Il mistero degli anelli di corallo
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L’auditorium dell’Istituto Oceanografico di Monaco è gremito di persone. Tutti si alzano per accogliere il biologo marino francese Laurent Ballesta, accompagnato dal Principe Alberto II e seguito dai suoi aquanauti. È la serata di anteprima di un film prodotto da ARTE davvero affascinante, come tutti i documentari dell’esploratore subacqueo e vincitore di diverse edizioni di «Wildlife Photographer of the year», che sta per essere diffuso dal canale televisivo. Dopo la Polinesia e l’Antartide, con la missione Gombessa VI di Andromede Oceanologie, Ballesta porta gli spettatori alla scoperta del mondo misterioso degli abissi che vive sotto la superficie delle nostre coste del Mediterraneo, immergendosi in prodondità oltre i 100 metri. Ha rivelato e fotografato gli ecosistemi dei fondali della Costa Azzurra e dei vulcani sottomarini della Sicilia, e ora, dopo tre anni di spedizioni, sostenute dalla Marina Nazionale Francese e dall’Acquario di Monaco, ha risolto l’enigma degli anelli coralligeni al largo di Capo Corso.
Un mistero scientifico
Dalla forma perfettamente circolare, con un diametro di 30 metri e un nucleo di gorgonie al centro, questi cerchi si estendono a intervalli regolari su chilometri quadrati di fondale a -120 metri di profondità. Erano stati avvistati per la prima volta da un drone subacqueo che ispezionava il parco marino nel 2014, ma per comprenderne l’origine bisognava andare a prelevare dei campioni di materiale chimico e biologico da sottoporre all’esame degli scienziati. Con le competenze acquisite durante la spedizione del 2021 lungo la Costa Azzurra, nel corso dell’esperimento di immersioni profonde di quattro aquanauti che per 28 giorni hanno vissuto dentro una stazione batiale pressurizzata in saturazione, Laurent Ballesta ripete l’operazione in Corsica. Attratto da quel «mistero scientifico di migliaia di costruzioni geometriche identiche, che alla prima sensazione appaiono aliene, come se le formazioni naturali sembrassero artificiali» Laurent Ballesta lo definisce «un fenomeno unico al mondo». Dopo un primo sopralluogo in batiscafo si rende conto che la vista dall’alto non è sufficiente. Decide allora di lanciarsi in una nuova avventura per osservare da vicino questi strani cerchi e collabora con 40 chimici e geofisici internazionali. Ha dovuto infine interpellare un paleoclimatologo perché l’odissea sottomarina si era trasformata in un viaggio attraverso le ere geologiche.
La voce di Paperino
Il filmmaker italiano Roberto Rinaldi, che nel progetto in Costa Azzurra scendeva a quelle quote pazzesche e risaliva ogni giorno per fotografare il lavoro degli aquanauti, in Corsica ha fatto parte del team di esploratori. Ci racconta il lavoro e la vita in quella che lui chiama «la pentola a pressione». I subacquei hanno condiviso per 21 giorni i 5 metri quadrati di spazio del batiscafo pressurizzato, collegato alla nave madre da un ascensore che lo ripescava ogni giorno a lavoro terminato. Non potevano uscirne, ma nel tempo di riposo il batiscafo sostava sul ponte della nave, dove venivano serviti anche i pasti. Come passatempo, oltre ai libri avevano persino un calcetto, ma non parlavano perché, respirando una miscela di elio, la cosiddetta «voce di Paperino» causata da questo gas era talmente acuta da risultare incomprensibile.
«Tropici al rovescio»
Rinaldi è entusiasta dell’esperienza vissuta. A differenza dei compagni francesi non ha sofferto l’impatto aggressivo del freddo degli abissi. «Ero talmente felice! È stato come compiere un viaggio nel passato del Mediterraneo, in un mare di ventimila anni fa! I reef coralligeni fossilizzati risalgono all’epoca della glaciazione, con la scoperta di fauna e flora nuove sconosciute» rivela. «Un mondo coralligeno rovesciato rispetto ai Tropici» aggiunge. «La vita sottomarina qui è più colorata in profondità, mentre nei mari tropicali lo è in superficie. Verso i -70-80 metri i fondali sono ricchi di gorgonie e laminarie, nella fossa di -120 metri abbiamo visto anche gorgonie bianche rare». L’immersione in saturazione produce poi un’alterazione della percezione spazio-tempo. «Navigando sugli scooter si rischia di perdere l’orientamento perché il GPS non funziona e quindi occorre tanto coraggio e competenza» dice Rinaldi, che non nasconde l’alto tasso di adrenalina della missione. Laurent Ballesta, il «Signore degli Anelli», è sempre spinto da nuove sfide, convinto che siano un motore di ricerca e conoscenza, e di conseguenza di «progetti di conservazione e protezione rafforzata», come il divieto di ancoraggio nel Parco Marino di Capo Corso e dell’ Agriata. «Quando si comprende meglio, si protegge meglio». Questa è la filosofia che ispirerà il pubblico quando a breve uscirà il film «Il mistero degli anelli di Capo Corso».