La paura atomica passa dai bunker e da Stranamore
Si chiamava «Modello Sicurat AK 40», poteva ospitare sino a tre persone, era «resistente ai raggi alfa, beta e gamma» e lo vendeva, in esclusiva, l’architetto disoccupato Giorgio (Geppy Gleijeses), nel film «Il Mistero di Bellavista» dell’indimenticabile Luciano de Crescenzo. Quel bunker, che naturalmente nessuno comprò (venne occupato da un senzatetto) perché a Napoli davanti a una catastrofe al massimo ci si affida a San Gennaro o a Maradona, era il simbolo della paura, di una minaccia che incombe, di un pericolo prossimo. Allora nelle sale cinematografiche il suono spettrale della guerra, delle cannonate che devastano l’Ucraina, non si sentiva affatto.
Ma del bunker, come rifugio, come luogo rassicurante davanti al viso sempre più inquietante di Vladimir Putin, si torna a parlare. Soprattutto dopo che l’ipotesi di una «minaccia nucleare» - ma la Russia si è affrettata a smentire ufficialmente - è stata ventilata da Joe Biden e prima ancora dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky.
E insieme ai bunker si torna a guardare alla Svizzera, che ha già fatto discutere, stupendo diversi distratti analisti che sono tornati sul concetto di neutralità, dopo la decisione del Consiglio federale si allinearsi alle sanzioni (decretate in passato anche contro Iraq, Libia, Haiti, Jugoslavia, solo per citare alcuni casi) decise mei confronti della Russia e dei suoi oligarchi. Stavolta però della Svizzera si parla in senso positivo. In tanti, sui giornali, hanno elogiato la Confederazione per aver mantenuto il sistema dei bunker. Quello che si regge sul principio della «Concezione 71», cioè un posto protetto per ogni abitante. E che ha consentito di realizzare 360mila rifugi privati (13 mila in Ticino) e 1.700 impianti di protezione, per un totale di oltre 9 milioni di posti letto, dunque con un tasso di copertura del 100%. Una situazione che ci invidiano in tanti. Perché con la guerra in Ucraina oggi l’architetto disoccupato Giorgio del professor Bellavista avrebbe fatto soldi a palate. In Francia, hanno scritto i giornali transalpini, una ditta specializzata ha detto d’avere ricevuto una richiesta in media ogni 20 minuti, e anche in Italia le domande sono aumentate mentre le villette vendute con un bunker subito dopo Chernobyl sono cresciute di valore e società immobiliari propongono di investire in rifugi e poi affittarli: visti i tempi - assicurano - sarebbe un’ottima rendita.
Ma davvero i bunker sono la nostra ultima oasi di vita? Naturalmente e fortunatamente non siamo prossimi all’apocalisse e il dottor Stranamore resta un personaggio inventato da Peter George e portato al cinema da Stanley Kubrick. Epperò un po’ viene la pelle d’oca se si apre l’applicazione Nukemap, realizzata da un gruppo di programmatori su progetto di Alex Wellerstein, docente dello Stevens Institute of Technology di Hoboken, nello Stato del New Jersey, che studia la storia delle armi nucleari. Con il mouse basta fissare una zona della terra e poi simulare, spingendo un bottone come tanti Kim Jong-un, e vedere l’effetto che fa. Cioè roba da rabbrividire, soprattutto pensando che in caso di guerra atomica le bombe (come la Zar russa) possono raggiungere una potenza di 50 megatoni. E pensando, ancora, che la bomba Little Boy sganciata la mattina del 6 agosto 1945 alle ore 8:15 su Hiroshima, una delle più grandi tragedie dell’umanità, era di circa 15 chilotoni. Un ordigno di 40 o 70 chilotoni basterebbe per spazzare via una città come Zurigo, hinterland compreso.
Ecco perché ogni volta che riparla di bunker non è mai bello, perché c’è una minaccia dietro la porta. Una minaccia che tuttavia - vedendo in particolare giovani e giovanissimi in fila per una notte per assicurarsi un nuovo modello di Swatch, forse una scheggia di normalità dopo l’incubo Covid - appare lontana in tutta la sua drammaticità. E allora invece che ai bunker forse è meglio affidarsi alle parole di Papa Francesco che ha chiesto a Dio di «preservare il mondo dalla minaccia nucleare».