La banda dei «pantofolai» che telefonano in Ticino
C'è qualcosa di bizzarro nelle foto scattate dalla polizia polacca nel covo dei truffatori che, da un appartamento in periferia di Poznan, facevano «incursioni» telefoniche in Ticino a caccia di anziani da raggirare. Tendine di pizzo ricamato alle finestre. Un servizio di porcellana su un tavolino in cucina. Tocchi familiari, in un appartamento forse simile a quelli in cui gli anziani ticinesi rispondevano al telefono, e cadevano nella trappola.
Una donna in pantofole indossa una vestaglia e un pigiama con motivi floreali: è la banalità del crimine, colta di sorpresa dal blitz condotto il 21 novembre scorso - la notizia è arrivata giovedì in Ticino - su richiesta del Ministero Pubblico e della Fedpol. Se la signora non avesse le manette ai polsi - è stata arrestata con altre due donne e due uomini, tra i 27 e i 67 anni - potrebbe sembrare una delle vittime, anziane e anziani a cui la banda ha spillato, secondo la polizia polacca, un modesto bottino di 20mila franchi (più o meno altrettanti stava per arraffarne ancora, ma gli è andata male).
Soldi facili tutto sommato: i truffatori agivano comodamente dal salotto di casa, avevano bisogno solo di qualche cellulare nemmeno nuovissimo - sequestrati assieme a dozzine di schede SIM - e due stampanti da ufficio. Per il resto il «call-center» è un normale appartamento con balcone e parquet, in cui anziché pubblicizzare prodotti o contratti i «telefonisti» si fingono nipoti o figli in difficoltà, secondo il protocollo delle chiamate-shock. Forse proprio per questa semplicità «fai-da-te» le indagini sono per contro complicate, richiedono tempo - in questo caso la caccia è partita in settembre, dopo un incontro tenutosi a Bellinzona tra gli inquirenti ticinesi e polacchi ma anche italiani, cechi, slovacchi, tedeschi - e seguono tracce incerte e per lo più telefoniche.
Per lo stesso motivo il fenomeno è sempre più diffuso. La truffa al telefono - anzi in pigiama e pantofole - è comoda e replicabile. Non a caso il Ministero Pubblico ha segnalato un aumento degli episodi in Ticino nel corso del 2024 - dopo un calo iniziale - e sembra che in Polonia il «falso nipote» sia diventato quasi una specialità, che sta dando da fare alla polizia locale. Scorrendo i comunicati si scopre che quella di Poznan è solo una di molte operazioni recenti. Nei giorni scorsi altri «call-center» sono stati smantellati in un appartamento e in una camera d’albergo di Varsavia (sei arresti per truffe ai danni di anziani tedeschi), in varie località nel distretto di Lodsz (dodici arresti, una quarantina di vittime in vari paesi) e in altri distretti: le vittime, va detto, a volte sono anche anziani polacchi e non per forza persone residenti in altri paesi.
Nel caso della banda «ticinese» - che però colpiva anche nel Nord Italia, specifica la polizia polacca - il copione era sempre lo stesso: in telefonate concitate i truffatori si spacciavano per figli o nipoti delle ignare vittime e raccontavano di avere causato un incidente automobilistico. Chiedevano quindi una somma in contanti per «evitare di finire in galera» e inducevano gli anziani a consegnarla a un complice, che giungeva appositamente a ritirare i soldi da oltre confine. Anche lo schema è banale - ricalca un modello ricostruito in diverse varianti, nei tribunali nostrani - ed è la conferma che le bande non puntano sullo ‘‘sforzo di fantasia’’ ma piuttosto sui grandi numeri: se la vittima non abbocca, avanti il prossimo. Il rischio tanto è minimo - almeno questa è l’illusione - e dopotutto i truffatori non si sono mai mossi dal salotto di casa. Questa volta però in galera ci sono finiti davvero, con le pantofole e il pigiama, e rischiano condanne fino a otto anni.