Il socialista-soldato: «L'esercito serve ma non così»
Medico di famiglia che continua a lavorare sebbene abbia già superato l’età della pensione («in una regione di campagna come la mia è difficile trovare giovani interessati a rilevare lo studio»), il giurassiano Pierre-Alain Fridez pensava di essere destinato a occuparsi di sanità quando nel 2011 fu eletto per la prima volta in Consiglio nazionale. «Ma il PS era già ben profilato sui temi sanitari, in particolare con Marina Carobbio, così mi misero nella Commissione della politica di sicurezza», spiega Fridez. Lui si è applicato e negli anni è diventato uno dei più ascoltati esperti di geopolitica del Parlamento, oltre che una spina nel fianco della consigliera federale Viola Amherd, che critica in vari libri tra cui, l’ultimo, intitolato «Perché i carri russi non invaderanno la Svizzera».
Signor Fridez, chi ha mai pensato che i carri russi potessero invadere la Svizzera?
«All’inizio della guerra in Ucraina c’è stato un momento di panico in tutta Europa. Amherd e i militari lo hanno aggravato intenzionalmente per far passare l’acquisto degli F-35 senza votazione. Ora vogliono rinforzare l’Esercito con 50 miliardi di franchi di investimenti che dovrebbero garantire la capacità di difesa completa, anche in caso di invasione. Nel mio libro cerco di dimostrare che si tratta di una spesa inutile e che i soldi andrebbero investiti in modo più efficace».
Lei è uno di quei socialisti che vogliono abolire l’Esercito?
«No, io sono convinto che abbiamo bisogno di un Esercito. Ma sono anche convinto che dobbiamo smetterla di ragionare con i vecchi schemi. Oggi la minaccia non è un’invasione via terra, per cui non ha senso continuare ad acquistare artiglieria, carri d’assalto e lanciamine».
Qual è oggi la minaccia?
«Il terrorismo e il cyberterrorismo, contro i quali la Svizzera manca drammaticamente di uomini. La disinformazione. I problemi climatici, che richiedono delle forze di intervento. Ma non si può escludere nemmeno il lancio di un missile da lunga distanza. Ci vorrebbe una difesa terra-aria performante, ciò che oggi non abbiamo».
Ecco, quindi non esclude un attacco alla Svizzera.
«No, non è possibile escluderlo. Quello che escludo è che Putin possa presentarsi ai nostri confini con i carri armati».
Perché no?
«Prima di tutto Putin non è pazzo. Sa quello che fa. Ha lanciato un’operazione speciale con degli obiettivi limitati, non ha alcun interesse a farsi trascinare in una guerra generale. D’altra parte non ne avrebbe neanche i mezzi. Il suo principale problema oggi è la demografia. In Russia mancano giovani. E non si può fare la guerra se non si hanno i soldati».
Può sempre affidarsi ai nordcoreani.
«I nordcoreani li sta impiegando ora come carne da cannone, insieme agli srilankesi. Ma Putin sa benissimo che non potrà chiedere una mobilitazione generale. Rischierebbe di essere la sua fine. Come ai tempi dell’Afghanistan, quando le proteste delle madri dei soldati fecero vacillare il potere sovietico».
Tanto ora ci penserà Trump a far finire la guerra.
«Sì. Putin ne sarà felice. Ora gli restano un paio di mesi per sistemare gli ultimi aspetti sul territorio, per esempio riprendersi i territori del Kursk. Poi accetterà di buon grado il cessate il fuoco imposto da Trump. Dal canto loro gli ucraini non avranno altra scelta, visto che dipendono dalle armi degli occidentali».
Putin dirà di aver vinto?
«Non avrà perso. Avrà raggiunto i suoi obiettivi, perché potrà tenersi il Donbass e la Crimea e si sarà garantito che l’Ucraina non entri a far parte della NATO».
Ma avrà dovuto cedere a Trump.
«Non avrà altra scelta. Dovrà accettare che venga formata una zona demilitarizzata tra i due Paesi, sorvegliata dalla NATO. Ma avrà vinto su altri aspetti. Sono sicuro che funzionerà».
Quindi il suo libro diventerà già obsoleto?
«No, il mio libro resta attuale nel mettere in discussione la politica di armamento portata avanti dalla consigliera federale Viola Amherd, che è basata, quella sì, su schemi obsoleti».
Perché?
«Perché la Svizzera non rischia un’invasione di terra. Io dico sempre che noi siamo il passeggero clandestino della NATO, perché non ne facciamo parte ma territorialmente ne siamo al centro. Siamo circondati da Paesi amici, con i quali non faremo la guerra. E se qualcun altro volesse attaccarci, dovrebbe prima attaccare i nostri Paesi amici e quindi la NATO».
Oggi sono amici, domani magari no.
«Il mondo è cambiato. I Paesi europei sono enormemente interconnessi tra di loro. Delle dispute sono sempre possibili ma i Paesi democratici hanno scelto di non usare più la guerra come metodo di relazione fra gli Stati. L’educazione e la civilizzazione sono cambiate, la gente non è più disposta a combattere».
Perché allora la Svizzera continua a ragionare con vecchi schemi?
«Io facevo parte della commissione Vogt e ne sono uscito poco prima della fine dei lavori per mostrare il mio disappunto. Perché la commissione era composta in gran parte da militari che non hanno alcun interesse a cambiare. Erano come sollevati nell’apprendere che al confine ucraino si combatteva come nel 1914. Loro difendono l’Esercito che conoscono».
Viola Amherd non riesce a imporre una visione più moderna?
«Io penso che Viola Amherd non abbia una visione. Sembra limitarsi ad ascoltare ciò che le si dice. Non ho molta stima per queste persone, quelle che hanno deciso di acquistare gli F-35 ancora prima di fare le valutazioni. Volevano questo aereo perché è americano, è bello, è il top. Ma avrà un costo assolutamente incredibile e ci causerà un sacco di problemi».
Non ha appena detto che l’F-35 è il top?
«L’F-35 è un aereo furtivo, che può entrare in territorio nemico senza essere visto, attaccare in profondità. In questo è imbattibile. Ma in Svizzera la furtività non serve a niente. Noi avevamo bisogno di un velivolo per la polizia aerea e in questo l’F-35 non è ottimale, perché richiede sviluppi incredibili e ha dei costi esorbitanti, 60.000 franchi per ora di volo. Questo lo sanno in tutti i Paesi ma noi in Svizzera preferiamo non vederlo».
In pratica, stiamo buttando via i soldi.
«Li stiamo spendendo male. Io sono disposto a spendere per un Esercito che risponda ai nostri reali bisogni. Così come sono favorevole a un maggiore impegno della Svizzera nella promozione della pace, nella cooperazione allo sviluppo, nella lotta ai cambiamenti climatici».
Come mai lei , da giovane militante di sinistra, ha fatto la recluta e non l’obiettore di coscienza?
«Io sono un bambino della generazione Allende. Avevo 16 anni quando c’è stato il colpo di stato in Cile. Sono partito dal principio che bisognava a tutti i costi evitare un esercito di professionisti. Io volevo avere un fucile in casa per difendere i diritti democratici».
Era un buon soldato?
«Ho fatto parte di un comitato di soldati, ho avuto qualche problemino e ho fatto un po’ di carcere. Ma a parte ciò ho completato i miei corsi come soldato di fanteria. Il militare mi ha permesso di passare dei bei momenti, di uscire da quell’ambiente un po’ elitario degli studenti di medicina e di conoscere altra gente con cui siamo amici ancora oggi».