«In tutta Lugano c'è un po' d'Italia»
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Dopo tre anni a mezzo alla testa della sede diplomatica italiana a Lugano, il console Gabriele Meucci è in partenza per il Guatemala. Il 61.enne milanese tornerà a coprire la carica di ambasciatore, come già in passato in Montenegro e Slovacchia. «Sono felice di lasciare una sede in perfetto stato, che ha molto aumentato la sua produttività, ma anche la sua integrazione nel tessuto culturale locale», dice Meucci.
Signor Meucci, per un diplomatico italiano la sede di Lugano è un premio, poiché sotto casa, o un castigo, in quanto poco esotica?
«Dipende da come uno vede la carriera. Per me è stato come un momento di pausa in una carriera molto intensa, che mi ha visto spesso attivo in situazioni di conflitto. Quando mi è stato offerto di venire a Lugano, l’ho preso come un diversivo».
Stare a Lugano è come stare a casa.
«Credo che sia l’unica sede al mondo dove si parla italiano. Poi io sono lombardo, quindi tutto qui mi è familiare, dalla cucina alla mentalità. È stato un periodo molto piacevole, ho potuto scoprire più in profondità una realtà che prima conoscevo solo superficialmente».
Non veniva mai in Svizzera quanto stava a Milano?
«Sì, da giovane sono venuto spesso in Ticino. Andavamo a sciare al Monte Tamaro, quando ancora c’era la neve. Era così comodo arrivare in autostrada, lasciare la macchina e salire subito in ovovia».
Ora c’è San Bernardino.
«In effetti San Bernardino è una meta gradita a molti miei amici milanesi, proprio per il motivo che vi si può arrivare con una strada facile, senza doversi inerpicare su per le montagne. La mobilità è un aspetto fondamentale».
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Per il resto, che differenze ci sono tra il vivere a Lugano o a Milano?
«Milano è una metropoli, Lugano una piccola città, è impossibile compararle. Quello che osservo, e che spero di aver contribuito a valorizzare, è la crescente dimensione di integrazione regionale. Nel senso che tra Italia e Svizzera si ragiona sempre più in termini di cooperazione transfrontaliera. Sono finiti i tempi in cui tra le due parti del confine ci si guardava in cagnesco. Mi fa molto piacere vedere che i rapporti tra le comunità transfrontaliere, che per altro sono secolari, siano di nuovo pienamente attivi. Gli interscambi sono oggi talmente infiniti che è quasi impossibile catalogarli. Questo lo considero un successo».
C’è ancora qualche scaramuccia, per esempio sul tema dei frontalieri.
«Vabbè, sono tutte scaramucce strumentali a fini elettorali oppure che hanno fondamenti non risolvibili. Voglio dire, i frontalieri si possono assumere o non assumere. Però se uno li assume, non ha senso che in seguito si lamenti di averli assunti».
Lei non vede problemi?
«La questione è: c’è bisogno dei frontalieri oppure no? Se ce n’è bisogno, li si assume e dopo si permette loro di lavorare e soprattutto di viaggiare in maniera decorosa, non stando in coda per ore e ore. Se invece si ritiene che non ce ne sia bisogno, non li si assume. Nessuno è obbligato».
Lei non ha mai avvertito ostilità anti-italiana?
«Il mondo è pieno di gente che ha pregiudizi o è un po’ ignorante. Se stiamo dietro a tutti questi non finiamo più. Io cerco di concentrarmi sulle cose più importanti. Il Ticino e l’Italia hanno una storia di reciproco arricchimento. Senza i soldi degli italiani il Ticino non si sarebbe mai sviluppato e senza il Ticino probabilmente molti capitali italiani non sarebbero rimasti intatti. Questo è il rovescio della medaglia che va riconosciuto. In tutto quello che si vede a Lugano c’è anche un po’ di Italia, perché non è che i soldi sono piovuti dal cielo».
Oggi gli italiani che vengono a vivere in Svizzera quali problemi incontrano?
«Chi viene in Ticino non incontra problemi di integrazione. I territori sono talmente omogenei, la lingua è la stessa, non ci sono difficoltà, a differenza di altre regioni della Svizzera dove chi vuole integrarsi nella società deve superare una barriera linguistica che, specialmente nel caso del dialetto svizzero tedesco, può essere molto impegnativa».
Chi è l’immigrato italiano oggi?
«Oggi sono professionisti, gente che sa dove vuole andare, non è più gente obbligata a partire perché non trova lavoro. Oggi è una scelta voluta, meditata, preparata».
La comunità italiana è in crescita, quindi anche il vostro lavoro è in crescita.
«Ci sono circa 130.000 cittadini italiani registrati in Ticino. Metà sono doppi cittadini, metà sono solo italiani. Quelli che hanno anche la cittadinanza svizzera non si pongono problemi burocratici. Per chi è solo italiano la vita può essere un po’ più complessa, ma le cose si fanno lo stesso».
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C’è chi lamenta una certa lentezza da parte vostra nel fornire i documenti.
«Non tutti si rendono conto, ma la produttività del consolato è aumentata in maniera impressionante, sebbene l’organico sia rimasto fermo a 14 dipendenti. Tra il 2022 e il 2023 c’è stato un aumento del 45% del numero di passaporti rilasciati e del 42% di carte di identità. Tra il 2023 e il 2024 c’è stato un ulteriore aumento del 25% per i passaporti e addirittura del 63% per le carte di identità. È stato uno sforzo immane. Ciononostante ci sono ancora lunghe attese. La Confederazione potrebbe venirci incontro se rilasciasse dei documenti di identità agli stranieri».
Il passaporto italiano non lo si fa al consolato italiano?
«Sì, ma gli altri Paesi europei rilasciano documenti di identità a tutti i residenti, indipendentemente dalla nazionalità. Chiaramente sono documenti che non sono validi per l’espatrio ma permettono almeno di identificarsi sul territorio nazionale. In Svizzera questo tipo di documento non esiste. Venisse introdotto anche qui, allenterebbe di molto la pressione sui consolati».
A parte rilasciare documenti, cosa fa un console?
«Oltre a sovraintendere questa enorme macchina, il console cura i rapporti con le autorità cantonali e comunali, segue gli aspetti della giustizia, dell’economia, della cultura, della scuola. Abbiamo due istituti scolastici parificati, l’Istituto Elvetico e il Leonardo Da Vinci, su cui dobbiamo vigilare. Inoltre abbiamo un’attività culturale molto intensa. Negli ultimi tre anni abbiamo fatto 44 eventi culturali».
Siete quasi un ente culturale.
«Il sindaco Michele Foletti mi ha detto che il consolato generale fa ormai parte del tessuto culturale della città. Questo mi fa molto piacere perché è un po’ l’obiettivo che mi ero posto, di essere parte della vita del cantone e della città che ci ospita».
Come valuta la scena culturale di Lugano?
«Lugano ha una posizione strategica eccezionale, perché può attingere da una parte ai circuiti italiani, dall’altra a quelli svizzeri. C’è questa doppia possibilità di emergere. E lo si vede. L’offerta culturale di Lugano è impressionante per le dimensioni della Città, soprattutto da quando c’è il LAC. Ci sono fondazioni importanti che finanziano la cultura, ci sono tantissime persone qualificate che si dedicano a questa attività. Lugano è una realtà molto impressionante dal punto di vista culturale».