Gli artisti

Il Pianeta dell'arte

Una rassegna per riflettere sui cambiamenti climatici: le testimonianze dei protagonisti e il senso delle opere presentate nella rassegna a Lugano
©Gabriele Putzu
Red. La Domenica
16.02.2025 08:30

Laura Viale: «Dalle grotte faccio affiorare le mie emozioni»

Il progetto Inframondo, nato in coincidenza con alcuni esami endoscopici che ho effettuato nel 2012, comprende diverse serie di disegni à frottage realizzati in grotte e cavità naturali, punti di contatto tra interno e esterno del pianeta. I disegni prendono forma appoggiando sulle pareti rocciose della carta millimetrata, passando una barra di grafite su forme e asperità. Questa mia pratica, che Piero Gilardi definì come «un’esperienza di estroversione attraverso l’ibridazione con la natura», risponde a una mia necessità, anche fisiologica, di relazione concreta con la materia del mondo. La carta rileva la superficie minerale ma mostra anche qualcosa della sua struttura interna, così come della mia struttura interiore, delle mie emozioni. Inframondo suggerisce un riposizionamento dell’uomo rispetto alla Terra: una dimensione in cui l’incertezza prevale sul controllo, ma offre l’opportunità di punti di vista inattesi. Alla luce del giorno infatti, i disegni si rivelano molto diversi da ciò che s’immagina intravedendo o toccando la roccia. Nel 2019 sono stata invitata a lavorare nella Grotta di Würenlos in Argovia. Qui la visionaria artista, ricercatrice e guaritrice Emma Kunz (1892-1963) scoprì un luogo speciale di energia e vitalità, che frequentò per grande parte della sua vita. I miei lavori inclusi ne Il canto della terra fanno parte della serie di frottage che ho realizzato seguendo il cammino che Kunz usava percorrere lungo le pareti della grotta.


Barthélémy Toguo: «Il fragile valore dell’identità»

Barthélémy Toguo è nato a Mbalmayo in Camerun nel 1967. Tra il 1989 e il 1993 ha studiato arte, prima all’École des Beaux-Arts di Abidjan (Costa d’Avorio), poi a Grenoble (Francia) e infine alla Kunstakademie di Düsseldorf (Germania), dove ha avuto incontri degni di nota con Tony Cragg, Jannis Kounellis e Konrad Klapheck. Sebbene sia rimasto in Europa e abbia ottenuto la cittadinanza francese, Barthélémy Toguo è rimasto profondamente legato al Camerun e vi torna regolarmente. «Non smetto mai di mettere in discussione l’universalità di valori fragili come la pace, l’equità, la fraternità e la libertà. Nel mio lavoro cerco di evidenziare le questioni in gioco di un’identità contemporanea che è ormai globalizzata».


Daniele De Lonti: «Non dimenticare la magia di acqua, fuoco e terra»

La via dell’elisir di vita conosce tre elementi magici fondamentali: l’acqua seminale, il fuoco spirituale e la terra del pensiero. Che cosa è l’acqua seminale? È la vera forza indivisa (eros) dell’antico cielo. Il fuoco spirituale è proprio la luce (logos), mentre la terra del pensiero è il cuore celeste dell’abitazione mediana (intuizione). Si adopera il fuoco spirituale come principio attivo, la terra del pensiero come sostanza, l’acqua seminale come base>>. Tratto da: Il segreto del fiore d’oro, un antico libro di filosofia cinese. Daniele De Lonti guarda a questi tre elementi, mostrando nel suo lavoro i segni del decadimento dell’agire contemporaneo: l’acqua porta sulla terra i residui di una petroliera affondata (Prestige, Finisterre, 2002) lasciando il segno di una ferita purulenta; il fuoco devasta le colline boschive intorno alle città della nostra storia (Atene, 2015) e i ghiacciai alpini si ritirano scoprendo le pareti rocciose e frananti delle nostre montagne (Mer de glace, 2009).

David Nash: «Capire la natura con alberi vivi e alberi morti»

David Nash è nato a Esher, in Inghilterra, nel 1945. Vive e lavora a Blaenau Ffestiniog, nel Galles del Nord, dove, alla fine degli anni ‘60, ha ristrutturato una casa di pastori con cappella e vi ha allestito il suo studio. Molto rapidamente si è rivolto alle sculture in legno, lasciandosi guidare dalla forma suggerita dall’albero. «Lavorando con alberi vivi, piantandoli e nutrendoli, e lavorando con alberi morti, scolpendo e affinando le forme, ho imparato come comportarmi meglio nell’ambiente che condividiamo».

Ernesto Neto: «Siamo complici della distruzione dell’Amazzonia»

Ernesto Neto è un artista brasiliano nato nel 1964 che nel 2022 realizza otto dipinti parte della serie Toneladas e Cifrões. A caverna contemporânea (Tons and Dollars. The Contemporary Cave/Tonnellate e Dollari. La Grotta Contemporanea), tra cui quello esposto in mostra Le monster sapie assèche la terre (The sapiens monster dries the earth/Il mostro sapiens prosciuga la terra). L’artista definisce queste opere come «tele dipinte scolpite» e sono le prime di questa tipologia nella sua ricerca. Combinando pittura a olio e acrilico con polvere di ceramica, legno, acciaio, semi di soia, spago di cotone, pietre, perline di plastica, perline metalliche, pelle, vimini, banconote, ottone e terra, le opere parlano degli eccessi dell’industria commerciale. Criticano esplicitamente la distruzione della natura attraverso lo sfruttamento capitalistico del mondo. La salvaguardia dell’Amazzonia, la foresta pluviale più grande del mondo, è fondamentale per frenare il cambiamento climatico vista la grande quantità di gas serra assorbita dai suoi alberi. Gli sfondi scuri dei dipinti non solo evocano il colore del petrolio, ma anche i lussuosi espositori in velluto nero spesso utilizzati per presentare anelli d’oro ai clienti nel settore della gioielleria, ricordandoci che le fuoriuscite di petrolio e l’estrazione dell’oro sono entrambe disastrose per l’ambiente. Il «mostro» sapiens viene mostrato mentre «prosciuga» la terra dalle sue risorse. Per Neto siamo tutti complici di questo sfruttamento: «Siamo tutti responsabili, con i nostri telefoni, le nostre auto e i nostri computer, ma alcuni guadagnano molto di più, abbastanza per comprare governi e superare ostacoli, sia con denaro, armi, leggi, paternità e false narrazioni, diffondendo miseria e negando il riscaldamento globale». (E. Neto, 2022) - Il suo messaggio finale è semplice: «Abbiamo bisogno che il mondo ricco smetta di comprare legno e oro dall’Amazzonia... è questo il tema dei dipinti». (E. Neto, 2012)


Mirella Bentivoglio, la rivoluzione del riuso

L’attività di Mirella Bentivoglio è sovente incentrata sull’esaltazione della conoscenza nei valori di fertilità (l’incontro con l’uovo-seme), permanenza e libertà della cultura (metafora della pietra filosofale), vitalità del libro. E un contenuto ecologico individuato nel lavoro dell’artista, non esprime forse che tutelare e preservare la natura è un compito che dovrebbe prefiggersi la cultura?  Una cultura che non può dimenticare la natura, anzi che l’artista esprime come natura stessa. Poiché altrimenti non sentirebbe l’albero come libro e viceversa. Ciò si è visto nell’operazione estetica originata dall’oppiello: accogliente le scritture dei passanti, diviene letteralmente Un albero di pagine, un volume che ricalca già nel titolo la particolare esperienza poetica che aveva tramutato la presenza vegetale in un libro aperto a tutti.  Il principio della trasformazione, essenza del pensare alchemico cui la poetica dell’artista spesso rimanda, non è distante da una sensibilità ambientalista, poiché la scelta del prelievo, il riuso di materie già esistenti, coincide con la mentalità del riciclo in risposta allo smaltimento del rifiuto. In una particolare tipologia di libri-oggetto, chiamati Litolattine (titolo derivante dalla fabbrica ligure Litolatta in cui negli anni Trenta vennero confezionati i libri futuristi di latta), Bentivoglio riassume il concetto di trasformazione e reimpiego di materiale preesistente: non più pagine progettate e litografate, come avveniva nelle latte futuriste, ma trovate sulla strada, pressate dalle ruote delle macchine ai bordi dei marciapiedi, così da liberarsi dell’originaria funzione di consumo e redimere la propria condizione di scarto.


Alessandro Piangiamore: «Nei fiori l’idea di bellezza»

Forse è iniziato tutto con un paesaggio montano dipinto ad olio appeso in sala da pranzo: c’era l’abbozzo di un piccolo omino vestito di rosso e bianco e per guardarlo da vicino, salivo con i piedi sopra il divano, suscitando le ire di mia nonna. Oggi penso che l’attrazione per quella piccola e indefinita figura fosse nascosta nel fatto che probabilmente, la sua presenza era utile a far emergere la vastità della natura che la circondava. È indubbio che l’elemento natura ritorni spesso nella mia pratica, non come fine, bensì come mezzo. È un luogo carico di suggestioni visive e immaginative che percepisco, nella sua non controllabilità, come qualcosa di perfetto: i fenomeni naturali, i colori, la conformazione del paesaggio, la temperatura, l’odore, i suoni, le forme, non potrebbero essere diversi da ciò che sono, ciò li rende delle immagini perfette. Si tratta di una qualità che induce nell’uomo un sentimento di arrendevolezza e, al contempo, di sfida. È una totalità seducente, una sorta di limite/orizzonte irraggiungibile al quale possiamo provare ad avvicinarci all’infinito. È in questo sentire che va ricercata la mia propensione verso la natura, più che nella sua forma; la scelta di utilizzarne dei dettagli (un fiore, un paesaggio piuttosto che un corallo), associandolo a degli elementi di fattura umana è funzionale ad enfatizzare una sorta di tensione, marcando il contrasto tra l’incontrollabile e il fattibile. In questo scenario nasce Ieri Ikebana, una serie di sculture basata su un processo di raccolta associato al contingente: fiori di scarto dei mercati o trovati lungo miei percorsi , sono utilizzati per composizioni che, appena completate, vengono annegate nel cemento. La durezza del materiale contrasta con la leggerezza dei fiori, i quali evocano una tradizionale idea di bellezza e fragilità. Quest’esaltazione di un’impronta lasciata da qualcosa di effimero, impregna il lavoro di una caratteristica che oscilla tra una bellezza ancora fresca e vitale e un’eco crepuscolare che gli consente di attraversare l’idea di classicità.


Arcangelo Sassolino: «Ciò che conta sono le azioni»

È sotto gli occhi di tutti e non può più essere negato: la nostra condizione di esseri umani è profondamente segnata dalla crisi climatica e ambientale che ci coinvolge su scala globale. Ogni aspetto della nostra esistenza è interconnesso con questo scenario in costante mutamento, e ignorarlo significa sottrarsi a una responsabilità che ormai non può più essere rimandata. Per me, essere consapevole di questa realtà e farne emergere la complessità attraverso il mio lavoro non è una scelta, ma un dovere. Credo che l’artista sia in qualche modo un «filtro» del nostro tempo e che l’arte non possa più limitarsi a essere un territorio separato dalla realtà, uno spazio di contemplazione distaccata: deve, al contrario, farsi strumento di consapevolezza e azione. Al di là delle dichiarazioni di intenti, degli slogan e delle retoriche, ciò che conta davvero sono le azioni, perché sono queste a dare forma al mondo in cui viviamo. E in questo mondo, io non posso sottrarmi alla mia responsabilità. Ogni gesto artistico è un atto che incide sulla realtà, una traccia che partecipa attivamente alla costruzione di qualcosa di nuovo. Essere artisti oggi significa prendere posizione, agire con consapevolezza, assumersi il peso di ciò che si crea e di come questo dialoga con il presente.

Gianni Caravaggio: «L’umanità è responsabile»

Non si può dire che esiste una Natura senza dire qualcosa di esagerato; (...) C’è dentro di noi un misterioso impulso onnipresente, che da un punto centrale infinitamente profondo si dilata in tutte le direzioni; e se attorno a noi avvertiamo la Natura meravigliosa sensibile e soprasensibile, noi crediamo che quell’impulso sia un’attrazione verso la Natura stessa, un’espressione della nostra simpatia per lei>>. Novalis, Die Lehrlinge zu Sais (1) Quando nell’arte degli ultimi decenni ma anche nella comprensione in generale si riflette sulla questione dell’identità non si può negare una certa impressione di narcisismo. Un probabile motivo per questa impressione sarà il fatto che i parametri dell’identità sono quasi esclusivamente dati da costruzioni culturali precostituite.  L’effetto narcisistico della misura umana sorge perché la condizione in cui l’identità si definisce, non è data in modo radicale. Tale condizione è la differenza (2). La differenza radicale rispetto all’uomo è l’idea di natura come incommensurabile, come mistero e come imprevisto. In questa direzione si è espresso Michel Serres nel suo libro «Contratto naturale» (3) in cui riformula il «Contratto sociale» di Rousseau includendo il «terzo dimenticato», ovvero «la natura». Tale pensiero indica un’indispensabile responsabilità ecologica nella struttura sociale dell’umanità. (...) Noi siamo una sorta di paradosso; siamo la contemplazione più grande di noi. Nel «monaco sul mare» di C.D. Friedrich la natura è tanto più potente, dominante e quasi ostile, eppure il monaco sente un’umile familiarità.  Credo sia in tale umiltà meravigliata che si genera una misura umana nell’universo che non è narcisistica.

Michelangelo Pistoletto: «Noi, giardinieri del pianeta»

Che cos’è il Terzo Paradiso? È la fusione fra il primo e il secondo paradiso. Il primo è quello in cui gli esseri umani erano totalmente integrati nella natura. Il secondo è il paradiso artificiale, sviluppato dall’intelligenza umana, fino alle dimensioni globali raggiunte oggi con la scienza e la tecnologia. Questo paradiso è fatto di bisogni artificiali, di prodotti artificiali, di comodità artificiali, di piaceri artificiali e di ogni altro genere di artificio. Si è formato un vero e proprio mondo artificiale che, con progressione esponenziale, ingenera, parallelamente agli effetti benefici, processi irreversibili di degrado e consunzione del mondo naturale. Il Terzo Paradiso è la terza fase dell’umanità, che si realizza nella connessione equilibrata tra l’artificio e la natura. Terzo Paradiso significa il passaggio a uno stadio inedito della civiltà planetaria, indispensabile per assicurare al genere umano la propria sopravvivenza. A tale fine occorre innanzi tutto ri-formare i principi e i comportamenti etici che guidano la vita comune. Il Terzo Paradiso è il grande mito che porta ognuno ad assumere una personale responsabilità nella visione globale. Il termine paradiso deriva dall’antica lingua persiana e significa «giardino protetto». Noi siamo i giardinieri che devono proteggere questo pianeta e curare la società umana che lo abita. Il simbolo del Terzo Paradiso, riconfigurazione del segno matematico dell’infinito, è composto da tre cerchi consecutivi. I due cerchi esterni rappresentano tutte le diversità e le antinomie, tra cui natura e artificio. Quello centrale è la compenetrazione fra i cerchi opposti e rappresenta il grembo generativo della nuova umanità.

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