Il papà (buono) dei terremoti
Nessun dissesto, nessun crollo. Ma cavi, sensori e transistor. E ovviamente lei, la roccia. Che è dappertutto. E che qui, a un chilometro e mezzo sotto il Pizzo Rotondo in valle Bedretto, viene sbriciolata poco alla volta. Costantemente. E con metodo. Per ricreare i terremoti. Terremoti artificiali indotti dall’uomo, anzi da un uomo in particolare che, casco in testa e tuta arancione infilata addosso, cammina sciolto nel cunicolo che quattro anni fa è stato aperto dal Politecnico di Zurigo (ETH) per andare a fondo nella ricerca del comportamento dei sismi. Crearli da zero per studiarli. Per sapere il più possibile di loro. È questo lo scopo del Bedretto Lab, un luogo unico al mondo. Non solo per l’obiettivo. Ma nel vero senso della parola.
Perché non esiste sul globo un altro posto come questo. «Solo negli Stati Uniti, nel Sud Dakota, c’è un’area simile, ma si trova in un’ex miniera d’oro e per scendere nelle profondità della Terra bisogna prendere degli ascensori. Qui invece si va dritti», precisa l’uomo dei terremoti, alias Domenico Giardini, fisico teorico 67enne, professore al Politecnico di Zurigo, direttore scientifico del Bedretto Lab e un curriculum lungo così. Un vero luminare in materia. Tanto che per sette anni ha diretto la Commissione nazionale italiana per la previsione e la prevenzione dei grandi rischi. Quella stessa Commissione che oggi sta monitorando la situazione ai Campi Flegrei nel Napoletano scossi il 20 maggio da un sisma di magnitudo 4.4. E che quando c’era Giardini si è occupata anche degli sciami sismici in Emilia (dove nel 2012 si registrò una scossa principale di magnitudo 5.9 con epicentro a circa 30 chilometri a ovest di Ferrara che causò 7 vittime) e nell’Appennino centrale (che nel 2016 fece circa trecento vittime e sconvolse decine di località in quattro regioni italiane).
«Dopo il sisma dell’agosto 2016 ad Amatrice siamo riusciti a convincere le autorità a evacuare tutta la zona anche se in un primo tempo erano state restie ad ascoltare le nostre posizioni - ricorda - due mesi dopo, nell’ottobre 2016, è arrivato puntualmente un altro terremoto, ma per fortuna ci hanno ascoltato e non è successo nulla».
«Ai Campi Flegrei si dovrà evacuare se...»
Giardini cammina nel semi buio della galleria. Per terra ci sono ogni tanto ancora i vecchi binari della ferrovia della Furka. Che c’è davvero. Ma solo dall’altro lato della montagna. Perché questo tunnel è stato scavato tra il 1971 e il 1982 proprio per la costruzione della galleria e poi abbandonato, in quanto utile solo per portare via il materiale di scavo. Più o meno a metà galleria l’umidità e la temperatura diventano costanti. Mister Terremoto si ferma davanti a un punto della roccia dove il granito e lo gneis si toccano. Sembra davvero di sentire il peso della montagna con i suoi 1.500 metri di altezza. Che premono. Schiacciano. Deformano. Perché lo gneis e il granito sono schiacciati tra loro, come (s)premuti in combinazioni quasi artistiche di colori e forme.
«Se nell’area dei Campi Flegrei la magnitudo salirà a 5 la protezione civile dovrà iniziare a evacuare tutti gli ospedali e chiudere le scuole», dice. Per poi aggiungere. «Questo se si concretizzerà lo scenario sismico che è completamente diverso da quello di un’eruzione. Al momento il sottosuolo si sta alzando di 2 centimetri al mese, ma quando c’è un’eruzione il sollevamento diventa molto molto maggiore, in pochi giorni si alza di metri. Oggi siamo molto lontani da questo scenario, anche se… anche se nessuno può dire se e quando il vulcano esploderà…».
Il segreto dell’acqua
L’uomo che sussurra ai terremoti, anzi, che li crea in laboratorio come un moderno dottor Frankenstein, punta la pila su un altro punto della parete di roccia. «Questo è un pozzo di iniezione», spiega. È uno dei primi che si incontra lungo la strada. Il primo di tanti. Anzi, tantissimi. Perché è in questi buchi lunghi dai 40 ai 400 metri che viene iniettata l’acqua nelle faglie, le fratture nelle rocce responsabili dei terremoti. Acqua ad altissima pressione. Perché è proprio l’acqua con la sua pressione a permettere alle faglie di muoversi più agilmente e scatenare così per induzione terremoti creati ad arte. «L’acqua che mettiamo nelle faglie contrasta la pressione della roccia, le rende più leggere e quindi più movibili», precisa lo scienziato.
Un’operazione in apparenza semplice. Ma solo in apparenza. Perché quando si creano da zero i sismi tutti devono uscire dal tunnel e ogni comando viene impartito da remoto, direttamente da Zurigo. «Tutto merito della geologia moderna!», commenta soddisfatto il professore. Che a 67 anni non ha nessuna intenzione di farsi da parte. «Voglio continuare almeno fino ai 70 anni e poi c’è da portare avanti il laboratorio…».
Provocati decine di migliaia di sismi
Contare tutte le faglie che ci sono qua sotto è impossibile ma gli scienziati del Politecnico di Zurigo lo hanno fatto lo stesso. Hanno classificato quelle inclinate in un certo modo, quelle che, detto altrimenti, si muovono. E poi le hanno attivate. «In quattro anni abbiamo provocato decine di migliaia di piccoli terremoti», sottolinea Giardini, ancora soddisfatto. Certo, tutto è avvenuto in scala. Come in un laboratorio. Il Bedretto Lab, appunto. E all’inizio non era scontato che funzionasse. «Ma ha funzionato e sta andando tutto molto bene», continua il fisico teorico. Tanta felicità è presto spiegata. «Nessuno al mondo è in grado di gestire i terremoti come stiamo facendo noi qua in Ticino». Gestire non significa infatti solo provocarli, ma anche scoprire come prevederli e forse anche fermarli. Fantascienzaa? Chissà...
Per il momento qua sotto, qua dove l’uomo si sostituisce quasi alla natura, ogni scossa è tenuta sotto controllo, studiata. Perché nelle faglie non viene solo distribuita acqua ad alta pressione ma anche una marea di sistemi di rilevamento. Che tengono sott’occhio la scossa come in nessuna parte al mondo. Cavi, sensori e transistor, appunto.
Prossima tappa, la magnitudo 1
Giardini arriva nel primo dei due laboratori ricavati dentro alla galleria. Le pareti sono illuminate a giorno. Non si contano i cavi elettrici ed elettronici. Così come molte sono anche le attrezzature idrauliche, gli schermi, i rilevatori e i sismografi, gli strumenti usati per misurare i terremoti. Questi ultimi sono un paio di centinaia e sono dappertutto. Anche in superficie. Sulla cresta del Pizzo Rotondo.
Questa volta lo sguardo dello scienziato si fa serio. «Voglio tenere tutto sotto controllo. Ogni movimento. Nulla deve sfuggirci». Maneggiare i terremoti non è infatti uno scherzo anche se qui sotto sembra all’ordine del giorno. Quasi routine. «Il prossimo ottobre proveremo per la prima volta a provocare un terremoto di magnitudo 1», si lascia sfuggire il professore. Anche in questo caso con soddisfazione. Perché fino a oggi gli scienziati non si sono ancora spinti a tanto. Ma hanno lavorato principalmente con sismi di magnitudo sotto lo zero. Un passo alla volta. Fino a quello successivo. È questo il metodo scelto qua sotto. Un metodo che fino a oggi si sta rivelando vincente e che in futuro potrebbe regalare altri scossoni, questa volta positivi. Non solo al mondo della scienza, ma a tutta l’umanità.