Il commento

Joël Dicker è un fenomeno, come Federer

Era già tutto lì, una decina di anni fa: solo che non lo vedevo – Lo scrittore era di fronte a me, ma soprattutto era davanti a una piccola folla di 18.enni adoranti
Andrea Bertagni
Andrea Bertagni
23.03.2025 06:00

Era già tutto lì, una decina di anni fa. Solo che non lo vedevo. Joël Dicker, che aveva da poco pubblicato La verità sul caso Harry Quebert, era di fronte a me, ma soprattutto era davanti a una piccola folla di 18.enni adoranti. A invitarlo a Milano era stato il Consolato svizzero in via Palestro. Io avevo scribacchiato alcuni testi, lui era già una star. Per di più tra i giovani. Che lo idolatravano. L’avevo visto ma non lo avevo capito. Eppure già allora si vedevano i germogli di una carriera incredibile e fulminante. Che ha portato Dicker, a neppure 40 anni, a essere un campione di vendite in tutta Europa, ma non solo. Perché Dicker è un fenomeno. Tutto svizzero, per di più. Perché solo i fenomeni riescono a far leggere una successione di tomi di centinaia di pagine - oggi la sua produzione è arrivata a 7 libri, l’ultimo, La catastrofica visita allo zoo è uscito in questi giorni - senza colpo ferire. Anzi. Incrementando sempre numero di lettori e affascinando sempre più persone alla letteratura. Perché si può dire quello che si vuole, non ci addentriamo insomma nella qualità letteraria che ormai più nessuno giustamente mette in discussione, ma è anche grazie a Dicker che i libri si continuano a vendere. Grazie alle sue tirature milionarie. Ma non è solo questo.

Non può essere solo questo perché Dicker come tutti i fenomeni è capace di andare oltre. Se leggete le sue interviste, ne sta facendo alcune per promuovere la sua ultima fatica letteraria, capirete che il ginevrino ha anche molto da dire sulla società in cui si trova a vivere. Non è insomma per nulla il classico scrittore che se ne sta sulla sua torre d’avorio. Al contrario. Interviene nel dibattito. Sempre con garbo e profondità. Che sono poi due caratteristiche del suo carattere.

Seduto di fianco a me prima di salire sul palco del Consolato Dicker era come si legge nelle interviste. Occhi attenti e gentili, voce calma e calibrata. Parole misurate e mai fuori tono. Era già un grande prima che lo diventasse. Anche se aveva ancora tutto da dimostrare. Perché si sa, il primo libro può anche essere un successo ma il difficile è continuare a mantenere le aspettative e lui ci è riuscito come se niente fosse. Come se fosse una cosa normalissima.

Ora che ci penso Dicker è un po’ il Federer della letteratura. E come il tennista piano piano sta diventando anche un ambasciatore della nostra cultura. Il Consolato svizzero di Milano se n’era già accorto dieci anni fa. Chapeau. I più modernisti gli accosterebbero una parola che odio perché usata a sproposito (meglio, nel modo sbagliato): iconico. Sì, sbagliato perché iconico vuol dire tutto tranne che famoso. Ma tant’è. Sta di fatto che oggi Dicker è questo. Uno svizzero che rappresenta la Svizzera in patria e all’estero grazie al successo ottenuto. Un Federer, appunto. E proprio per questo come il suo collega non mi dispiacerebbe un giorno vederlo fare anche le pubblicità. Perché sì. I libri hanno anche bisogno di questo. Altrimenti si riempiono solo di polvere. O restano un affare per pochi appassionati. E nessuno, immagino, se lo augura. Per cui avanti così Joël! Continua a offrirci libri originali e avvincenti che non appena escono diventano casi editoriali. Vai avanti anche se noi svizzeri con il garbo e la riservatezza che ci contraddistinguono ti seguiamo e ti apprezziamo senza mai sbandierarlo a ogni piè sospinto. Anche se spero che un giorno ogni tanto saremo fieri di apprezzarti più di quello che facciamo oggi pubblicamente.

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