Il ticinese che si è dimesso da Google

Andarsene dal miglior luogo di lavoro al mondo senza avere un piano B, non è da tutti. Patrik Reali ci ha pensato su a lungo e alla fine, dopo vent’anni nel quartier generale di Google a Zurigo, ha deciso. Ha preso la strada della porta, ha fatto un respiro profondo ed è uscito: senza rimpianti.
La decisione - diciamolo subito - non c’entra niente con i tagli annunciati da Big G l’anno scorso e non è stata «per niente traumatica anzi piuttosto una separazione consensuale tra amici di vecchia data» racconta il 50.enne luganese. «A un certo punto uno sente il bisogno di nuove sfide, si guarda intorno e capisce che forse è il momento giusto».
Reali è un informatico di razza e anche se ha ancora tutta l’aria del giovane nerd «smanettone» - jeans e scarpe da trekking, si sposta sempre in bici: quando lo abbiamo incontrato in centro a Zurigo sembrava appena sceso da un’escursione in montagna - in realtà è il contrario di un novellino. È stato uno dei primi venti dipendenti - software engineer - assunti da Google in Svizzera, nei primi anni Duemila: con il tempo è arrivato a guidare un team di una cinquantina di persone, specializzate in sostenibilità e progetti sull’impronta ecologica.
Il colosso sulla Limmat
«È stata una sfida entusiasmante, agli inizi lo spirito era ancora quello di una startup in cui non avevamo paura di sperimentare» ricorda Reali. Gmail era appena nata, non esistevano gli smartphone né YouTube. «L’innovazione era generata dalla necessità e tutti eravamo coinvolti». Con gli anni Google è diventato un colosso che fa di tutto, dai social alle auto autonome, e gli «zooglers» - come vengono soprannominat i i Googler zurighesi - sono oggi circa 5.mila divisi in due sedi a Enge e in Europallee. «La valorizzazione del talento e della creatività, così come la ricerca dell’eccellenza, è rimasta una costante in azienda, ma le esigenze sono cambiate e anche la scala di grandezza: i prodotti maturi richiedono un lavoro diverso dai prodotti nuovi» riflette l’informatico dottorato al Politecnico di Zurigo, che dentro ‘Big G’ ha passato gli ultimi anni «come chiuso dentro una bolla in qualche modo isolata» ammette. «Ero più sintonizzato con la Silicon Valley che con il mondo là fuori, ora me ne accorgo».
La sfida di rimettersi in gioco
Il desiderio di tornare a «sporcarsi le mani» con la programmazione e cambiare prospettiva sulla tecnologia è coinciso con una fase di riorganizzazione interna - a Google «avvengono periodicamente, è una realtà ancora molto dinamica» ricorda l’ormai ex dipendente - e Reali ha colto la palla al balzo. «Mi sono trovato a un bivio, continuare per la strada nota oppure rimettermi in gioco, ho optato per la seconda». Le opportunità nell’informatica non mancano (tanto con un lungo curriculum e un buon network) ma il 50.enne al momento non ha ancora scelto cosa fare «da grande» assicura. «Voglio prendermi il tempo per riflettere». Nel frattempo «là fuori» ne sono cambiate, di cose: l’AI spopola ed è «sicuramente la grande rivoluzione del momento» davanti a cui Reali non si tira indietro, anzi. «Nel mio gruppo di lavoro usavamo l’intelligenza artificiale già da un decennio, a dire il vero: la differenza ora è l’intelligenza generativa, che apre scenari nuovi sia dal punto di vista delle applicazioni pratiche che per quanto riguarda le conseguenze sociali e sul mondo del lavoro. È come avere un turbo nel motore: di sicuro andremo più veloci, ma non conosciamo ancora la strada».
Le carte del Ticino
La strada di Reali, probabilmente, non lo riporterà in Ticino. Zurigo «è una realtà in grande fermento con diversi player nel mondo dell’IT che stanno investendo - osserva - è un luogo sempre più interessante dove vivere e lavorare». Anche se -sottolinea con orgoglio - il Ticino «ha diverse punte di eccellenza e può e deve giocarsela non tanto sulla massa quanto sulla specializzazione».
La sua storia personale in fondo lo dimostra: da Lugano si può arrivare ovunque. E la Svizzera italiana a sua volta «ha molte carte da giocare per attirare talenti in un contesto dove il telelavoro è sempre più diffuso». Vivibilità, clima mediterraneo, costo della vita inferiore: non a caso durante la pandemia diversi collaboratori di Google da Zurigo si sono trasferiti a lavorare in modalità «remoto» a sud delle Alpi. «Le distanze fisiche oggi non sono più un limite nel nostro settore e il nomadismo digitale è senz’altro una tendenza in corso, da cui il Ticino può trarre benefici» osserva Reali.
L’ormai ex «zoogler» non è un nomade digitale almeno per ora - a Zurigo ha messo su famiglia - e nemmeno un cripto-entusiasta, per citare un’altra recente «specializzazione» della piazza luganese. «Ho sempre seguito una vecchia regola: se una cosa non la conosco, non ci metto le mani - spiega -. Senza nulla togliere alla portata innovativa delle criptovalute». Al momento, l’unica proposta di lavoro che ha accettato «è stata quella di un amico insegnante - racconta -. Andrò a fare una settimana di supplenza in un liceo» racconta Reali. «Lo faccio un po’ per gioco, un po’ perché l’idea in qualche modo di insegnare o lavorare nella trasmissione del mio know-how mi interessa. Vedremo eventualmente in quale forma». Reali ha fatto delle supplenze alla SUPSI una vita fa. «La formazione delle future generazioni è la sfida più importante». Anche questo, in qualche modo, è pur sempre un ritorno.