Cibo&Vino

Il senso del mangiare 2.0

La cucina si è trasformata nel tempo, spiega il semiologia Gianfranco Marrone: «Oggi mangiare è divertimento non utilità»
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Giorgia Cimma Sommaruga
14.05.2023 15:30

L’uomo è l’unico essere vivente sulla faccia della terra che cucina ciò che mangia. Ci avete mai pensato? Mangiare è una azione indispensabile. O, per meglio dire, funzionale, visto che ci tiene in vita. Ma mangiare significa anche appagare tutti e cinque i sensi. Un vezzo? Sì. Quelli più materiali, come il tatto, il gusto e l’olfatto, quanto quelli alti (strutturalmente) e rarefatti: la vista e l’udito. Ed è proprio partendo da alcune riflessioni semplicissime, un po’ come quelle appena citate, che 15 anni fa Gianfranco Marrone, semiologo e professore all’Università di Palermo, assieme a qualche amico e collega si è chiesto come mai in semiotica (la filosofia del linguaggio) il cibo, e tutto ciò che vi sta intorno, fosse poco studiato. «Tutto è iniziato per curiosità - spiega -, perché eravamo molto colpiti dal fatto che, nonostante oggettivamente si tratti di un linguaggio tra i più importanti, se non il più importante nelle culture umane, i semiologi se ne fossero occupati molto poco». 

«Gustoso e saporito»

E così, qualche anno più tardi, Marrone pubblica con Bompiani «Gustoso e saporito». Ma, si badi bene, non si tratta del classico «food book», e neppure di una raccolta di ricette. «Gustoso e saporito» è un ricco trattato che nasce su diverse linee di ricerca. «Una di queste è legata ai media e a come parlano del cibo», spiega, in relazione a quel fenomeno «che ho chiamato - un po’ per scherzo - gastromania». Una tendenza che nasce secondo il semiolgo a cavallo dell’Expo2015, «una vera e propria moda mediatica che ora si è assestata». Tuttavia la gastromania ha provocato, secondo il professore, una serie di atteggiamenti più o meno caricaturali come il gesto di agitare il calice col vino o la mania del turismo enogastronomico o i corsi per diventare esperti di vino o formaggi. Marrone ha anche seguito altre linee di ricerca legate alla cucina tradizionale e tipica. «Cosa significa tipico? Cosa significa una tradizione? Le tradizioni si inventano, si costruiscono, si trasformano», spiega. Così come le ricette e la pratica culinaria, un’altra linea di ricerca seguita dal docente. «Questo libro vuole essere - come dice il sottotitolo - un’introduzione a questo tipo di studi anche in funzione di un’altra cosa a cui tengo abbastanza cioè il fatto che da pochissimi anni è nato un interesse sia accademico sia scolare nei confronti di questo tipo di studi. In Italia si sta pensando all’ipotesi di introdurre un liceo del gusto», dice Marrone.

In cucina per divertirsi

E poi c’è una tendenza culturale più generale, ricca di contraddizioni interessanti e divertenti per certi versi. Da un lato c’è il chilometro zero e dall’altro l’interesse per le cucine esotiche. «Trovo tutto ciò divertente, ma non è un problema dal mio punto di vista. Piuttosto si riferisce ad una trasformazione antropologica della cucina». E allora, se partissimo da un dato elementare, dovremmo considerare che appunto l’uomo è l’unico animale che cucina. C’è sempre stato un momento della giornata in cui qualcuno dice «ok, basta, devo smettere di fare quello che sto facendo e preparare la cena». Tuttavia oggi non è più così. Un tempo la cucina era considerata una necessità, è stata degradata perché affidata alle donne o alla servitù. «La cucina era considerata qualcosa di volgare, fuori dagli interessi dell’alta cultura. Oggi non è più così grazie a una cosa molto banale che si chiama industria alimentare. Questa, nel bene e nel male, permette a tutti noi di non cucinare più. In questo momento possiamo benissimo abolire la cucina dai nostri appartamenti e sopravvivere benissimo», osserva Marrone. Possiamo ordinare il cibo online, oppure comprarlo già pronto alla gastronomia del supermercato. Tutto ciò ha portato ad una trasformazione. La cucina non è più necessaria ma divertente.

L’era dell’open space

Infatti, a ben vedere, quante delle nostre case fondono la cucina e il soggiorno in un ampio open space? Dove cucinare è una attività di svago, è conviviale. «È la classica contrapposizione tra bellezza e utilità: la cucina non è più utile, ma piacevole. La gastro-mania è nata da lì; è nata dal fatto che ora le persone che vogliono passare il loro tempo in modo divertente vanno in cucina, magari anche in compagnia». Nelle case dei nostri nonni la cucina era separata dal soggiorno, chiusa con una porta. «Non c’era questo desiderio di comunicare mentre si cucina o di mostrare come si cucina». E secondo il professore questo cambiamento ha influenzato non solo gli spazi domestici ma anche quelli pubblici. «Il famoso muro settecentesco che separa la cucina e la sala sta scomparendo», dice. «Ci sono vetrate o cucine che si affacciano sulla zona pranzo. Ho anche mangiato in posti dove si mangia su banconi e dall’altra parte del bancone lo chef preparano il cibo».

«Tirare il risotto»

Ma quando invece pensiamo alla tradizione culinaria e a tramandare le ricette, Marrone riflette sulla questione complessa delle abilità manuali. «Non si tratta solo di sapere come usare le mani ma anche gli occhi, sapere quando il colore di una certa cipolla è giusto. Tutti i sensi partecipano all’attività culinaria ma tutto questo non può essere riprodotto a parole». E allora in che modo i libri di ricette tentano di colmare questa lacuna? «Ho fatto un piccolo esperimento con la ricetta del risotto alla milanese. Artusi (1891) lo descrive in quattro righe. Poi ho preso la Bibbia della cucina francese di Pallaprat (1982), tradotta in tutte le lingue. La ricetta è descritta in dieci righe. Poi ho preso Cracco (2013): tre pagine». E allora, se tutto cambia, come la cucina e il mangiare, cambia anche il pubblico. «E oggi, evidentemente, chi legge Cracco non sa cosa significa «tirare il risotto», e lui, per far si che la sua ricetta sia comprensibile, ci mette tre pagine per spiegare un gesto che in passato qualsiasi lettore avrebbe saputo riprodurre».

Gusto e conoscenza nel libro di Marrone

Gianfranco Marrone in «Gustoso e saporito» scrive subito: «Il gustoso è il sistema di senso che si instaura grazie al riconoscimento sensoriale di figure già note». Insomma vedo il mio piatto fumante di pasta, ne assaggio una forchettata (prima soffio per non ustionarmi): è pasta alla carbonara! «Il gusto – spiega Marrone - è sia un riconoscimento che una sensazione e coinvolge sia il corpo che la mente». Questo può cambiare nel tempo, evolversi, mutare, e addirittura «può essere influenzato da esperienze personali e idiosincrasie». «Odio la birra perché una volta me la sono rovesciata addosso: d’allora il suo odore mi disgusta». E allora, se 1+1=2, bisognerebbe spingersi oltre il limite, provare cose nuove, nuove birre ad esempio? Marrone è cauto.  «L’apertura è sempre buona, ma non obbligatoria.  Ognuno dovrebbe avere le proprie antipatie e idiosincrasie quando si tratta di enogastronomia». Dunque è lo stesso rispetto ai nuovi prodotti con la farina di insetti? «Questo è un caso mediatico che regge sul (quasi) nulla: la storia insegna che ci siamo sempre adattati alle nuove pietanze, ai nuovi ingredienti. Sarà così anche in questo caso», afferma il semiologo. 

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