In fabbrica si è tutti uguali
Gli occhi di Irma sorridono già in lontananza ma molto di più quando racconta quanto le piaccia il suo lavoro di responsabilità. E in effetti è proprio così. Le sue mani preparano un’importante componente per un prodotto di punta della Schindler che a Locarno ha una delle sue succursali di produzione di ascensori. Occhi che sorridono, mani che lavorano. In fondo sta tutto qui il segreto di un mestiere che fa felici. Ancora di più se si ha una disabilità e si ha intenzione, un giorno, di ridiventare del tutto autonomi. Un sogno a cui qui alla Schindler aspirano otto persone con differenti gradi di disabilità grazie all’azienda e alla Fondazione Diamante che a Locarno come altrove ha sviluppato un modello di integrazione unico nel suo genere e che fa felici tutte le persone e gli attori in gioco.
«Un progetto unico e speciale»
«Attacco un filo qui, poi inserisco questo e voilà, il gioco è fatto». Irma inizia a parlare della sua vita mentre racconta anche quello che ha imparato a fare seduta alla sua postazione del reparto di pre assemblaggio. Un tavolo, una sedia e una sfilza di piccoli oggetti all’apparenza tutti uguali che se ne stanno ognuno dentro a una scatoletta. «Sono diplomata come parrucchiera, preparavo le modelle per le sfilate di moda. Ho viaggiato tanto nella mia vita». Le dita vanno veloci, come la lingua. Accanto a lei c’è George, che guarda il piano di lavoro, ascolta e sorride. Anche lui fa parte dello stesso progetto di integrazione. George è molto giovane e molto timido. «Il lavoro mi piace e mi trovo bene», sottolinea. Sembra molto concentrato e attento a quello che sta facendo e forse per questo non si perde in mille parole. La sua attenzione è tutta su quello che sta facendo, come se non ammettesse altro.
Carmine Iannacone, che è il capo della produzione e quindi anche il responsabile del reparto, non riesce a trattenere un sorriso di dolcezza. «Lavoro alla Schindler da 35 anni - confida - e questo progetto è sicuramente tra i primi tre per importanza. È incredibile la carica di energia che sono capaci di trasmettere Irma, George e tutti gli altri». Anna Bastone, che è responsabile del personale, gli dà ragione. «Ogni volta che li incontro mi sorprendono per la loro felicità. Questo è davvero un progetto unico e speciale e loro sono delle persone esempio». Bastone non ha dubbi. «Da noi le persone con disabilità sono completamente integrate. Ma d’altronde l’inclusione alla Schindler non è un termine vuoto o usato a caso. Inclusione per noi significa ad esempio anche più posti di leadership occupati dalle donne».
In reparto da 37 anni
Per arrivare alla sua postazione di lavoro ultra personalizzata con foto incorniciate, quadretti e piccoli giocattoli, Stefano può usare un accesso diretto con un ascensore pensato esclusivamente per le sue necessità. Stefano deve infatti usare un girello per camminare perché la sua mobilità non è perfetta. «Lui ha il compito di tagliare i piedini di alcuni componenti elettronici che vengono montati nelle schede elettroniche», spiega Iannacone. «Sono qui da 37 anni e mi trovo molto bene. Ho fatto amicizia con tanti colleghi molto simpatici», chiarisce Stefano che si vede essere a suo agio tra linee di produzione, transistor, fili e bulloni. Esagerando un po’ si direbbe che non ci rinuncerebbe per nulla al mondo. «No, no, tra poco sono in età da pensione e non mi dispiace andarci», confessa a bassa voce, sornione, prima di rimettersi al lavoro con dedizione.
Dalla prima assunzione al gruppo integrato
Del resto Stefano è stato tra i primi collaboratori della Fondazione Diamante a essere stato assunto dalla Schindler nel 1988, quando ancora l’inclusione non era così di moda o almeno non si parlava così tanto di responsabilità sociale. Alcuni anni dopo, era il 1993, sempre la Schindler ha fatto un passo in più. decidendo di esternalizzare alcune mansioni alla Fondazione Diamante che nel frattempo aveva aperto un laboratorio a Tenero, il Cabla. «Con il tempo abbiamo esteso le nostre collaborazioni anche ad altre aziende del settore industriale professionalizzando le nostre attività«, precisa Stefano Bernaschina che del laboratorio è responsabile.
Nel frattempo, nel 2021, sempre insieme alla Schindler viene aperto il progetto «gruppo integrato» all’interno della fabbrica. Un progetto «innovativo e interessante - continua Bernaschina - perché offre alle persone in situazione di handicap che hanno il desiderio di sviluppare le proprie competenze di lavorare in un contesto lavorativo ordinario e fuori dal laboratorio protetto». Le otto persone con disabilità impiegate sono infatti seguite in azienda da due operatori a tempo parziale. Il modello sviluppato alla Schindler si pone insomma come una via di mezzo tra un laboratorio protetto e l’inserimento lavorativo autonomo.
Nel cuore definitivamente
Marco Schiavon, che qui alla Schindler è responsabile della logistica, ha ben in mente quello che Bernaschina ha appena detto. «Prima di trovare un’occupazione autonoma, Giulio, che presentava una difficoltà di tipo cognitivo, ha lavorato da noi per 7 mesi come magazziniere. Era molto bravo e ci è dispiaciuto vederlo andare via». La sua espressione è seria. Si capisce lontano un miglio che non ha usato frasi di circostanza. «Ora stiamo valutando altri curriculum», si lascia scappare abbassando gli occhi. Forse è solo una sensazione ma il suo linguaggio del corpo sembra indicare che questa persona gli sia rimasta nel cuore definitivamente.
A prima vista può sembrare assurdo o strano. Ma le persone come Irma, George, Stefano e Giulio sembrano possedere una marcia in più. Perché paiono compensare la loro difficoltà con un modo di porsi, di relazionare, di comportarsi che al solo pensarci a Donatella, una dipendente dell’azienda che ha la postazione vicina a quella di Irma vengono gli occhi umidi. «Sì, quando parlo di loro mi emoziono - confessa - Sono persone molto di cuore. Molto gentili, educate, non dicono mai di no e quando entrano in confidenza si lasciano andare anche alle loro emozioni più intime e personali che sono frutto della loro esistenza».
Come tutti gli altri
Efren è talmente integrato che partecipa anche alle attività fuori dal lavoro. Mercatini di Natale, grigliate. La sua postazione è quasi in mezzo all’immenso reparto di pre montaggio. Una postazione come tante. Una linea, uno schermo, varie scatole dove pescare le componenti, attrezzi e ausili meccanici. «Sono qui da un anno e mezzo e mi trovo molto bene anche io. Mi piace interagire con i colleghi e inoltre imparare le varie lavorazioni è davvero interessante. Sì, qui mi sento realmente come tutti gli altri. Mi sembra di essere come un apprendista».
Bernaschina ascolta e annuisce. L’obiettivo del progetto è stato centrato. «Inclusione qui vuol dire non trattare le persone in situazione di handicap come un gruppo ma come singole individualità, come singoli collaboratori dell’azienda. Le persone coinvolte non hanno spazi a parte, come spogliatoi o tavoli nella mensa. Lavorano e vivono la fabbrica come tutti gli altri. La nostra presa a carico ovviamente c’è ma è invisibile ed è questo il segreto del successo di questa iniziativa che grazie alla Schindler ha potuto vedere la luce e confermarsi negli anni». In fabbrica si è tutti uguali, insomma. E questa volta l’accezione è positiva.