Il «ribelle» del gruppo UDC
C’è un solo parlamentare che saprebbe mettere mano all’auto presidenziale, qualora dovesse andare in panne davanti a Palazzo federale. È Daniel Sormanni, meccanico in pensione, ex socialista che dopo 44 anni di gavetta a livello locale è riuscito alle ultime elezioni a entrare in Consiglio nazionale. «La perseveranza paga», commenta il 74.enne esponente del Mouvement Citoyens Genevois (MCG).
Signor Sormanni, che impressioni ha avuto in questo primo anno di Consiglio nazionale?
«È completamente diverso da un parlamento cantonale. È un altro modo di dibattere, è molto più difficile farsi spazio, ci vuole tempo. Ma è interessante. A volte ci sono dei voti sorprendenti, con delle alleanze inedite».
È possibile farsi sentire anche se si fa parte di un piccolo partito come l’MCG?
«È complicato. Essendo in pochi abbiamo dovuto integrarci nel gruppo UDC, non avevamo tanta scelta. Ma poi io mi prendo le mie libertà. Vediamo fin dove lo accetteranno».
Intende dire che non vota sempre come l’UDC?
«No, non sempre. Io ho la mia sensibilità sociale, non sono sempre d’accordo con loro. A volte ho già espresso dei voti che hanno permesso di rovesciare delle maggioranze».
E non le dicono niente?
«Sì, il capogruppo è venuto più volte da me».
Per richiamarla all’ordine?
«Mi ha chiesto, molto gentilmente, di essere un po’ più conforme con il gruppo UDC».
Lei è un po’ il ribelle del gruppo UDC?
«Sì, direi di sì. Ma ci sono anche altri deputati che a volte non seguono la disciplina di partito. Penso che sia importante marcare la propria differenza se non si è d’accordo».
Lei ha iniziato a fare politica con il PS. Si sente ancora un po’ socialista?
«No, non mi sento socialista, ma ho sicuramente una sensibilità sociale».
Perché ha lasciato il PS?
«Non ero più tanto d’accordo con loro. Ma io non sono cambiato tanto.Ero un socialdemocratico e lo sono ancora. È il Partito socialista che è cambiato».
Come è avvenuta la rottura?
«All’epoca ero un operaio, facevo il meccanico. Mi sono ritrovato a essere l’ultimo operaio del partito. Quando nel 2003 non sono stato rieletto ho deciso di lasciare. Poi nel 2011 l’MCG è venuto a cercarmi e sono ripartito.Ma io non sono cambiato. Su certi temi, come la sicurezza, già prima non andavo d’accordo con la sinistra. Io mi sento vicino ai piccoli commercianti, ai cittadini, alla gente semplice».
Anche il PS si sente vicino alla gente semplice.
«Ma non lo è più. I socialisti sono per la maggior parte persone ben posizionate nella società. Possono pensare di essere vicini alla gente, ma non vuol dire che lo siano veramente».
In politica ci sono troppi universitari?
«Sì, sicuramente. Sono le élite a fare la politica, a destra come a sinistra».
Dove sono finiti gli operai?
«Per un operaio è complicato sedere in parlamento. Ci vuole troppo tempo, il mandato non è conciliabile con l’attività professionale. Del resto non ci sono operai in parlamento. Io stesso sono un pensionato ex operaio».
Lei combatte l’iniziativa «200 franchi bastano». Ma l’UDC non era favorevole?
«Io non sono sempre contento di quello che fa la SSR, non ne condivido sempre la linea. Ma ritengo che ci voglia un servizio pubblico forte. Altrimenti il mercato finirebbe in mano ai privati e la gente dovrebbe abbonarsi a ciò che le interessa, come lo sport, la cultura, eccetera. Ma questo significa che alla fine i cittadini pagherebbero più di oggi».
Quindi la riduzione del canone non farebbe risparmiare i cittadini?
«No. Se si impedisce al servizio pubblico di funzionare bene, vuol dire lasciare tutto lo spazio ai privati.Io non sono contrario all’arrivo dei privati, però bisognerà pagarli, perché non lavorano gratis.Non si migliora il potere d’acquisto dei cittadini lasciando loro in tasca 10 franchi in più al mese, per poi spingerli a spendere di più da un’altra parte».
Per l’UDC non è tanto una questione finanziaria, quanto di antipatia verso una SSR ritenuta troppo di sinistra.
«Sì, capisco. Ma cambierà qualcosa se le si riducono i fondi? La SSR sopprimerà dei programmi ma non cambierà quella linea che alcuni ritengono troppo di sinistra».
Quindi lei vuole salvare la SSR così com’è?
«Si può discutere se i dibattiti siano troppo orientati politicamente. Ma io credo che in un momento in cui le reti sociali abbondano di fake news sia più che mai necessario avere un’informazione verificata. I giovani non si informano più o si informano male. Credo che sia molto pericoloso per la democrazia».
Non c’è solo la SSR in Svizzera.
«Infatti, io sono favorevole a sostenere anche la stampa scritta. Bisogna trovare una soluzione per aiutare chi ha veramente bisogno e non i grandi gruppi. Proprio qualche giorno fa ho letto che Tamedia intende raddoppiare i dividendi, dopo aver licenziato un sacco di dipendenti e iniziato a far sparire vari media, tra cui la Tribune de Genève.Questo non va bene».
Alla fine è sempre lo Stato a dover pagare.
«La Svizzera è piccola, è difficile far quadrare i conti, la pubblicità va sui social media ed è per questo che bisogna aiutare la stampa. Magari non direttamente ma attraverso una fondazione. Ce n’è ad esempio una per Le Temps».
È una fondazione costituita da ricchi privati.
«Sì, ma si potrebbe anche pensare a una fondazione che accolga sia donatori privati sia pubblici. L’importante è salvaguardare la pluralità d’informazione, che è fondamentale per la democrazia. Quando si vede quello che è successo negli Stati Uniti, c’è da avere paura».
Si riferisce all’elezione di Donald Trump?
«Certo. A me non piace Trump, non mi piace il modo in cui ha vinto. Non è insultando la gente e diffondendo bugie e falsità che si salverà la democrazia. Purtroppo la democrazia è in pericolo, dappertutto».
In conclusione, se posso chiederle: lei ha per caso origini ticinesi?
«Italiane. Io sono nato a Ginevra, come mio padre. È mio nonno, che non ho conosciuto, a essere emigrato inSvizzera dalla Lombardia».