L'analisi

La crisi dei partiti e le elezioni americane

A un mese dal voto il Partito Repubblicano di fatto non esiste più e quello democratico è una bestia difficile da governare
©Julia Demaree Nikhinson
Elisa Volpi
06.10.2024 06:00

Nell'ultimo tumultuoso anno della politica americana, numerose indagini evidenziano una tendenza preoccupante: la sfiducia nei leader politici e più in generale per i due grandi partiti, accompagnata ad un sentimento di stanchezza mentale o addirittura rabbia verso la politica. Il risultato è una crescente alienazione che porta i cittadini a partecipare sempre meno ai processi democratici, donandoci un’immagine poco rassicurante della democrazia americana. E il vero problema è che i due storici partiti americani - impegnati in pressanti sfide interne - non sembrano in grado di rispondere a questa crisi di legittimità.

Il Partito Repubblicano di fatto non esiste più. Il Grande Vecchio Partito (GOP), storicamente il più prolifico in presidenti eletti, a partire da Abraham Lincoln, è stato radicalmente trasformato da Donald Trump che ne ha sostituito la leadership conservatrice con esponenti del movimento MAGA (Make America Great Again), ossia una fazione populista, nazionalista e più conflittuale del GOP, spesso in aperto contrasto con le politiche e i toni consueti del partito. Ma la metamorfosi di Trump ha generato un’emorragia di esponenti del GOP tradizionale: ad oggi, più di 200 repubblicani di spicco hanno pubblicamente appoggiato Kamala Harris «tradendo» Trump. Hanno abbandonato il GOP funzionari di ogni livello, inclusi ex senatori e governatori, anche se l’addio più discusso è stato quello dell’ex vicepresidente Dick Cheney. Molti di questi repubblicani hanno espresso preoccupazione per la leadership, l’etica e le politiche di Trump, esortando gli elettori a dare priorità al futuro del paese e della tenuta democratica rispetto alla fedeltà al partito.

Quanto questa fuga dal GOP possa avvantaggiare il Partito Democratico è tutto da vedere. In primo luogo, perché i cambiamenti dell’élite repubblicana potrebbero non corrispondere a un analogo supporto tra gli elettori. Ma specialmente perché queste nuove adesioni vorranno qualcosa in compenso in caso di vittoria. La moneta di scambio saranno le politiche che adotterà un eventuale governo guidato da Kamala Harris. La sfida è riuscire a mettere insieme sensibilità politiche e preferenze estremamente eterogenee che vanno dal progressismo dei giovani come Alexandria Ocasio-Cortez al conservatorismo interventista di Cheney stesso. In altri termini, il Partito Democratico - accogliendo nella sua casa sia la galassia liberale che gli orfani del GOP - rischia di diventare una bestia impossibile da governare. Inoltre, la leadership di Harris è ancora in costruzione, a seguito della sua improvvisa nomina estiva a candidata presidente dopo il disastroso inizio di campagna elettorale di Joe Biden. Questo mostra come il Partito Democratico stesse affrontando notevoli difficoltà già prima di dover gestire gli endorsement degli avversari storici.

In questo scenario, con entrambi i partiti in crisi di identità e legittimità, il vero problema resta per i cittadini già disaffezionati che dovranno scegliere tra il populismo di Trump e le ambiguità dei democratici, in una partita in cui la vera posta in gioco è la tenuta di quella che per molti resta la più grande democrazia occidentale.

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Elisa Volpi è professoressa associata di Scienze Politiche alla Franklin University Switzerland. Studia le élite politiche, il comportamento legislativo e i partiti. È tornata di recente dagli Usa dopo un periodo di studi. Questo è il suo primo contributo per La Domenica in vista delle prossime elezioni americane

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