Il reportage

Il ricercato della porta accanto

Accusato per la strage di Piazza della Loggia, sfugge alla giustizia da 50 anni – Ora vive nei Grigioni, in un paesino dove nessuno sa chi è – Siamo andati a trovarlo
Una veduta di Landquart.
Davide Illarietti
23.04.2023 06:00

Il ricercato della porta accanto è per definizione «insospettabile» e gentile con tutti. Nessuno - vicini di casa, conoscenti - a posteriori lo avrebbe sospettato di alcunché. Ma nel paesino di Landquart (GR) le cose non stanno così. Marco Toffaloni - il nome è venuto fuori ripetutamente dai giornali italiani - è accusato di aver partecipato a una delle più sanguinose stragi italiane. Non è ancora ricercato, in attesa del processo fissato a settembre. Oggi è un uomo qualunque, un’ombra che fa i conti con il suo passato. Almeno a detta degli abitanti del villaggio grigionese che per anni hanno vissuto intorno a lui senza sapere nulla della storia italiana. Che qualcosa non andasse, però, lo avevano intuito.

Cosa, è difficile anche solo da concepire. Il 28 maggio 1974 un’esplosione in Piazza della Loggia a Brescia causa 8 morti e un centinaio di feriti. Sono gli anni di piazza Fontana, delle Brigate Rosse. A piazzare la bomba bresciana - in un cestino della spazzatura - sono stati i militanti neo-fascisti di Ordine Nuovo, ma i responsabili vengono identificati solo dopo decenni di insabbiamenti e depistaggi. Alcuni sono deceduti, altri già in carcere: Toffaloni - il cui nome è uscito dall’inchiesta solo di recente - secondo la Procura di Brescia è l’unico presunto esecutore ancora a piede libero. Aveva 17 anni, all’epoca. Di lui si sa solo che ora vive in Svizzera, con un nuovo nome.

Piazza della Loggia a Brescia, la mattina del 28 maggio 1974 (foto d'archivio)
Piazza della Loggia a Brescia, la mattina del 28 maggio 1974 (foto d'archivio)

La ricerca del fantasma

Proprio da qui, dal nome, è iniziata la ricerca de La Domenica che conduce al domicilio dell’uomo oggi 65enne. Non senza difficoltà e indizi risultati ingannevoli. La mail usata in passato da Toffaloni per comunicare con gli avvocati italiani, ad esempio, conduce a una società russa di Lucerna (tra l’altro colpita dalle sanzioni anti-Putin) attiva nel settore informatico. Ma lì nessuno lo conosce. Diversi omonimi sparsi per il paese rispondono straniti al telefono. Toffaloni ha scelto un cognome molto comune in Svizzera - un signor Rossi o Bernasconi svizzero-tedesco - e ha badato a non lasciare tracce della sua permanenza da una città all’altra durata almeno 40 anni.

Da Berna ai Grigioni

Non ha un telefono cellulare. Non compare sugli elenchi telefonici. In un interrogatorio del febbraio 2015 presso la Procura federale a Berna, su rogatoria italiana, si è presentato praticamente dal nulla, e non ha detto nulla (facoltà di non rispondere). Tranne - a margine dell’udienza, non è agli atti - di essere arrivato nella capitale in treno, svegliandosi molto presto e andando in stazione in bicicletta, sotto la neve. È risalendo questa pista a ritroso, fra tracce secondarie di nomi e indirizzi, e l’autostrada che segue il Reno tra le montagne innevate, che arriviamo alla piccola frazione di Landquart. Nella piazza del paese, dove tutti si conoscono, il nome non dice niente. Ma una foto risalente al 2012 è riconosciuta da tutti non senza sorpresa.

Il Municipio di Landquart.
Il Municipio di Landquart.

Baffi alla Bismark, occhi sottili e sguardo spento. È stata scattata nel 2012 dalla polizia italiana, che intercettò Toffaloni durante una visita di Natale alle sorelle a Verona (città di cui è originario). Allora gli fu consegnato un ordine di comparizione in Procura. Scappò di nuovo in Svizzera, e da allora non si è più mosso. Rispetto alla foto - dicono a Igis - è un po’ invecchiato. Non somiglia per niente al ragazzino con simpatie neo-fasciste e una rivoltella nel comodino che- dicono le cronache - «indottrinato» da militanti più anziani, sembra con la complicità dei servizi segreti, avrebbe contribuito a posizionare l’ordigno di Brescia. Questo sempre secondo gli inquirenti.Un’accusa che Toffaloni non ha mai smentito e a cui - secondo gli avvocati dei famigliari delle vittime, contattati - difficilmente si presenterà a rispondere a settembre.

«Un paese tranquillo»

Landquart, ottomila anime tra le sponde del Reno e le vette dell'Engadina, è la classica cittadina alpina. «Ruhig» dicono gli abitanti, tranquilla, e molti aggiungono con un sospiro: «Troppo ruhig». Le mucche pascolano a cento metri dal Municipio, dietro la piazza. L’ultimo evento di rilievo: un automobilista ubriaco ha sfondato il bancomat dell’ex filiale della Graubünder Kantonalbank, già chiusa da tempo per scarsa attività. «Adesso non abbiamo più neanche il bancomat», lamenta Seraina Alig-Taxer, segretaria del patriziato locale che si è insediato proprio dove c’era lo sportello bancario. «Il centro continua a svuotarsi e la nostra battaglia per ravvivarlo a volte sembra vana».

È la storia di molti villaggi nell’arco alpino. Con qualche stranezza. Un anno fa un incendio scoppiato sul balcone di un appartamento ha provocato l'intervento di pompieri e polizia. Nessun comunicato, nessun articolo sui giornali: nel contesto campagnolo di Landquart, è una cosa insolita. «Non si è mai saputo niente della dinamica», dice Alig-Taxer: «Il paese si è insospettito». L’appartamento è in un blocco di case pubbliche, costruite dal Comune assieme al ristorante del patriziato (l’unico del paese) e la scuola d'infanzia, per vivificare il centro storico. È l’appartamento di Toffaloni.

Nel palazzo del Comune

Il Municipio è a un tiro di schioppo. Eppure il segretario comunale Florian Niggli non ha mai sentito parlare dell’inquilino, trasferitosi in paese una decina di anni fa. Il domicilio precedente è sconosciuto. Toffaloni ha il passaporto rossocrociato dagli anni ‘90, quando si è sposato con una cittadina svizzera da cui ha preso il nuovo cognome (nel frattempo ha divorziato). «Non lo conosco di persona», spiega Niggli: gli appartamenti del Comune, gestiti da una società immobiliare, sono assegnati a «pigione moderata» a soggetti per lo più svantaggiati. Qui Toffaloni lo conoscono bene (col nuovo nome) ma per questioni condominiali. Lamentele, richiami. «È un inquilino che dà molto da fare», ammettono dall’amministrazione senza entrare in dettagli.

Case comunali (e mucche) a Landquart.
Case comunali (e mucche) a Landquart.

Non è poi così strano alla luce dei trascorsi. L’ex militante neo-fascista affascinato - lo dicono le lettere giovanili, acquisite dalla Procura - dalle mitologie celtiche e ariane, si è ritrovato ad abitare in un condominio molto multietnico assieme a famiglie iraniane, magrebine, balcaniche. Ma l’antipatia (ricambiata in buona parte) per i vicini potrebbe avere anche altre spiegazioni. «È molto scorbutico e sempre imbronciato», racconta un condomino. «È ossessionato dai virus e dall’igiene, vuole sempre che le scale siano arieggiate anche in pieno inverno». Diatribe da pianerottolo che sarebbero costate all’interessato diversi richiami dall’amministrazione.

Rapporti difficili

Anche all’esterno, in realtà, i rapporti con i concittadini non sembrano migliori. «Kömisch», «kurioos», strano, «unfreundlich», scontroso, sono gli aggettivi usati in paese per descriverlo. Nessun amico, pochissime parole scambiate negli anni - «senza mai guardare negli occhi» -, le tapparelle sempre chiuse. Nessuna confidenza, neppure con i connazionali italiani, numerosi a Landquart. «Parla solo tedesco, molto bene e molto poco». Pochissime passeggiate, per fare la spesa nell’unico negozio della frazione in cui vive, sempre dopo il tramonto. Con mascherina Ffp2 e - c’è chi è pronto a giurarlo - guardandosi spesso le spalle.

Ossessioni che in un paesino innocuo come Landquart sono finite col sembrare paranoie. «Verrückt», dice qualcuno. «Krank», qualcun altro. Malato. Il disagio psicologico, forse aggravato dall’isolamento e degenerato col tempo - più di una persona afferma di averlo visto «girare di notte come un ossesso per la piazza» - è meno incomprensibile alla luce dei trascorsi segreti. Non è noto se il 65enne sia al beneficio dell’assistenza oppure - in paese circola anche questa voce - dell’Assicurazione invalidità. In Municipio non risulta abbia mai chiesto aiuti sociali. A parte qualche lavoro sporadico - lezioni di italiano, un incarico da bibliotecario - sembra abbia trascorso la maggior parte della sua «seconda vita» in Svizzera senza un posto fisso di lunga durata. Nel suo caso questa situazione potrebbe anche essere conseguenza della latitanza, dell’esigenza di limitare i contatti.

Una porta si chiude, l’altra si apre

Comunque sia, anche chi taglia i ponti con il passato ha bisogno di soldi. Nella storia degli anni di piombo le ipotesi di aiuti e coperture ai terroristi si sprecano, spesso senza prove. Nel caso-Toffaloni se un aiutino c’è stato, ma non è affatto certo, non viene dall’Italia: l’appartamento di Igis risulta intestato a una fondazione privata, a differenza del resto dello stabile comunale. La sede è nel vicino Liechtenstein, presso una fiduciaria.

«Non forniamo informazioni sui nostri clienti», spiega una signora gentile nel palazzo di uffici e bucalettere, alle porte del Principato. La fondazione anonima si occupa di «beneficenza» e non ha una sede fisica. Un’altra porta che si chiude come quella di Landquart, malmessa e trasandata, dove il nuovo nome di Toffaloni campeggia sopra la scritta «raggiungibile per posta». Qui come sul citofono esterno e sulla bucalettere, curiosamente, l’iniziale del nome è stata cancellata con del bianchetto. Il campanello non funziona. Chiamiamo, bussiamo: la porta si socchiude, è aperta. La richiudiamo. Toffaloni evidentemente non vuole essere disturbato. Ci sono porte «accanto» che è meglio non aprire, la sua è sicuramente una di quelle.

Non aprite quella porta.
Non aprite quella porta.
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