Il caso

In piedi, entra la Corte

La destituzione di due giudici, vista da cinque uomini di giustizia: «Non si doveva arrivare fin qui»
© CdT / Gabriele Putzu
Andrea Stern
Andrea Stern
15.12.2024 10:30

«Ma perché allora non sono stati destituiti tutti?». L’avvocato ed ex pretore Carlo Postizzi è perplesso dinanzi al nuovo clamoroso capitolo dell’interminabile saga che vede quali protagonisti i giudici del Tribunale penale cantonale. «Trovo strano che a lasciarci le penne siano solo Siro Quadri e Francesca Verda Chiocchetti, due giudici che per quanto ho potuto vedere hanno sempre lavorato in maniera ineccepibile. Dal punto di vista professionale penso che non ci potesse essere nulla da rimproverare loro. Dopo non saprei esprimermi su come si siano sviluppati i rapporti personali all’interno del tribunale. Ma da quello che si è sentito mi sembrerebbe più grave, dal punto di vista morale, la posizione del presidente Mauro Ermani».

Inviare fotografie di dubbio gusto a una segretaria è un comportamento che, seppur non sfoci nella pornografia, lascia aperto qualche interrogativo, soprattutto se è opera di un uomo di legge. «L’impressione è che Ermani abbia fatto qualcosa di molto discutibile - afferma l’ex giudice istruttore Claudio Lehmann - ma che a pagare siano i due colleghi che l’hanno denunciato. Non sono in possesso degli elementi che potrebbero consentire di giudicare l’accaduto con cognizione di causa, ma questa pesante sanzione nei confronti dei due giudici ha comunque un sapore un po’ strano, tanto più che si tratta di una misura estremamente rara».

Informazione poco trasparente

Il caso che torna alla mente è quello del giudice Franco Verda, arrestato nel 2000 per corruzione nell’ambito del «Ticinogate». Oggi invece siamo di fronte a una situazione molto meno chiara, ciò che rende difficile giudicare la destituzione con effetto immediato dei giudici Siro Quadri e Francesca Verda Chiocchetti. Anche per chi ha passato una vita a giudicare. «Credo che in questa vicenda il diritto di cronaca sia stato un po’ violato - riprende Postizzi -. Sono state sottaciute troppe informazioni rilevanti. Il risultato è che così si aggrava la sfiducia dei cittadini nella giustizia, che già soffre a causa di sentenze che spesso danno l’impressione di essere emesse in maniera troppo approssimativa».

La giustizia esce malissimo da questa vicenda. Su questo tutti sono concordi. «È una vergogna per le istituzioni - afferma l’ex procuratore pubblico Emanuele Stauffer -. Io rifiuto di esprimermi sui fatti perché non ho una visione completa. Ma posso dire che quello cui assistiamo è il frutto di un sistema di nomina completamente bacato. Il Ticino non è attrezzato né nelle persone né nelle istituzioni per avere una funzione degna».

Il risultato è «uno spettacolo assolutamente inaccettabile», come lo definisce l’ex procuratore pubblico Antonio Perugini. «Non voglio giudicare, ci sono istituzioni preposte a dirimere queste questioni - premette Perugini -. Ma quello che posso dire come ex magistrato è che questo è veramente un colpo profondissimo all’immagine e alla credibilità della giustizia».

Cose inconcepibili

Una situazione che, secondo molti, avrebbe benissimo potuto essere evitata. «È una situazione che non doveva neanche scoppiare - afferma l’ex procuratore -. Se penso che tutto è partito da una bega tra due segretarie, mi dico che chi è preposto a dirigere l’ufficio avrebbe dovuto prendere in mano la problematica e risolverla subito».

Invece la situazione è precipitata fino a diventare irrisolvibile. «La situazione era diventata veramente pesante - osserva l’ex procuratore generale Bruno Balestra -. Ora il Consiglio della magistratura ha preso la sua decisione, all’unanimità. Immagino che sia ben ponderata. Ma quello che mi lascia basito è che si sia arrivati a fare denunce penali tra colleghi, internamente alla magistratura. Mi sembra una follia, una cosa inconcepibile».

Di nuovo Perugini sottolinea che i giudici devono essere capaci di risolvere le loro beghe personali con discrezione. «Posso capire se fossero due buontemponi al bar - afferma -, ma qui non ci si è resi conto che si stava compromettendo l’immagine della magistratura. Non mi esprimo su eventuali dimissioni ma come cittadino ed ex magistrato mi sento veramente attonito e sconcertato. È un colpo non dico fatale ma profondo alla credibilità della giustizia».

La separazione dei poteri

C’è infine anche chi, in questo marasma, punta il dito contro il capo delle Istituzioni. «Norman Gobbi deve smetterla di interferire nella giustizia - tuona l’ex procuratore pubblico Paolo Bernasconi -. Ancora una volta il consigliere di Stato leghista strumentalizza un grave problema giudiziario per travalicare il principio fondamentale della separazione dei poteri. Nel suo ruolo di direttore del Dipartimento delle Istituzioni devi limitarsi a mettere a disposizione la logistica, gli uffici, l’informatica e le risorse umane ausiliarie e tecniche. Invece Gobbi continua a interferire, creando in questo modo una cappa che pesa sull’attività dei magistrati.