Il «re dei passaporti» e i clienti ticinesi
C’è chi parla cinque lingue, e chi ha cinque passaporti. Christian Kälin - per tutti Chris - può vantare entrambe le cose: sui passaporti i giornalisti speculano da tempo, ma lui non conferma né smentisce il numero. «È l’unico dettaglio personale su cui voglio mantenere la privacy» dice. In realtà non dice nemmeno dove si trova, durante la video-intervista da una non precisata «villeggiatura sulle Alpi». Per tre volte deve interrompere, si assenta, ricompare. «Sono vacanze piene di impegni» si scusa.
L’avvocato zurighese è molto richiesto ultimamente: clienti multi-milionari, emissari di governi stranieri, primi ministri di piccole isole caraibiche e giornalisti di mezzo mondo lo cercano per la sua fama di «re dei passaporti», accresciuta dalle «comparsate» al Forum di Davos (è ospite fisso) e da alcune polemiche. Una su tutte: nel 2017 la blogger Daphne Caruana Galizia accusa il governo di Malta di avere ingaggiato la società di Kälin per fare dell’isola mediterranea una «fabbrica di passaporti» a vantaggio di criminali e oligarchi.
Kälin non è stato coinvolto in alcun modo nelle inchieste giudiziarie che hanno portato alla caduta del governo maltese, dopo l’omicidio della giornalista (un «atto barbaro» che l’avvocato ha condannato pubblicamente). I suoi servizi, con la pandemia prima e la crisi ucraina dopo, non sono meno richiesti di prima. Anzi.
Da circa 30 anni lo zurighese è uno dei principali esperti internazionali di diritto della migrazione, ed è l’ideatore dei più importanti programmi di «cittadinanza per investimento» (in inglese citizenship by investment) attivi in giro per il mondo. Malta, Antigua e Barbuda, l’ex colonia britannica di St. Kitts e Nevis. La sua agenzia, la Henley&Partners, ha aperto uffici in 40 Paesi dall’Australia all’Uzbekistan passando per Dubai. I clienti in questo momento vengono «soprattutto dagli Stati Uniti e dai Paesi del Medio Oriente» spiega l’avvocato. Ma anche da Russia, Ucraina e Cina.
Il sogno da bambino
Kälin sa mettere tutti a proprio agio e ha un innegabile savoir faire. Brizzolato, sulla cinquantina, viso affilato e occhi sottili. Parla con sicurezza e voce gentile. Per ogni cliente una lingua diversa - in Ticino o nella vicina Penisola, dove si è recato «più volte per lavoro», ascolta l’italiano ma risponde in inglese - e a ognuno procura il passaporto più adatto. In genere si tratta di persone «molto ricche» che vogliono procurarsi una cittadinanza straniera per motivi di sicurezza e mobilità.
Kälin e i suoi collaboratori offrono un portfolio di opzioni: a oggi undici Paesi nel mondo consentono di ottenere la cittadinanza in cambio di investimenti corposi o donazioni in denaro. Alcuni - Malta e St. Kitts e Nevis ad esempio - hanno iniziato a farlo proprio su suggerimento di Kälin e grazie alla sua consulenza, nei primi anni duemila.
«L’industria delle cittadinanze non è in crisi e in futuro la domanda non potrà che aumentare» sostiene l’avvocato. Kälin ha iniziato a lavorare allo studio Henley&Partners negli anni Novanta, quando studiava ancora legge a Zurigo (oggi ne è diventato il presidente) ma la sua passione per i passaporti risale a molto prima. «Fin da bambino sono rimasto colpito dall’impatto che la cittadinanza alla nascita poteva avere sulle persone» racconta. Le notizie sull’emergenza umanitaria in Africa negli anni ‘70 («in particolare le immagini in televisione della crisi in Etiopia») lo hanno spinto «ancora adolescente» a scrivere a varie ambasciate e raccogliere informazioni sui passaporti in un grande faldone.
«Le mele marce sono poche»
Da adulto, però, Kälin ha preferito lavorare con stranieri molto ricchi, piuttosto che con i poveri. Le cittadinanze «in vendita» non sono una sua invenzione («lo ius doni esisteva già nell’antica Roma» sottolinea) ma se oggi sono un fenomeno globale - gli addetti ai lavori lo sanno - è in gran parte merito suo. Negli anni è capitato che criminali e politici corrotti ne approfittassero: più di recente, in USA e UE è scattato l’allarme sui cosiddetti «passaporti d’oro» utilizzati per aggirare le sanzioni alla Russia o le norme anti-riciclaggio.
Ma Kälin difende la sua creatura. «In ogni settore ci sono delle mele marce ma questo non significa che il sistema non funzioni» dice. «Se si guarda al complesso dei fenomeni migratori, la nostra nicchia è assai poco problematica». I cittadini russi «sono nostri clienti come lo sono gli ucraini» ammette: che utilizzino passaporti stranieri (anche quello svizzero) per spostarsi «sinceramente non mi sembra un crimine» aggiunge l’avvocato. «Non entro nel merito della guerra, ma ritengo che ogni uomo debba essere libero di fuggire da situazioni pericolose o persecutorie. È la convinzione che da sempre è alla base del mio lavoro».
L’avvocato ha un altro progetto antico e finora irrealizzato. Da cittadino svizzero - ma non solo - ha sempre apprezzato i vantaggi della neutralità e lo stile di vita elvetico. Per il Ticino ha un occhio di riguardo. «Diversi fattori contribuiscono a farne uno dei cantoni più vivibili» osserva. «Penso al clima, al fascino italiano assieme alla sicurezza e all’efficienza svizzera». Non a caso «è una delle destinazioni più richieste da parte dei nostri clienti in Svizzera» sottolinea. Nel corso degli anni la Henley&Partners ha assistito «svariate persone che volevano trasferirsi a sud delle Alpi, aiutandole nelle pratiche burocratiche e nella ricerca di una sistemazione adeguata».
L’attrattività della Sonntenstube è anche fiscale, naturalmente. «Il regime d’imposizione forfettario resta molto interessante per i redditi alti» assicura l’avvocato: anche se negli ultimi due anni il numero di globalisti in Ticino è diminuito e le aliquote sulla sostanza sono svantaggiose rispetto ad altri cantoni. Per Kälin la questione deve essere presa in mano dai governi - con quello ticinese, assicura, non ha ancora avuto contatti diretti - e secondo lui dovrebbero alzare la posta. «Al momento i singoli cantoni concedono la residenza a persone facoltose con condizioni diverse e programmi spesso interessanti, ma a mio avviso per avere risultati migliori in futuro la politica dovrebbe essere più lungimirante» osserva Kälin, e va dritto al punto. «Offrire un permesso di soggiorno, quando Paesi anche vicini e con caratteristiche simili come ad esempio l’Austria consentono di ottenere la cittadinanza in cambio di investimenti nell’economia locale, vuol dire stare un passo indietro».
Il passaporto da 10 milioni
Vendere il passaporto svizzero per il presidente di Henley non è solo un progetto personale. «Sarebbe un’importante fonte di risorse in un momento in cui le casse pubbliche ne hanno bisogno». Dopotutto ha già «dimostrato a Malta e nei Caraibi quali sono i benefici di un programma simile» e, si chiede Kälin, perché non farlo anche «in casa»? Sui media d’oltre Gottardo e d’oltre Oceano l’avvocato ha già ventilato l’idea e come realizzarla: servirebbe un’iniziativa popolare. «Purtroppo finora nessun partito politico sembra disposto a metterci la faccia» ammette. «La cittadinanza è ancora vista come qualcosa di «sacro» anche se gli afflussi migratori in Svizzera dimostrano che dopotutto non lo è. E qui parliamo di pochi contribuenti molto ricchi che garantirebbero un apporto positivo in termini finanziari e nessun rischio sociale».
Alla Henley&Partners hanno già fatto i calcoli: il «prezzo» dovrebbe essere di «almeno» 10 milioni di franchi - in Austria l’investimento è di 8 milioni, «credo sia giusto che la Svizzera chieda di più» afferma l’esperto - e la previsione è di un afflusso annuo di «poche centinaia di nuovi cittadini». Il conto è presto fatto: con 200-300 passaporti l’anno «arriverebbero 2-3 miliardi di franchi» che secondo Kälin «potrebbero per esempio essere vincolati al risanamento della previdenza sociale» in deficit cronico. Fantascienza? «Per ora forse sì, ma un giorno chissà - sorride - ci arriveremo».