La nutrita presenza calabrese lotta ancora contro i pregiudizi
Io ad esempio mi chiamo Ciccio Rarica». Francesco Lombardo, un passato da consigliere comunale PS a Bellinzona, un presente da presidente dell’Associazione mesorachesi in Ticino (Amit) ha in realtà due nomi e cognomi. Quello ufficiale, Francesco Lombardo, è quello «mesorachese», Ciccio Rarica, appunto. «Tutti abbiamo dei soprannomi - precisa - è un’usanza che si perde nella notte dei tempi, forse perché veniamo tutti da un paese piccolissimo, Mesoraca, e i soprannomi servono a distinguerci».
L’accenno a una sfumatura curiosa e anche simpatica che contraddistingue una delle comunità calabresi in Ticino più numerose - si stima che siano 6mila le persone di origine calabrese nel cantone - lascia però subito posto a una sottolineatura molto meno ironica. «Non considerateci ancora come degli stranieri - puntualizza Lombardo - non siamo degli estranei. Io sono nato e cresciuto a Ravecchia e come me moltissime altre persone, che oggi appartengono persino alla terza generazione».
Avere delle origini lontane o un passato migratorio oppure ancora un dialetto e delle tradizioni culturali non significa insomma essere avulsi dalla società in cui si vive. Al contrario. È questo il messaggio che Lombardo vorrebbe far passare. Di più. «Mi piacerebbe cambiare la narrazione su noi calabresi - rileva - perché a volte veniamo ancora visti come stranieri, anche se siamo qui da moltissimi anni e abbiamo contribuito al benessere del cantone. Non c’è strada o edificio che non sia stato costruito da noi».
A rovinare la reputazione, a rovinare i piani, Lombardo ne è cosciente, sono i casi di cronaca che riportano di inchieste e arresti per ‘ndrangheta, l’organizzazione criminale calabrese che, dicono i rapporti di polizia, ha messo radici anche in Svizzera. «Ma è come dire che tutti i siciliani sono mafiosi o tutti i napoletani camorristi. Non si può additare una comunità solo perché nella massa c’è anche qualche coglio....». Lombardo usa proprio questa parola spregiativa. E non lo fa a caso. Davvero vuole marcare un confine. Netto. Perché a volte insistere troppo sugli stereotipi significa sforare nel razzismo.
I passi avanti e la mescolanza
Anche Antonio Galati, presidente dell’Associazione calabrese del Ticino, ammette l’esistenza di un problema di percezione. «Soprattutto nei primi anni ‘90 era complicata - chiarisce - C’era un divario netto, culturale e di usi e costumi tra calabresi e residenti. Negli anni però siamo riusciti a ricucire questo distacco. Oggi non c’è più la tara quando si pensa a un calabrese, anche se si associa spesso la Calabria alla criminalità organizzata». Galati insomma è sicuro. «Rispetto ad alcuni decenni fa si è fatto molto per armonizzare la buona convivenza». Un lavoro su due fronti. «Da una parte abbiamo spiegato ai calabresi il contesto svizzero, dall’altra abbiamo spiegato agli svizzeri come siamo fatti noi». Una mescolanza positiva. Così la definisce Galati. «Oggi i contorni sono più sfumati e abbiamo amici ovunque e sì, se guardo a com’era prima la situazione, siamo soddisfatti».
Ecco perché anche l’associazionismo sta cambiando pelle. «Stiamo modificando le nostre attività. Se in passato ci si ritrovava per studiare e affrontare le problematiche diciamo più calabresi - continua Galati - oggi condividiamo momenti di festa con chiunque voglia stare con noi per passare una serata o un momento diverso dal solito. Forse siamo riusciti a far passare il messaggio che essere calabresi significa essere portatori di valori sani e belli».
A modificare le abitudini dell’associazionismo calabrese sono anche i rapporti oggi differenti con la Regione d’origine. «In passato la Calabria dava tutta una serie di contributi e agevolazioni a chi tornava - riprende Galati - dal pagamento delle spese di viaggio e trasloco al rimborso dei rientri delle salme. Negli ultimi anni invece a causa delle ristrettezze finanziarie questi aiuti sono spariti». Il rapporto istituzionale con la propria Regione d’appartenenza si è fatto insomma meno stretto. Anche se non mancano i continui viaggi avanti e indietro. Per vacanza o anche solo per andare a trovare i familiari. Dato che la distanza non è così abissale.
La grande festa a Mesoraca
E le occasioni non mancano. Come la grande festa che si terrà proprio quest’anno a Mesoraca che riunirà tutti i mesorachesi nel mondo. «Si svolge ogni 7 anni e sarà ad agosto», sottolinea Lombardo. «Sarà davvero un’occasione speciale perché anche se Mesoraca è un paesino di nemmeno 6mila anime, ci sono emigrati mesorachesi in tutto il mondo. Dalla Svizzera agli Stati Uniti, dall’Argentina all’Australia».
Emigrare. Un destino comune ancora oggi per molti italiani. Che in patria non hanno lavoro e sbocchi. Ma che in passato, soprattutto negli anni ‘50-’60 significava compiere molti sacrifici una volta arrivati a destinazione. «Quando è arrivato in Ticino mio padre dormiva nelle baracche del cantiere - ricorda Lombardo - e come lui molti altri. Venivano spremuti, ecco la verità, perché erano solo braccia, forza lavoro pura e semplice». Ma i ricordi non si esauriscono qui. Perché Lombardo, anche se era bambino, si ricorda molto bene il periodo in cui c’erano i permessi stagionali e ai suoi genitori era stato detto che lui e le sue sorelle non potevano restare e dovevano lasciare Ravecchia. Anche se erano nati qui. «Quando siamo potuti tornare e mia madre una mattina ha incontrato per caso un poliziotto degli stranieri è svenuta per strada perché era convinta che era tornato da lei per farci di nuovo allontanare».
Tra ricordi e pregiudizi
Accanto a questi ricordi ce ne sono però anche di positivi. «Io sono stato un bambino e un adolescente felice. A Ravecchia ci volevano tutti bene. Però la generazione dei miei genitori ha sicuramente patito. Perché ha fatto una vita di stenti e sacrifici. Che noi della seconda generazione non abbiamo vissuto». Lombardo, Esposito, Londino, Marrazzo, Ferrazzo. Sono questi i cognomi dei mesorachesi oggi più diffusi in Ticino. Mesorachesi solo d’origine però. Perché anche loro sono da considerarsi svizzeri come tutti gli altri. Senza più pregiudizi. «Anche se purtroppo - annota Lombardo - ancora oggi ogni tanto dobbiamo lottare contro certi cattivi stereotipi».