia la volontà da un lato di mantenere il territorio al centro della manifestazione e dall’altro di continuare a dialogare con le istituzioni e la politica, che hanno sempre dimostrato la loro vicinanza alla rassegna e che in futuro dovranno saper sostenerla ancora di più, per favorire ogni tipo di ricaduta positiva sul cantone.
Ma è inutile ignorare l’elefante nella stanza: ci sarà anche un ragguardevole salto verso l’internazionalità. Le parole pronunciate dalla Hoffmann alla conferenza stampa di mercoledì sono state inequivocabili: «Se cercavate una figura che guardasse solo al Ticino, non sono la persona giusta per voi». Tono secco, significati chiari. La Hoffmann è una natura cosmopolita, nell’ambito della cultura e dell’arte ne ha viste e fatte tante, e non lo vuole nascondere. Già il primo approccio della mecenate basilese con la piazza ticinese, in occasione della sua designazione come presidente, non era apparso accondiscendente, e mercoledì il tiro è stato aggiustato solo di poco. Una parte del Ticino dovrà fare l’abitudine a questo suo atteggiamento, che può rivelarsi anche molto vantaggioso. Se poi è solo una questione di forma, lo vedremo col tempo. La sostanza, invece, ci è parsa trasparire dalle tre parole d’ordine della nuova conduzione del Locarno Film Festival: «Continuità, apertura, indipendenza».
Non poteva che essere così. Negli ultimi vent’anni, sotto l’egida di Marco Solari, il Festival è cresciuto esponenzialmente fino a diventare uno dei dieci più importanti d’Europa. Prendere un’eredità di tale portata e stravolgerla, sarebbe stato non solo un affronto al proprio predecessore, ma anche a tutto il Ticino, che ha accompagnato con passione e dedizione la kermesse. E non solo: sarebbe stato anche un azzardo fuori da ogni logica.
Quello che alcuni commentatori temevano, una forte e immediata «globalizzazione» del festival, avrà sì luogo, ma senza forzare i tempi. Bastava guardare al curriculum della presidente - che con la Fondazione LUMA ad Arles ha saputo legare l’architettura avveniristica di Frank Gehry a Vincent van Gogh, che nella cittadina dipinse molti suoi capolavori - per capire che non avrebbe dissociato il Festival dalla storia del territorio che lo ospita. Mercoledì abbiamo capito che anche a Locarno, Maja Hoffmann preferirà operare in profondità, piuttosto che in orizzontale. Valorizzare, piuttosto che ripartire da zero. Non ci sarà nessuna rivoluzione copernicana o capricci da star del mecenatismo globale. Quella proposta dalla Hoffmann è una continuità arricchita da obiettivi inediti per il Ticino. Ed è giusto che sia così.