L'intervista

«La Russia non è cambiata dai tempi dell'URSS»

La scrittrice georgiana Nino Haratischwili denuncia il neo-imperialismo sovietico, sulle orme di Anna Politkovskaja
Nino Haratischwili. © Julietschka Art
Francesco Mannoni
24.11.2024 12:00

«L’eredita dell’Unione sovietica non è mai stata sotterrata. Era soltanto una facciata, ma i valori e il pensiero imperialista non sono mai cambiati. Forse c’è stato un breve periodo d’apertura all’inizio degli anni Novanta, nella fase di passaggio tra Eltsin e Putin, ma le cose non sono mai cambiate». La scrittrice georgiana Nino Haratischwili, che con il romanzo storico La gatta e il generale (Marsilio) ha vinto la XIV edizione del premio «Lattes Grinzane» organizzato dalla fondazione Bottari-Lattes, non usa mezze parole nel denunciare le mire della Russia. Proprio per questo i suoi romanzi non raccontano solo storie: sono inchieste sociali e politiche che scavano dentro un passato di cui la memoria conserva una profonda impronta.

Signora Haratischwili perché dice che la Russia non è mai cambiata?
«Perché il mondo occidentale per molto tempo non se n’è voluto rendere conto, è stato ingannato dall’avanzata capitalista degli oligarchi, ma in realtà la storia non è mai mutata. Forse sono un po’ differenti le strutture e i tempi, ma l’obiettivo politico per la Russia resta quello del ripristino di un imperialismo di tipo sovietico».

Ma Putin, secondo lei, perché aspira a riproporre l’ex impero sovietico?
«Non si tratta soltanto di Putin, perché fosse solo non ce la farebbe. È una questione di sistema, di struttura del Paese. I russi hanno ancora un approccio imperialista e colonialista identico a quello del passato. E loro si sentono come investiti da una carica che li pone in cima ad ogni tipo di potere. Molti russi, ad esempio, sono convinti che l’Ucraina sia russa e che la Georgia sia un posto dove possono venire ancora da padroni come hanno fatto durante le guerre cecene occupando il 20% del nostro territorio».

È in queste prevaricazioni la genesi del romanzo?
«Certo, ma soprattutto è ispirato da una storia vera della quale si occupò a suo tempo Anna Politkovskaja la giornalista assassinata a Mosca il 7 ottobre 2006, che ha scritto diversi libri sulle guerre cecene. Rimasi scioccata nel leggere del comportamento di un generale con una ragazza cecena. Era il potere espresso con l’arroganza di sempre, il predatore che agguantava le sue vittime con una voracità innata e una totale indifferenza per il dolore e le sofferenze altrui».

I ceceni sono sempre sempre stati schiacciati dai russi?
«Già nel 1944 mezzo milione di ceceni furono deportati in Kazakistan e sono potuti tornare solo dopo la morte di Stalin. I russi si sono presi ciò che era dei ceceni, si sono insediati, ci hanno fatto credere fossero gente di seconda categoria, e i ceceni pur essendo un popolo di guerrieri ci hanno messo un po’ prima di capire che questa condizione era insopportabile».

Quali le responsabilità del Generale in Cecenia?
«In seguito a un’operazione cosiddetta di «antiterrorismo», il generale fu coinvolto in una faccenda poco chiara con un’accusa insolita per un esponente dell’esercito russo. Nella storia russa, infatti, una cosa del genere non era mai successa; nessuno aveva mai accusato i militari di crimini di guerra, tanto meno per qualcosa che era successa in Cecenia. In condizioni normali, un processo non ci sarebbe stato».

Un avvocato emergente fece fuoco e fiamme: lui si batteva per i diritti umani e aveva condotto alcuni processi spettacolari. La scintilla di questa storia incredibile e crudele, ha lasciato una scia infinita e sanguinosa anche perché l’avvocato andò in Cecenia, e fece tutte le ricerche del caso per trovare una verità che avvalorasse le dicerie, i dubbi e le smentite che circolavano

Cosa ha portato alla svolta?
«Un avvocato emergente fece fuoco e fiamme: lui si batteva per i diritti umani e aveva condotto alcuni processi spettacolari. La scintilla di questa storia incredibile e crudele, ha lasciato una scia infinita e sanguinosa anche perché l’avvocato andò in Cecenia, e fece tutte le ricerche del caso per trovare una verità che avvalorasse le dicerie, i dubbi e le smentite che circolavano. Gli orrori commessi sono immaginabili, ma lasciamo che sia la storia a parlare al lettore di una vicenda reale che ha commosso e indignato.»

Come reagì l’opinione pubblica?
«Fu un caso piuttosto scandaloso, ma non incise più di tanto. Forse la gente aveva già fatto il callo alle crudeltà degli occupanti considerando anche il fatto che a metà degli anni Novanta in Russia regnava un’anarchia totale. Il terrorismo islamico cominciava a prendere forma, il concetto di nemico era ancora vago e quindi abbastanza facile da manipolare. Il Generale, che aveva combattuto nella prima guerra cecena, - ma nel 1995 si era autosospeso dal servizio militare -, da tempo possedeva aziende e immobili in Occidente, anche in Germania, dov’era a capo di diversi progetti edilizi. Ormai era un oligarca a tutti gli effetti, un potente che con il denaro poteva esercitare condizionamenti».

Qual è oggi la situazione in Georgia? Anche se lei ormai vive in Germania, suppongo sarà al corrente di ciò che avviene nel suo paese.
«La situazione è molto difficile soprattutto ora dopo le ultime elezioni, ma la maggior parte del popolo della Georgia vuole guardare a un futuro verso l’Europa e non verso Mosca. I problemi sono parecchi per via della situazione geopolitica della Georgia, ma non possiamo certo prendere il paese e spostarlo: i vicini che abbiamo resterebbero gli stessi. Fortunatamente nel mio Paese non c’è una guerra come in Ucraina, però continuiamo a essere sotto certe influenze. E questo è triste».

Perché è triste?
«Perché ogni passo che facciamo verso il progresso sembra debba essere ripagato con tre passi indietro. Però c’è ancora speranza soprattutto se guardo ai giovani, alle dimostrazioni che ci sono nel Paese al desiderio molto forte per andare verso il futuro e non ripiombare nel passato. Un politico tedesco è stato in Georgia durante le manifestazioni che ci sono state in primavera tanto da dire che oggi la capitale europea non è Bruxelles, ma Tbilisi, e ha aggiunto che nell’Europa occidentale è normale vivere in base a certi valori, mentre la Georgia ancora deve combattere e lottare per conquistarli perché la Russia non vuole rinunciare a quella che era un’ex Repubblica socialista. Ma io continuo ad essere speranzosa, anche perché non vedo altra alternativa».

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