Il personaggio

Il prete che esorcizza (anche) il Ticino

Don Pandolfi è l'esorcista della diocesi di Como – A lui si rivolgono centinaia di ticinesi – «Ma nella mia carriera ho visto solo tre persone realmente possedute»
Don Roberto Pandolfi, parroco di Grandate.
Dario Campione
16.06.2024 06:00

Esorcista. La sola parola, scuote. Evoca immagini e situazioni che nessuno probabilmente vorrebbe vedere o vivere. Richiama il male. Il buio. E mette paura. Provoca angoscia. Inquietudine. Eppure mai, forse, come negli ultimi anni, così tante persone lo cercano. Chiedono il suo aiuto. Si mettono nelle sue mani. Già. L’esorcista non è più - ma in realtà non lo è mai stato - un fenomeno da baraccone, un’icona splatter del cinema di serie B. O il simbolo di superstizioni dure a morire. È molto, molto altro.

Don Roberto Pandolfi, 61 anni ad agosto, parroco di Grandate, è prete dal 1988, da quando aveva 25 anni. Ed è anche «ausiliare dell’esorcista» (questo è il termine esatto) della diocesi di Como dal 2009, così come stabilito dal vescovo di allora, monsignor Diego Coletti. Dal 2020, da quando, cioè, è morto don Sandro Vitalini, di fatto don Pandolfi è pure l’esorcista della diocesi di Lugano. Non ufficialmente, certo. Ma sono centinaia le persone che ogni anno, dal Ticino, ricorrono ai suoi uffici. Per scacciare il maligno. O soltanto per ritrovare sé stessi, la serenità perduta o minacciata.

«Accolgo tutti, vengono anche da San Gallo»

«In realtà, accolgo gente da tutta la Svizzera - dice il parroco di Grandate alla Domenica - da Zurigo, da San Gallo, e dal Ticino, ovviamente. Arrivano direttamente, forse leggono il mio nome su Internet o mi conoscono grazie al passaparola». Niente di istituzionale, insomma, le autorità ecclesiali non sono coinvolte. Ma è evidente che non ce n’è bisogno. «Si tratta sempre di persone che non stanno bene, che provano disagio. Nutrono il dubbio che dietro il loro malessere possa esserci il diavolo, e vogliono sentire un parere». Impossibile tracciarne il profilo. «C’è di tutto, anche a livello culturale - dice don Pandolfi - Ci sono medici affermatissimi e persone molto più semplici, non soltanto adulti o anziani. In questi ultimi tempi, dopo il Covid, sto vedendo tanti giovani, molti più di prima. E anche adolescenti. I genitori mi portano i figli quando, detto con un termine brutale, li vedono sbarellare, o dare significativi segni di squilibrio».

Dal 2009 ha incontrato 12 mila persone

Dal 2009, l’esorcista della diocesi di Como ha incontrato circa 12 mila persone. Un numero impressionante, che dà forma e sostanza a un fenomeno certamente poco conosciuto e analizzato. Alla domanda su quanti, di questi 12 mila, fossero veramente posseduti da Satana, don Roberto risponde senza esitare: «Tre». E tutti gli altri? «Stavano comunque male, avevano un disagio psicologico o fisico. Oppure provavano spavento per aver scoperto di avere facoltà paranormali: la telepatia, ad esempio, o la chiaroveggenza, ricondotte così, istintivamente, alla presenza del diavolo».

La Chiesa prende molto sul serio queste cose. Nel novembre del 1998, la Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti ha promulgato con decreto un libro liturgico, il De exorcismis et supplicationibus quibusdam, nel quale sono aggiornati e spiegati in dettaglio i riti sacramentali necessari a sconfiggere il diavolo. I cristiani, si legge nel testo, «alla luce del Vangelo e dell’insegnamento della Chiesa, credono che il maligno e i demoni esistono e agiscono nella storia personale e comunitaria degli uomini». E forse pochi ci pensano ma il primo esorcismo al quale tutti, più o meno, siamo sottoposti è il battesimo, durante il quale si rinuncia a Satana, «alle sue opere e alle sue seduzioni».

«Non ho dormito per tre notti»

Il Codice di diritto canonico prevede, al canone 1172, che il vescovo ordinario individui tra i sacerdoti della diocesi un esorcista. Questi «deve essere ornato di pietà, di scienza, prudenza e di integrità di vita». Nessun’altra spiegazione. «La scelta è del vescovo - conferma don Pandolfi - ed è importante specificare che essere esorcista non è un dono, non è un carisma: è invece un ministero, non si basa quindi su qualità particolari che il prete ha; e anzi, a mio parere modestissimo, se mai queste qualità ci fossero, sarebbero semmai un incentivo a non far diventare esorcista chi le possiede». Quando monsignor Coletti scelse don Roberto per questo incarico, il prete comasco rimase molto sorpreso: «Non ho dormito tre notti - confessa - poi il vescovo mi chiamò per parlarne. Gli esposi quelli che potevano essere, secondo me, i limiti che avevo, e che ho, a partire da una formazione molto illuministica, molto razionale. Ma lui mi disse che questo lo confermava nella sua scelta. E quindi obbedii. Tutto qui».

Il nostro compito è innanzitutto stabilire che cosa abbia la persona che ci sta di fronte. Sostanzialmente, fare una specie di diagnosi, chiamiamola così

«Noi facciamo una diagnosi»

Ma chi è oggi, veramente un esorcista? E qual è il ruolo svolto dal sacerdote incaricato di officiare i sacramentali dell’esorcismo? «Il nostro compito è innanzitutto stabilire che cosa abbia la persona che ci sta di fronte. Sostanzialmente, fare una specie di diagnosi, chiamiamola così. Discernere se si tratti di un caso di possessione - cosa rarissima, tengo a sottolinearlo - o di ossessione, o di vessazione. Oppure di un disagio psicologico, o di un riflesso di esperienze purtroppo sempre più frequenti come, ad esempio, le attività di sedicenti maghi e fattucchiere». E qui si torna al De exorcismis: La Chiesa, spiega il parroco di Grandate, «indica quali sono i fenomeni che devono ricorrere perché ci sia una possessione demoniaca. Parlare una lingua sconosciuta, per esempio. Ecco, il fatto che questi fenomeni debbano ricorrere insieme rende estremamente rara la possessione. Ricordo il caso di una donna che nel suo delirio parlava aramaico antico, pensando quindi di essere posseduta. In realtà, era rimasta molto impressionata dal film di Mel Gibson sulla passione di Cristo, film in cui i dialoghi erano in aramaico antico e sottotitolati. Bisogna quindi sempre essere prudentissimi, anche in presenza di situazioni che potrebbero a prima vista portare una diagnosi di un certo tipo».

«Il diavolo? Una persona infelice»

Inevitabile chiedere a don Roberto chi sia il diavolo. «È una persona infelice, che non vuole essere infelice da sola - dice il sacerdote comasco - il diavolo è un essere personale, cosa che tanti preti fanno fatica ad ammettere, a capire, a cogliere. Un essere triste, che vuole coinvolgere il maggior numero di persone in questa sua infelicità». Riuscendoci, in parte, insiste don Pandolfi, il quale accenna a fenomeni inquietanti: «Tra i giovani si sta diffondendo sempre di più il cosiddetto satanismo acido, mentre su Internet ormai si trova di tutto. Ho conosciuto adulti che si sono affidati al demonio in modo consapevole, ma ho incontrato ragazzi e ragazze che si erano consacrati al demonio in Rete. Adolescenti che hanno intrapreso la strada del satanismo così, quasi per scherzo, per provare qualcosa di nuovo. Sono azioni pericolosissime. Si inizia per gioco e non si sa dove si può finire, come dimostrano le bestie di Satana e il martirio di suor Maria Laura Mainetti».

«Vedo tanta superstizione»

Paradossalmente, conclude don Pandolfi, «credo che la nostra società, proprio perché così secolarizzata, sia ormai preda delle superstizioni in una maniera tremenda. In Italia si è calcolato che circa sei milioni di persone frequentano i maghi e le fattucchiere. Ne conosco parecchi: a un certo punto, si rendono conto di quello che stanno facendo e vengono da noi a chiedere aiuto. E non sono persone senza cultura: da sempre i governanti hanno l’astrologo di Corte. Noi ascoltiamo. E dopo, poiché siamo preti, tentiamo di far costruire alle persone un rapporto serio con Gesù, perché alla fine è questo ciò che ci sta a cuore. Non tutti, però, sono disposti a farlo. Qualcuno vede l’esorcista come la versione cattolica del mago: vado lì, faccio una seduta, e poi sto bene. Non funziona in questo modo. Non è che accendi la candela e superi l’esame di maturità anche se non hai studiato. Non basta. Molti, quando proponiamo loro un percorso, non li vedi più, Ma va bene così. Erano quelli che, appunto, si aspettavano la bacchetta magica».

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