«La fotografia non esiste più»
Le immagini ci interrogano. Abitano le nostre vite e ci invitano all’interazione. Anche se non le comprendiamo, anche se il loro messaggio è chiarissimo. Loro ci sono e, probabilmente, mai come ora pervadono il nostro quotidiano. Ed è proprio partendo da questa riflessione che durante il suo intervento all’USI nell’ambito di un progetto culturale promosso dalla facoltà di Comunicazione, cultura e società, dal titolo «Immagini in questione», Tobia Bezzola, storico dell’arte e direttore del MASI di Lugano, ha riflettuto sul ruolo che le arti visive hanno oggi. «E quello che ci stupisce subito facendo il paragone con le comunicazioni visive (le e-mail, la pubblicità, la politica ecc) troviamo nelle arti visive oggi una grande parte di incomprensibilità», afferma Bezzola.
Incomprensibilità
Secondo lui, visitando - ed esempio - la Biennale di Venezia o una grande rassegna di arte contemporanea, il pubblico viene confrontato con delle informazioni che spesso non capisce. «A differenza delle comunicazioni dove la comprensibilità del messaggio è imprescindibile, ci confrontiamo con un sistema che in un certo senso non sembra essere nel funzionamento di questi atti di comunicazione». Tant’è che - spiega il direttore - «quante volte davanti ad un’opera d’arte contemporanea abbiamo sentito qualcuno dire: non mi dice niente?». E sono proprio queste le arti visive oggi. Artisti che comunicano l’incomprensibile e non sono preoccupati di essere compresi dal pubblico.
L’arte libera
Ma come si è arrivati a questo? Ovviamente nella storia non è sempre stato così. Bezzola ritiene che storicamente questa incomprensibilità diventa possibile quando le arti diventano autonome. «Quando nell’Ottocento gli artisti non lavorano più unicamente su commissione dei potenti o della Chiesa l’arte trova il suo ruolo sul mercato libero e gli artisti sono abbandonati dal potere, ma sono liberi e offrono i loro prodotti sul mercato libero che nasce con i saloni, le gallerie e tutto il sistema d’arte che conosciamo noi oggi», dice.
Ed è proprio così che il grande potenziale dell’arte viene sprigionato. E la soggettività dell’artista diventa decisiva per per poter definire i contenuti che sono comunicati.
L’aspettativa sociale
E rispetto ai giovani che oggi si avvicinano al mondo delle arti visive c’è da considerare che tutto è cambiato a partire dalla pressione sociale, dal successo a tutti i costi. «Negli anni 60-70 non c’era tanto denaro nel mondo dell’arte - osserva Tobia Bezzola - poi con gli sviluppi del mercato e dei prezzi tutto è cambiato e già negli anni 80 - per la prima volta - sono iniziate a girare somme enormi, e i giovani hanno iniziato a pensare che la vita da artista significava fama e soldi, presto». Ma, come Bezzola dice spesso ai suoi studenti, «Alberto Giacometti aveva 51 anni quando per la prima volta ha avuto una mostra istituzionale da solo».
Tuttavia - interviene Olivo Barbieri, fotografo italiano di fama mondiale - i contenuti sono declinabili in base al media che li trasmette. Secondo lui, la trasformazione delle immagini da una cosa materiale a una serie di numeri ha cambiato il modo in cui le guardiamo. Tant’è che, sostiene Barbieri, la fotografia non esiste più come forma d’arte. «Esistono soltanto le immagini», afferma. Infatti, nella sua ultima retrospettiva non ha usato il termine «fotografia» ma «immagini». E quando gli viene chiesto se oggi ha ancora senso fare fotografie, Barbieri risponde: «No. Abbiamo un panottico incredibile, i satelliti fotografano tutto e noi continuiamo a registrare e fotografare tutto. Praticamente le immagini e le fotografie sono già fatte, non c’è neanche più bisogno di farle».
Quando eravamo a Tienanmen
Qualche secondo di pausa, non può dimenticare la sua esperienza in Cina. Il 1989 durante i fatti di Tienanmen. «Mi rendevo conto che ogni volta che appoggiavo il cavalletto realizzavo un’immagine che comunicava al mondo qualcosa che il mondo non sapeva. Questa cosa non esiste più, oggi non c’è più questa possibilità e devi sempre tenerne conto ogni volta che appoggi il cavalletto e fotografi qualcosa, che quella cosa lì sia già stata fotografata».
Chi ha paura dell’AI?
E allora in cosa consiste oggi la novità? E la creatività? Marc Langheinrich, Decano della Facoltà di scienze informatiche all’USI di Lugano, si chiede se l’intelligenza artificiale (AI) ridefinirà il concetto di creatività. «Credo che la creatività copra molti ambiti, dalla semplice comunicazione all’arte, quindi il campo è molto vasto», afferma. Tuttavia, per quanto riguarda le arti visive, «credo che, così come un tempo la fotografia poteva non essere considerata una forma d’arte dal punto di vista di un pittore o di uno scultore, la recente ondata di modelli generativi dell’IA potrebbe non significare che dobbiamo ridefinire il concetto di creatività», spiega. «Si tratta di strumenti, anche se più potenti di quelli che abbiamo avuto finora». Ed è proprio questo il nocciolo della questione secondo Olivo Barbieri: «La fotografia è stata la più importante forma artistica del secolo scorso, tuttavia ha perso la sua forma artistica quando è stato introdotto il digitale: e ora ci troviamo di fronte ad una nuova rivoluzione, l’AI». Immagini che si fanno da sole. Che poi non è vero che si fanno da sole perché tu esprimi una frase, un desiderio che viene trasformato da un algoritmo, un algoritmo ti propone una versione, poi tu puoi chiedere di correggere alcuni aspetti. Secondo Barbieri, l’intelligenza artificiale offre grandi possibilità ma anche grandi difficoltà. «Nonostante questi nuovi strumenti, dobbiamo essere dei migliori pittori se vogliamo produrre delle immagini che interessino a qualcun altro», dice.
Di chi è la firma
Ma allora di chi saranno i diritti d’autore? Dell’AI o di chi dà l’impulso? Un interessante articolo sulla Texas Law Review di Mark Lemley e Bryan Casey dal titolo ‘‘Fair Learning’’ pone proprio questa domanda. Viceversa, l’attuale legge sul diritto d’autore non consente che le opere generate dall’intelligenza artificiale siano soggette a copyright.
«Naturalmente - interviene Langheinrich - se la legge sul diritto d’autore sia etica o meno è un’altra questione», ammette . «In alcune giurisdizioni vige la ‘‘dottrina del fair use’’ che consente agli esseri umani di accedere alle opere protette da copyright e di svilupparle (le leggi dell’UE prevedono invece delle eccezioni)».
Il vantaggio esiste
Qual è la nuova frontiera dell’AI? Secondo Langheinrich, i giovani la vedono solo come un altro strumento, come il completamento automatico, come i filtri di Instagram, come l’autotune. «Noi educatori dobbiamo invece insegnare loro come usare questi strumenti in modo responsabile», dice il decano. E questa è un grande sfida. «Ma dobbiamo anche assicurarci che i nostri metodi di insegnamento riconoscano l’esistenza di questi strumenti».
In alcune situazioni ha quindi senso negare agli studenti l’uso di questi strumenti - come durante la scrittura di una tesina o di un esame - «ma in altre dobbiamo anche incoraggiarli a imparare come usarli al meglio a loro vantaggio». Anche perché, rassicura il decano, «non faranno sparire i posti di lavoro». Al contrario «faranno sì che coloro che sono in grado di usarli abbiano un reale vantaggio rispetto a chi non li sa fare».