L'allerta

Il nuovo volto del terrore jihadista

Europol ed esperti svelano l'identikit dell'attentatore tipo, e le nuove strategie di attacco in Europa
(KEYSTONE/DPA/Peter Gercke)
Andrea Bertagni
Andrea Bertagni
19.01.2025 15:30

Il 15enne svizzero di origine tunisina che il 2 marzo 2024 ha ferito con un coltello a Zurigo un ebreo ortodosso rivendicando l’attacco a nome dello Stato islamico (IS) risponde quasi in toto all’identikit che le forze dell’ordine dei Paesi occidentali, come l’Agenzia dell’Unione europea per la cooperazione nell’attività di contrasto (meglio conosciuta come Europol), e gli Istituti di analisi, ricerca e prevenzione del terrorismo stanno tracciando per individuare e prevenire, appunto, azioni terroristiche jihadiste in Europa, Svizzera compresa. «Il terrorismo jihadista è una preoccupazione fondamentale per la sicurezza dell’Unione europea (UE)», scrive nel suo ultimo rapporto sulla situazione e sulle tendenze del terrorismo in Europa, Europol. Tanto più che nel 2023 questi «attacchi terroristici jihadisti sono stati i più letali, con sei vittime e dodici feriti», si continua.

Tutto questo «in un contesto globale e regionale già vulnerabile, dove l’attacco terroristico di Hamas contro Israele dell’ottobre 2023 e la risposta militare israeliana a Gaza hanno portato a un aumento delle tensioni sociali e a un incremento della retorica antisemita e antimusulmana». Circostanze «polarizzanti - prosegue Europol - che sono state sfruttate da gruppi terroristici in tutto lo spettro ideologico per reclutare nuovi seguaci, diffondere propaganda e ispirare gli attacchi di attori solitari».

Uomo, età media 26 anni, appartenente ad alcuni gruppi nazional ed etnici specifici (come marocchini e algerini) e spesso immigrato di prima, seconda o terza generazione. È questo l’identikit del terrorista jihadista europeo su cui appunto si sono accesi i fari delle varie agenzie di intellingence tracciato dall’Osservatorio sul radicalismo e il contrasto al terrorismo in Europa, che ha sede a Lugano, sulla base di raccolte dati, osservazioni e analisi degli attentati jihadisti fino a oggi compiuti.

«Guardando agli ultimi cinque anni, da un punto di vista quantitativo l’incidenza degli attacchi terroristici di matrice jihadista si presenta lineare, con una percettibile diminuzione registrata negli ultimi anni, attestandosi ai livelli pre-fenomeno Isis/Stato islamico - scrive il direttore dell’Osservatorio, Claudio Bertolotti nell’ultima edizione delle rivista dell’Istituto -. Dal 2019 al 2024 sono stati registrati nell’Unione Europea, nel Regno Unito e in Svizzera 92 attacchi (12 sia nel 2023 che nel 2024 - dati al 30 settembre 2024), di successo e fallimentari: 99 quelli rilevati nel precedente periodo 2014-2018 (12 nel 2015)». Andando un po’ più indietro nel tempo, e cioè partendo dal 2014, rileva Bertolotti, sulla scia dei grandi eventi terroristici in Europa nel nome del gruppo Stato islamico, e successivamente in verosimile relazione con gli elementi galvanizzanti conseguenti alla presa del potere talebano in Afghanistan e all’appello del gruppo Hamas, sono stati registrate 206 azioni in nome del jihad, delle quali 70 esplicitamente rivendicate dallo Stato islamico: 249 i terroristi che vi hanno preso parte (di cui 7 donne, 73 morti in azione), 446 le vittime decedute e 2.558 i feriti.

L’avvento dei baby terroristi

Se a portare a termine attacchi e attentati sono ancora in gran parte uomini poco al di sotto dei 30 anni, la radicalizzazione online fa presa sui giovanissimi in maniera inedita, rappresentando una sfida tutt’altro che facile per chi opera nella prevenzione e nel contrasto. A sottolinearlo è Chiara Sulmoni che sull’ultimo numero della rivista dell’Osservatorio si concentra proprio su questa seria preoccupazione riguardo il coinvolgimento di teenagers e minorenni in reati legati al terrorismo e attività estremiste accaduti fra il 2023 e il 2024 in vari Paesi europei. «Nel corso del 2024 - scrive Sulmoni - analisti e media hanno talvoltafatto riferimento all’espressione «TikTok-jihad» o «terrorismo TikTok» per definire il contesto nel quale avviene l’avvicinamento dei teenager all’estremismo; social, piattaforme di gioco e chat criptate finiscono spesso sul banco degli imputati e vengono considerati oggi strumenti principali di radicalizzazione».

Sempre più attacchi con coltello

Gli ultimi due anni, secondo Bertolotti, hanno inoltre confermato un trend ormai consolidato nell’evoluzione del fenomeno, con una sostanzialmente esclusiva predominanza di azioni individuali, non organizzate, in genere improvvisate, che hanno progressivamente sostituito le azioni strutturate e coordinate caratterizzanti il «campo di battaglia» urbano europeo del periodo 2015-2017. A prevalere in particolare, come nel caso di Zurigo dello scorso marzo, ma anche altrove, come a Rotterdam in Olanda, quando lo scorso settempre un cittadino svizzero di 33 anni è stato gravemente ferito da un uomo che secondo testimoni avrebbe urlato «Allah Akbar» durante l’attacco, è l’uso di coltelli e questo - annota Bertolotti - per una serie di ragioni pratiche, ideologiche e strategiche.

«I coltelli sono facilmente reperibili e non richiedono competenze tecniche avanzate per essere utilizzati. A differenza delle armi da fuoco o degli esplosivi, che possono richiedere una certa logistica o competenze tecniche, i coltelli sono comuni in ogni casa o negozio». Seconda ragione: «un coltello può essere portato facilmente senza destare sospetti, a differenza di altre armi più vistose o pericolose. Questo consente di avvicinarsi alle vittime o ai luoghi di attacco senza essere notati immediatamente». Terza motivazione, «gli attacchi con coltelli, spesso condotti in spazi pubblici o affollati, hanno un forte impatto psicologico sulla popolazione. La natura ravvicinata e brutale di un attacco con un’arma da taglio amplifica la paura tra i presenti e nei media, creando un forte effetto simbolico».

Diminuisce il successo strategico

Nonostante il clamore, lo sgomento e la rabbia che ogni attentato terroristico porta con sé il successo strategico delle azioni è in diminuzione, rileva Bertolotti. «Diminuisce - passando dal 16% al 13% - il successo strategico delle azioni terroristiche, ossia l’ottenimento di risultati impattanti sul piano strutturale: blocco del traffico aereo/ferroviario nazionale e/o internazionale, mobilitazione delle forze armate, interventi legislativi di ampia portata». Anche se l’andamento nel corso degli anni è stato discontinuo, prosegue l’analista, ha comunque messo in evidenza una progressiva riduzione complessiva in termini di capacità ed efficacia: dal 2022 il successo strategico non viene più ottenuto dagli attacchi terroristici; di fatto confermando un consolidato processo di normalizzazione del terrorismo. Oltre a ciò anche «il trend dell’attenzione mediatica verso gli attacchi terroristici è in calo. A livello strategico, gli attacchi hanno ricevuto l’attenzione dei media internazionali nel 75% dei casi e il 95% a livello nazionale».

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