Il malessere della giustizia si trascina da troppo tempo
Se una prima considerazione può essere fatta su quanto accaduto al Tribunale penale è che le lezioni precedenti non sono servite a nulla. La denuncia penale dei giudici Siro Quadri e Francesca Verda Chiocchetti nei confronti del presidente Mauro Ermani, e dei giudici Amos Pagnamenta e Marco Villa, è l’ennesimo segnale di un malessere che il sistema giudiziario nel suo complesso si trascina da tempo. Il primo allarme era scattato quattro anni fa, quando ci fu il famoso scontro fra Ermani e il procuratore generale Andrea Pagani. Allora le tensioni si erano accese dopo un sms, «non richiesto» chiarì Pagani, da parte di Ermani su una candidata alla Procura. Il presidente del Tribunale si affrettò a spiegare che si trattava di una frase ironica, ma attorno a questo caso si innestò anche il giudizio negativo su cinque procuratori, bocciati dal Consiglio della magistratura e sul fatto che i giudici spesso in aula, Ermani per primo, esprimevano giudizi severi sul lavoro dei procuratori. Non cambiò nulla e chi è bene informato racconta che quella ferita non si è mai del tutto rimarginata.
A marzo, poi, un altro campanello d’allarme. Con l’elezione di due nuovi procuratori, Alvaro Camponovo indicato dalla Lega e Luca Losa di area socialista. In questo caso dieci ex procuratori scrissero all’allora presidente del Gran Consiglio Nadia Ghisolfi sollecitando il Parlamento a rivedere le regole di selezione. In pratica a individuare nuovi criteri «per affrontare efficacemente gli oneri che questa carica comporta». Lo scontro era scattato dopo che la granconsigliera e vice presidente della Commissione giustizia e diritti Sabrina Aldi, leghista, aveva proposto come unico candidato Camponovo. Cioè il figlio dell’allora suo diretto superiore nella società in cui era direttrice, la Hospita Suisse Anesthesia Care (Aldi aveva sostituito Eolo Alberti entrato nel CdA dell’Eoc). Un conflitto d’interesse palese, sottolineato da più parti, ma che poi alla fine non portò a nulla. E anche stavolta la politica, l’intera classe politica, perse l’occasione per rivedere i criteri di elezione dei magistrati.
Ora siamo punto e a capo. Il clima teso al Tribunale penale cantonale può essere tuttavia un’occasione per riprendere in mano il dossier giustizia, analizzare i gravi problemi emersi in questi anni, confrontarsi, mettere sul tavolo le diverse proposte e trovare rapidamente i correttivi (senza dimenticare i problemi di personale, la digitalizzazione, l’eccesso di lavoro) che portino un po’ di serenità nel Palazzo di giustizia.
Riusciranno - salvaguardando il sacrosanto principio della separazione dei poteri - i partiti a mettere da parte l’occasione di spartirsi il potere e salire periodicamente sulla giostra delle nomine dei magistrati, per un bene superiore? I dubbi restano. E tuttavia non c’è tempo da perdere, quanto accaduto in questi anni, al di là dello scontro politico innescato, ha messo in seria discussione la dignità morale, la trasparenza, i principi etici, l’autorevolezza e la credibilità del sistema giudiziario. E questo perché non sono stati risolti alla radice i dissidi frutto evidentemente di quel malessere che non è stato colto nella sua gravità. La classe politica ora ha l’occasione per dimostrare di saper gestire una situazione che ha superato il limite e procedere verso una profonda riforma. Senza più alibi.