La grande incertezza dei cristiani di Aleppo

L’altro giorno a Palazzo delle Orsoline è stata formulata una richiesta piuttosto inusuale alle nostre latitudini. «Un ex sindaco, nostro caro amico, è stato sequestrato a inizio febbraio e da allora non si sono più avute notizie di lui -, si sono sentiti dire il presidente del Consiglio di Stato Christian Vitta, il suo collega Raffaele De Rosa e il presidente del Gran Consiglio Michele Guerra -. Per favore, aiutateci a ritrovarlo». Lo stesso appello è stato formulato anche a Berna, a Palazzo federale, all’attenzione dell’ambasciatrice Monika Schmutz-Kirgöz, responsabile del DFAE per il Medio Oriente.
Aveva respinto i jihadisti
Pare infatti che Suleiman Khalil, ex sindaco di Sadad, una storica città cristiana nella regione di Homs, sia stato prelevato in casa dalle forze di sicurezza del governo di transizione siriano e che da allora sia completamente sparito. La colpa dell’ex sindaco starebbe in alcune interviste rilasciate dopo che con l’aiuto delle forze governative era riuscito a impedire l’entrata in città dei jihadisti di al-Nusra, nel 2013 e ancora nel 2015. Proprio gli stessi jihadisti che in dicembre, sotto altre spoglie, hanno rovesciato il regime di Bashar al-Assad e preso il potere in Siria. A parole, si sono premurati di assicurare una società «tollerante ed inclusiva». La minoranza cristiana vuole potersi veramente fidare di tali promesse.
«Se hanno rapito l’ex sindaco, possono rapire chiunque», afferma Melki Toprak, presidente della Federazione degli aramei (siriaci) in Svizzera, noto anche come karateka di livello mondiale e insegnante di arti marziali a Locarno. «Noi continuiamo a confidare in Dio, ma la situazione è estremamente difficile - gli fa eco Joseph Tobji, arcivescovo di Aleppo, alla sua prima visita in Svizzera -. Tutti i cristiani della mia parrocchia sognano di lasciare la Siria».
Nemmeno più i 20 dollari al mese
Ma la fuga non è l’obiettivo, di sicuro non per l’arcivescovo Tobji, impegnato in una incessante attività a favore dei cittadini siriani - cristiani e non - sfiniti da anni di guerra civile che hanno messo in ginocchio l’economia e reso un’impresa la vita quotidiana. «Prima dell’inizio della guerra la Siria era un paese in forte crescita, la gente viveva bene - afferma l’arcivescovo -. Durante la guerra le condizioni sono chiaramente peggiorate, però con Assad il lavoro c’era, seppur pagato miseramente. I dipendenti pubblici prendevano circa 20 dollari al mese, nettamente insufficienti per condurre una vita dignitosa. Ora però, con questi nuovi dirigenti, non ci sono più neanche i 20 dollari al mese. Il governo di transizione ha licenziato decine di migliaia di persone e agli altri non ha ancora versato alcun salario».
Ad Aleppo metà degli edifici sono distrutti, il cibo scarseggia, da quattordici anni l’elettricità arriva solo un paio di ore al giorno (quando arriva), l’acqua corrente è un miraggio. «In città non funziona niente - spiega l’arcivescovo -. Non ci sono prospettive, non c’è possibilità di aprire attività economiche perché la Siria subisce le sanzioni internazionali, che miravano a colpire il regime di Assad ma che in realtà hanno impoverito solo la popolazione».
Millenni di storia in dubbio
Alle difficoltà economiche si aggiungono, per i cristiani aramei, le incertezze sulla propria accettazione in un paese che vanta una millenaria storia cristiana ma che ora è finito in mano agli islamisti, che si proclamano tolleranti ma devono ancora dimostrare di esserlo. «La società siriana è sempre stata molto aperta - si inserisce Toprak -. Io ricordo che nella città vecchia di Damasco c’era una vita notturna incredibile, noi cristiani aramei abbiamo sempre potuto vivere liberamente. Oggi invece a Homs non si può nemmeno più girare con la croce, c’è una sorveglianza dei costumi che fa paura».
Intimidazioni e oltre
L’arcivescovo di Aleppo riferisce di episodi che, seppur non violenti, stanno incutendo timore nella popolazione cristiana. «C’era per esempio una coppia di fidanzati, giovani della nostra parrocchia, che stava tornando a casa in macchina - racconta Tobji -. Sono stati fermati dagli islamisti che hanno chiesto loro cosa ci facessero in auto insieme. Per verificare che fossero effettivamente fidanzati, hanno preteso di chiamare i rispettivi genitori.E poi li hanno lasciati proseguire, ma lui davanti e lei dietro. Non hanno accettato che l’uomo e la donna fossero seduti uno accanto all’altra».
Sono piccoli episodi, rispetto ai massacri che in marzo hanno colpito gli alawiti e i cristiani di Lakatia, costati la vita a centinaia, forse migliaia, di civili. Tuttavia anche queste piccole intimidazioni lasciano il segno su una popolazione, quella cristiana, che prima della guerra annoverava circa 2,3 milioni di persone e che oggi si è ridotta a 600.000. «Il nuovo governo dice di voler tutelare le minoranze - sottolinea l’arcivescovo -. Vogliamo sperare che lo siano anche nei fatti. Perché questa è la nostra terra, la culla del Cristianesimo, noi vogliamo restare».
In missione su più fronti
Ad ogni modo, l’arcivescovo non ha tempo per preoccuparsi. «Abbiamo tantissime cose da fare - afferma -. Gestiamo delle scuole, un istituto per disabili e dei centri sociali aperti anche ai musulmani, perché la nostra missione è aiutare tutti, sosteniamo gli anziani, i bisognosi, i malati di cancro che non possono pagarsi i trattamenti, andiamo anche a riparare il motore bruciato del frigorifero, se serve. La nostra missione è sul campo, seguendo l’esempio di GesùCristo che era disponibile per tutti».
La missione di Melki Toprak, invece, è quella di sostenere i giovani aramei che sono arrivati in Svizzera permettendo loro di studiare, di trovare un lavoro, di integrarsi. «Vogliamo aiutarli a non dipendere dallo Stato», afferma il presidente della Federazione degli aramei in Svizzera, che si adopera anche per sostenere centinaia di famiglie aramee cristiane in Iraq, Siria e Libano..
L’obiettivo primario però non è quello di ingrossare la diaspora. L’obiettivo degli aramei è innanzitutto quello di salvaguardare la storica presenza cristiana in Siria. «Per questo ci appelliamo ai governi europei e ai cittadini europei - concludono Toprake Tobji -. Abbiamo bisogno del vostro sostegno, abbiamo bisogno che facciate togliere quest’arma di massacro collettivo che sono le sanzioni, abbiamo bisogno che non volgiate lo sguardo dall’altra parte. Grazie per quanto potrete fare».