Cultura

Il tempo ritrovato di Villa Heleneum

In un edificio che ha novant'anni, le visioni di chi l'ha abitato hanno segnato un'armonia di ideali, tra scienza e arte
© CdT/Gabriele Putzu
Francesco Paolo Campione
22.12.2024 06:00

Ogni luogo ha la sua storia e le storie possono essere lontane, recenti, fantastiche e, oggi, anche virtuali. Meno scontato è che un luogo abbia anche un’«antropologia», sostanza che oltrepassa la vocazione: è l’addensarsi, tutt’intorno a un nocciolo, d’investimenti emotivi, di significati e di esperienze che - nel loro insieme - configurano le attitudini di una predestinazione elettiva.

Per alcuni è una «magia»; per altri è la concreta manifestazione della stratificazione di fenomeni capaci di suscitare i valori profondi della nostra vita.

Nel corso di novant’anni, nelle sale dell’Heleneum - edificio tornato in queste settimane prepotentemente alla ribalta - hanno abitato gli ideali del cosmopolitismo, del viaggio interiore, della ricerca senza confini del bello, dell’armonia fra scienza e arte.

A prescindere dai diversi usi che la villa ha avuto nel tempo, vi hanno preso corpo le visioni di chi l’ha abitata; visioni inesauribilmente nutrite da una conoscenza vasta e profonda della realtà e dal desiderio di condividere tale conoscenza senza confini.

Come accade raramente, nel caso dell’Heleneum la storia e l’antropologia hanno trovato una perfetta simbiosi con lo scenario naturale. Chi ha visitato almeno una volta la villa e il suo parco sa che a quieti quadri d’ambiente fanno da contrappunto marcati contrasti, in un paesaggio che sembra abbozzato di luce diafana e definito da giochi d’ombre talora bizzarri. La superficie delle acque in continuo movimento, che virano dall’ottanio a un intenso verde smeraldo, fa intuire vertiginose profondità che attenuano la rassicurante vicinanza delle rive, permettendo alla mente d’immaginare avventurosi viaggi in terre lontane. Spesso nel cielo coppie di poiane che nidificano sugli alti monti, fra i quali il lago è incastonato come un gioiello, scendono per cerchi concentrici sino al pelo dell’acqua, offrendosi come misteriosi messaggeri allo sguardo di chi siede sui larghi scalini della darsena, aspettando il tempo che passa.

Il genius loci

L’Heleneum fu edificato sul terreno lasciato libero nel 1930 dalla demolizione della preesistente Villa Caréol, costruita nel 1815 dall’architetto bernese Johann Friedrich Häfliger e passata poi in mano all’antroposofo Oscar Bolz, che, nel 1929, lo vendette a sua volta a Hélène Margarethe Bieber.

Donna energica e volitiva, dalla personalità estroversa e cosmopolita, la Bieber, nata a Francoforte sul Meno e parigina di adozione, giunse ben presto alla conclusione che per fare della sua nuova dimora un luogo d’incontro mondano e di animazione culturale, di cui - alla moda dei salotti degli anni Venti - intendeva divenire ispiratrice e musa, occorreva costruire un altro genere di edificio.

Helene Bieber
Helene Bieber

Decise così di affidare il progetto della nuova villa all’architetto berlinese Hugo Dunkel, il quale prese spunto dal Petit Trianon di Versailles, sostituendone gli elementi più monumentali con altri più aggraziati e rispondenti alla delicata atmosfera delle rive dei grandi laghi prealpini.

La costruzione della villa, per la quale furono adottate tecniche ingegneristiche allora all’avanguardia, richiese un periodo piuttosto lungo e - dopo la morte di Dunkel - fu portata a termine nel 1934 dell’architetto zurighese Karl Knell.

La scelta del nome fu già l’espressione di un programma. In latino «Heleneum» (il «sito di Hélène») è, infatti, un toponimo che lega intimamente un luogo alle sue funzioni e ai suoi destini. Ma vi è di più. Nell’idea della Bieber, l’edificio interagiva - come un vero e proprio spazio esistenziale - in un tutt’uno indissolubile con il parco di piante esotiche, con la trama di architetture che innervavano il giardino e con l’intensa ed emozionante quinta del lago.

Il rifugio dello spirito

Alla morte di Hélène Bieber, che legò le sue cospicue sostanze a cinque diversi enti di beneficenza, i municipi di Castagnola e di Lugano (Comuni poi aggregatisi nel 1972) si accordarono per acquistare l’Heleneum in comproprietà, deliberando sin dall’inizio di destinarla a una funzione prettamente culturale.

A inaugurare la rinnovata destinazione della villa furono i corsi di perfezionamento organizzati da Carlo Florindo Semini, all’epoca capo del dipartimento di musica sinfonica e da camera della Radio della Svizzera italiana.

Per un paio d’anni l’Heleneum assunse così una dimensione appartata, ma affatto periferica, di centro di alta formazione musicale, cui collaborarono maestri di levatura internazionale come Franco Ferrara e, soprattutto, Arturo Benedetti Michelangeli che, una decina d’anni prima, aveva eletto il Ticino come sua residenza.

Benedetti Michelangeli
Benedetti Michelangeli

In seguito, per il quadriennio 1970-1973, l’Heleneum fu sede dell’Istituto Ticinese di Alti Studi (ITAS), animato e diretto da Elémire Zolla, letterato, filosofo e storico delle religioni, fra i massimi conoscitori della mistica occidentale e orientale.

Per la levatura degli interventi ai convegni che ne scandirono l’attività, l’ITAS diede un contributo significativo al dialogo e al confronto scientifico, al più alto livello internazionale, sui temi dell’antropologia religiosa, delle religioni comparate, dell’arte e delle religioni delle civiltà dell’Oriente e della conoscenza religiosa, quest’ultima intesa anche in senso filosofico quale dottrina per l’accrescimento della qualità spirituale della vita.

Fra gli esiti più concreti dell’attività dell’ITAS, vi furono l’avvio della rivista «Conoscenza religiosa» e la nascita della celebre collana «Cultura nuova», diretta da Alfredo Cattabiani per i tipi della Rusconi.

La stagione scientifica

Nel 1973, su iniziativa di Ferruccio Bolla e altri, l’Heleneum divenne la prima casa dell’Istituto per gli studi semantici e cognitivi (ISSCO), creato dalla Fondazione Dalle Molle per gli studi linguistici.

L’obiettivo dell’ISSCO era di mettere a punto un sistema di traduzione automatica, tramite ricerche nel settore delle scienze cognitive e della semantica, con una strategia di ricerca interdisciplinare che comprendeva la linguistica, la psicologia e l’intelligenza artificiale. Nacquero così, nei saloni dell’Heleneum, oltre venti pubblicazioni, annoverate oggi fra i classici della materia e il primo volume pubblicato sulla semantica computazionale.

Fin quando l’Istituto non fu trasferito nel 1976 all’Università di Ginevra, l’Heleneum fu la sede di un centro di ricerca celebre, in cui lavorarono studiosi provenienti dalle più importanti università del mondo. Il primo «Lugano Tutorial», realizzato nel 1975, vide la partecipazione di oltre cento studiosi provenienti dall’Europa, dagli Stati Uniti e dall’Australia.

Le affinità segrete

A seguito della donazione al Comune di Lugano decisa nel 1984 da Serge Brignoni e dalla sua prima moglie Graciela Aranis, su suggerimento, fra gli altri di Graziano Papa, Benedetto Bonaglia e Paolo Morigi, l’Heleneum fu identificato come sede del Museo delle Culture (MUSEC). Dopo quattro anni di lavoro, nel settembre 1989 il Museo aprì presentando al pubblico la meravigliosa collezione di opere d’arte dell’Asia e dell’Oceania che costituiva la quintessenza di quanto Brignoni aveva collezionato nel corso della vita.

L'inaugurazione con Brignoni e Giudici
L'inaugurazione con Brignoni e Giudici

Per Brignoni, come per tutti gli altri artisti delle Avanguardie, l’arte etnica materializzava, in modo pienamente compiuto, alcune delle principali riflessioni estetiche che avevano portato al definitivo superamento delle poetiche del realismo occidentale. Egli concepì il nuovo museo come una preziosa occasione di estendere in senso universale la riflessione sul valore della creatività. Nel 2004, la svolta intrapresa dal Comune di Lugano per ridisegnare modernamente l’identità della città individuò il MUSEC come rilevante attore di sviluppo. Nel volgere di pochi anni il museo visse una fase d’intensa crescita, accompagnata da un ingente incremento delle collezioni.

Fra il maggio 2005 e la fine del 2015, grazie a un moderno sistema integrato di attività, il museo realizzò 81 esposizioni temporanee, di cui metà a Lugano e metà in oltre venti città diverse, in Svizzera, Italia, Francia, Danimarca e Giappone, pubblicando 64 volumi, in più lingue, frutto della ricerca originale svolta nei campi dell’antropologia dell’arte e delle arti etniche, popolari, orientali e contemporanee.

L’ultima breve parentesi

Dopo il trasferimento del MUSEC a Villa Malpensata, completato nel 2018, l’Heleneum fu affidato nel 2022 alla Fondazione Bally, emanazione culturale dell’omonima marca di moda, che dall’anno successivo, e sino al prossimo gennaio, l’ha adibita a sede di esposizioni d’arte contemporanea.

Una breve parentesi, in una storia, e in un’antropologia, che meritano di essere preservate per rimanere patrimonio pubblico di una comunità, mai come oggi, cosmopolita e alla ricerca di veri luoghi dell’anima. Trasformare l’Heleneum in una residenza privata, o in qualcos’altro che non rispetti la sua autentica vocazione, significherebbe non soltanto snaturare un luogo, ma anche sopprimere una storia e un’antropologia. Per una città come Lugano, che ha già smarrito gran parte delle tracce del proprio passato, corrisponderebbe a un’ulteriore e grave perdita di identità.

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