La «farfalla» intelligente
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Ricevo circa 15 richieste di nuove visite alla settimana. E con questa cifra mi riferisco solo alla sede di Lugano». Pierpaolo Trimboli, specialista in endocrinologia e diabetologia, primario all’Ospedale Italiano apre la porta del suo studio all’interno del nosocomio luganese per parlare della sua specializzazione, la cura «di un organo piccolino che si trova alla base del collo, ha la forma di una farfalla e produce due ormoni - T4 e T3 - indispensabili per tutti i nostri organi per poter svolgere i loro compiti. Non esiste una cellula, un tessuto del nostro organismo che non abbia bisogno di questi due ormoni», spiega il professor Trimboli.
«Governo cantonale e governo centrale»
«La tiroide ha nei confronti dell’organismo una sorta di rapporto analogo a quello di un governo cantonale - prosegue lo specialista -. L’organismo chiede a livello periferico, la tiroide produce ormoni adeguando la produzione alle mutevoli richieste». Questa, in linea di principio la regola. «La tiroide è controllata dall’ipofisi, una ghiandola molto piccola situata all’interno del cranio, tramite l’ormone TSH. È in grado di leggere se la tiroide produce bene rispetto al fabbisogno periferico o se invece la periferia sta chiedendo qualcosa che essa non sta producendo. Agendo come un governo centrale, in questo caso l’ipofisi produce più TSH per stimolare la tiroide ad andare incontro alle richieste».
Patologie disfunzionali
Come per ogni cosa, la luce del buon funzionamento della ghiandola tiroidea è adombrata da alcune patologie caratteristiche, che il professor Pierpaolo Trimboli passa in rassegna, l’ipertiroidismo e l’ipotiroidismo. «Nel primo caso, la tiroide produce più ormone di quanto chiesto dall’organismo. A soffrire è la periferia che riceve troppo ormone». L’ipertiroidismo può insorgere per due motivi. «La tiroide produce più ormoni perché al suo interno si è formato un aggregato di più cellule - un nodulo -, che si è autonomizzato da essa. Il nodulo produce a sua volta ormoni portando a un eccesso della loro presenza nell’organismo. Segnale classico di ipertiroidismo è la tachicardia; l’eccesso di ormone tiroideo sul cuore ne fa accelerare il battito». La seconda causa di ipertiroidismo è di origine autoimmune. «In questo caso abbiamo uno stalker disturbatore del sistema. Penetrando nella tiroide fa il lavoro dell’ormone TSH senza che ciò sia richiesto. Vittima dell’anticorpo, la tiroide rilascia ormone in eccesso nell’organismo». Nota relativamente positiva. «L’anticorpo ha una durata media di un anno e mezzo, per tutto questo periodo diciamo ai pazienti di… pazientare. In genere usiamo un farmaco che blocca la tiroide, contando sul fatto che poi l’anticorpo si spegnerà».
L’ipotiroidismo, invece, «quasi sempre è autoimmune - osserva l’endocrinologo -. L’organismo vede la tiroide come un corpo estraneo, il sistema immunitario produce cellule di difesa che penetrano nella tiroide e la danneggiano fino a farle perdere progressivamente struttura e buon funzionamento. È la cosiddetta tiroidite di Hashimoto». Con conseguenze vieppiù debilitanti. «La riduzione dell’ormone porta l’organismo a risparmiare in modo non democratico. Se tutti gli organi necessitano di ormone tiroideo, e questo si riduce, prima degli organi nobili - cervello, occhi, cuore e reni - l’organismo andrà a risparmiare altrove, sulla cute che diventerà secca, sulle unghie che diventeranno fragili, sui capelli che più sottili si spezzeranno… Se l’ormone diminuirà ulteriormente, verranno intaccate altre parti, come l’apparato gastrointestinale - con relativa digestione più lenta o gonfiore addominale - o l’apparato muscolo-scheletrico». Fino a sintomi vieppiù importanti in caso di mancata diagnosi di ipotiroidismo: «Il cuore comincia a rallentare, i reni vanno in difficoltà, cominciamo a perdere concentrazione, memoria, fino ai casi estremi di depressione da ipotiroidismo».
Patologie morfologiche
Vi sono poi le patologie di morfologia, quando la tiroide contiene un tumore che si presenta come un nodulo. Alcuni dati. «Facendo una stima, il 70% degli adulti ha almeno un nodulo, di questi l’1-2% ha un tumore e tra questi solo pochissimi avranno problemi oncologici dopo il trattamento iniziale». Fondamentale diventa la diagnosi inerente ai noduli, che possono essere di natura maligna o benigna. Pierpaolo Trimboli: «Lo strumento essenziale è l’ecografia tiroidea, che ci consente di stabilire se un nodulo è sospetto o bello. Sulla base dell’esperienza clinica, quando diciamo che è sospetto, nel 90% dei casi lo è effettivamente». In caso di nodulo maligno, il trattamento dipenderà dal tipo di tumore, dalla sua estensione e dallo stato generale del paziente. Tra le varie opzioni si annoverano la rimozione completa della tiroide, con relativo trattamento ormonale sostitutivo a vita, o di un solo lobo tiroideo.
Un trattamento innovativo
I problemi non sono dati solo da un nodulo ‘sospetto’ o benigno, ma anche dalla sua mutevolezza nell’ordine della dimensione. Il professor Trimboli illustra un metodo innovativo, utilizzato in Svizzera dal 2018, e per primi all’Ospedale Italiano. «Si chiama termoablazione, un trattamento per i noduli benigni - anche su quelli autonomi visti all’inizio - che effettuiamo su 20-30 pazienti ogni anno. Si basa sull’uso di calore che conduce, tramite un ago inserito nel nodulo, alla distruzione ed eliminazione dei suoi tessuti. L’intervento non fa scomparire il nodulo ma lo rimpicciolisce notevolmente. I risultati in tal senso sono eccezionali e di grande soddisfazione per i pazienti, che evitano l’intervento di rimozione totale o parziale e risolvono la sintomatologia, come la difficoltà nel respirare e nell’ingoiare».