Il sogno negato di Golda Meir

«Mai più», avevamo detto, quando si cominciò a parlare di istituire un Giorno della Memoria affinché gli orrori della Shoah, il genocidio programmato di una intera popolazione solo per motivi di identità religiosa, non venisse dimenticato e non si potesse ripetere. Erano passati più di 50 anni da quando le truppe dell’Armata Rossa, il 27 gennaio, spalancarono i cancelli di Auschwitz trovandosi di fronte a una carneficina che non avrebbero potuto immaginare nemmeno negli incubi più spaventosi. Ci volle poi una trentina di anni affinché chi era sopravvissuto trovasse la forza di testimoniare in pubblico, vincendo la vergogna per quello che aveva subito, la paura dell’incredulità altrui e la forza di rivivere, attraverso la verbalizzazione del ricordo, l’inferno di una esperienza disumana e disumanizzante.
«Mai più» si è ripetuto in questi anni, ogni 27 gennaio. E invece, è successo di nuovo, almeno simbolicamente nella percezione dei discendenti di chi dalla Shoah è riuscito a scampare e a creare un nuovo futuro di speranza in Israele. Il 7 ottobre, con le barbarie perpetrate dagli aguzzini di Hamas, filmate e diffuse in rete dai terroristi stessi con compiacimento e orgoglio, ha causato uno choc che chi non è ebreo e israeliano difficilmente riesce a comprendere. Perché un bebè messo a cuocere nel forno per voi non ebrei è un gesto terribile, a noi evoca i milioni di ebrei diventati fumo. Perché le donne alle quali è stata tagliata la pancia, e i piccoli feti lasciati ad agonizzare vicino a loro, per voi sono pura barbarie, a noi ricordano i truci esperimenti di Mengele.
E le ragazze stuprate e poi squartate, quello è un copione che ben conosciamo dai lager nazisti, non solo un fenomeno da #meetoo. Perché i balli sfrenati sui cadaveri ancora caldi di ragazzi innocenti che assistevano a un concerto per la pace, per voi sono solo immagini violente di routine, alle quali la televisione vi ha abituati, a noi evocano il sadismo delle SS per le quali uccidere un ebreo era una forma di intrattenimento, di tiro al piattello, una gara di abilità. Se non si capisce questo, non si può capire la reazione di Israele.
Israele è nata come riscatto dalla Shoah - e infatti il Giorno della Memoria lì non si è mai celebrato con grande enfasi - i sopravvissuti volevano dimenticare. Non solo quello che era successo, ma anche l’immagine millenaria di ebrei vittime inermi - una immagine peraltro che è stata spesso loro contestata, come se fosse una colpa non aver saputo difendersi ed evitare l’Olocausto. Volevano fondare un Paese con un grande esercito - capace di garantire ai cittadini la sicurezza, la certezza che mai più sarebbe successo. Un Paese ammirato da tutti per i suoi risultati nel campo della scienza, dell’arte della tecnologia - mai più nascondersi e vergognarsi di essere ebrei. Un Paese bello, rigoglioso, un deserto fiorito, una terra di latte e miele, come prometteva la Torah, dopo secoli miserabili a nascondersi dai pogrom nei poverissimi shtletl dell’Europa dell’Est.
Il «Mai più» è ritornato il 7 ottobre, e rende particolarmente difficile parlare oggi di Giorno della Memoria. Perché si ha l’impressione di una vuota retorica - la realtà sono le manifestazioni pro Hamas, lo slogan «From the river to the sea» urlato nei campus universitari americani più prestigiosi e nei cortei di giovani in tutto il mondo (un ironico video girato dalla cantante Noa intervistando i manifestanti, ha rivelato che quei ragazzi non sanno né di che fiume né di che mare si tratta, non hanno alcuna idea della situazione politica della zona, di dove si trova Gaza e del ruolo di Hamas).
L’attuale guerra, con il suo aberrante numero di vittime civili, con popolazioni intere, da una parte e dell’altra, costrette a lasciare le proprie case e a vivere di elemosina - che spesso non arriva -, ha responsabilità gravi da entrambe le parti. In Israele, un governo che chi scrive condanna senza esitazioni, per ciò che ha fatto al Paese, per come ha stravolto la nostra identità e i nostri valori, per la mancanza di empatia ed equità verso i nostri fratelli palestinesi, per aver ignorato gli allarmi di pericolo, troppo preso a reprimere le proteste di metà della popolazione contro una leadership teocratica che troppo ricorda gli ayatollah. Un governo che ha le sue radici ideologiche nell’omicidio di Rabin, nel momento in cui stava per firmare l’accordo per i due Stati, e che ha fatto di tutto, anche finanziando indirettamente Hamas, per impedire la realizzazione di quel progetto di convivenza, l’unico possibile, perché non si può ignorare la Storia, perché Israele è nata come progetto di democrazia, e perché uomini, donne, bambini insediati sul territorio hanno diritto di essere rappresentati, che siano arabi o ebrei.
Hamas, perché è una formazione terrorista che non mira a una soluzione politica, ma vuole solo annientare gli ebrei, come è scritto nel suo statuto, e perché utilizza i civili come carne da macello, come scudo alle proprie postazioni militari, ai loro estesissimi tunnel, che si trovano sotto gli ospedali, le scuole, le abitazioni. I civili palestinesi morti sono un mezzo di aberrante propaganda per i terroristi di Hamas, per i quali la vita umana non ha valore, le persone, le donne, i bambini sono solo numeri per attizzare l’odio verso Israele, più morti più odio. E questo non viene detto abbastanza. Si condanna - giustamente - il governo di Israele (da non confondere con gli Israeliani tutti e gli ebrei tutti) ma non si condanna il genocidio di Hamas verso il suo popolo.
In questo Giorno della Memoria, se qualcosa può essere detto sono le parole di una grande donna e di una grande statista, Golda Meir. «Vi potremo un giorno perdonare per aver ucciso i nostri figli, non vi perdoneremo mai per averci costretti a uccidere i vostri. Una pace sarà possibile quando gli arabi dimostreranno di amare i propri figli più di quanto odino noi».