Il tempio pagano di Diego Armando Maradona
Antonio Esposito detto Bostik, perché da ragazzino quando giocava a calcio riusciva a tenere il pallone incollato al piede, qualche giorno fa guardava soddisfatto il presidente Aurelio De Laurentiis, l’allenatore Antonio Conte e il capitano del Napoli Giovanni Di Lorenzo, poggiare i mazzi di fiori in un ex parcheggio in via Emanuele De Deo, un tempo piazza di spaccio e oggi «chiesa» laica, con tanto di altarino pagano, dedicata al più grande calciatore di tutti i tempi: Diego Armando Maradona. Esposito, un tempo a capo del gruppo di tifosi partenopei «Teste matte», è l’uomo che ha valorizzato il murale di Maradona e lo ha portato a diventare il secondo luogo più visitato in Italia: 6 milioni e mezzo di persone, gran parte turisti, solo lo scorso anno sono arrivate qui, nel cuore dei Quartieri Spagnoli, in pellegrinaggio. Il murale ha superato luoghi storici di grande valore culturale come gli scavi di Pompei (4 milioni) o gli Uffizi di Firenze (5 milioni). Gli ha resistito soltanto il Colosseo a Roma con 12 milioni di visitatori. Ora, è pur vero che nei musei e nei siti archeologici si paga un biglietto d’ingresso e dunque è più facile registrare esattamente il numero di visitatori, ma il calcolo (che non ha nulla di scientifico) fatto dall’associazione delle agenzie di viaggio potrebbe avvicinarsi molto alla crifa reale. E questo perché chi passa da Napoli, e quest’anno il flusso - secondo l’osservatorio istituito dal Comune - è stato di 14 milioni e mezzo di turisti (più 15 per cento, mentre il prossimo anno con il Giubileo se ne attendono 17 milioni), una tappa ai Quartieri Spagnoli, anche solo per curiosità, la fa sicuramente.
L’ipotesi di un vincolo
Esposito è il custode di questo «santuario» e conserva un registro dove i turisti che passano a Napoli da tutto il mondo lasciano una frase, un ricordo, una firma. Qui sono arrivati un po’ tutti: allenatori di calcio, sportivi, imprenditori e tanta, tanta gente comune, oltre ai tifosi di squadre europee e sudamericane. E non soltanto De Laurentiis, Conte e Di Lorenzo pochi giorni fa hanno voluto rendere omaggio a Diego a quattro anni dalla sua scomparsa, ma sono giunti anche un gruppo di tifosi del Boca direttamente da Buenos Aires. Perché il murale, nel tempo, è diventato la tomba in Italia di Maradona, il luogo di culto del popolo. Non una semplice opera d’arte urbana, ma un autentico simbolo che incarna l’anima e la passione per Maradona, oltre il suo indissolubile legame con la città. Un luogo che ora la Soprintendenza, in accordo con il Comune e il sindaco Gaetano Manfredi, vuole salvaguardare come un autentico monumento vincolandolo.
Il restauro in tre momenti diversi
E dire che tutto è nato da un’idea che risale ormai al 1990 per non dimenticare il secondo scudetto del Napoli. La firma sul murale è di un artista, Mario Filardi, che però sino ad allora aveva solo fatto tatuaggi. La scelta, a quel tempo, cadde sulla facciata di un palazzo che guarda uno spiazzo dove c’era un parcheggio. Il disegno originariamente non era neppure bellissimo, anche il viso non assomigliava a quello del Pibe. Ma andava bene così, era stato fatto tutto «in economia», alcuni abitanti dei vicoli avevano portato la pittura di un colore, altri di un altro colore, chi avevo messo a disposizione una scala, chi una piccola impalcatura, una donna anziana aveva offerto uno specchio per creare l’orecchino. Il murale era rimasto custodito nel quartiere, fuori dalle rotte del turismo.
Ventisei anni dopo, e siamo nel 2016, le intemperie avevano reso quel disegno sbiadito, in alcuni punti la facciata si era sbriciolata, il volto che pareva preso in prestito da un fumetto, era diventato irriconoscibile. Un artista del riciclo nonché restauratore, Salvatore Iodice, decise che era arrivato il momento di metterci mano. E così chiese alla famiglia di Filardi, nel frattempo scomparso, foto e disegni del suo lavoro. «Ho impiegato due giorni a rifare tutto», ha raccontato.
La finestra sul volto
Nel frattempo, però, proprio dove era disegnata la testa di Maradona era spuntata una finestra. Iodice a qual punto aveva installato un pannello in legno per recuperare lo spazio. Un’operazione avvallata dall’inquilino della casa, Ciro Vitiello, professione salumiere. Ora la finestra resta sempre chiusa, viene aperta solo la sera, quando la piazza lentamente si svuota (anche se poi le celebrità arrivano qui a portare un mazzo di fuori nella notte per non essere disturbate). «L’arte è generatrice di positività», ha spiegato Iodice in una intervista a Repubblica, sottolineando come la spinta di una passione sportiva, l’amore verso un simbolo come Diego, possa trasformare un’area un tempo degradata e problematica a simbolo di riscatto di un intero quartiere oggi sempre più attraversato dai flussi turistici.
Il giorno della scomparsa
Quando il 25 novembre di quattro anni fa a Napoli come una improvvisa stilettata è arrivata la notizia della morte di Diego, la sua gente, il popolo napoletano ha deciso spontaneamente che quello doveva essere il luogo dove ricordarlo per sempre e ha affollato lo spiazzo dei Quartieri trasformandolo in tempio di culto pagano, con una sua specifica «sacralità», con centinaia di sciarpe di tutte le squadre del mondo, fotografie, lettere. Un «sacrario» dove pregare, portare un fiore o anche solo celebrare le ricorrenze, oltre che un luogo di festa, come quella per il terzo scudetto atteso per 33 anni. È così è stato.
È l’ultimo, grande regalo che Diego ha fatto alla sua città, al luogo dove sentiva di essere amato e dove era stato felice. Sarà un caso ma l’ultimo e terzo parziale restauro del murale, con il viso che finalmente assomiglia a quello di Maradona, porta la firma di un giovane e già affermato artista argentino, Francisco Bosoletti.