La sfida del mare, dal Baltico allo Yemen
Il 2025 sarà l’anno della sfida in mare. Una definizione non ufficiale ma che rispecchia quanto avviene «sopra» e «sotto» la superficie marittima. Dal gelo del Nord Europa al caldo dello Yemen. A novembre il danneggiamento di cavi sottomarini nel Baltico ha rivelato la fragilità del sistema. I «tagli» sono stati imputati ad un cargo cinese e ad una petroliera russa che hanno usato le ancore per interrompere i collegamenti.
Incursione grave che ha portato la Nato a reagire. L’Alleanza ha deciso la costituzione dell’Operazione Sentinella, con comando a Brunssum in Olanda e composta da una task force aeronavale, che dovrà proteggere le infrastrutture, monitorare il transito di unità sospette, condurre un’azione preventiva robusta. Previsto anche l’uso di droni.
Le misure, scattate in ritardo, sono irrinunciabili: i due «incidenti» hanno mostrato come non sia così difficile incidere sulla rete senza ricorrere a metodi sofisticati. E c’è sempre la possibilità per i responsabili di trovare scuse o pretesti.
Quanto avvenuto nello scacchiere settentrionale si è sommato ad altri sabotaggi ed eventi di guerra ibrida innescati dai servizi russi. Tra questi i tentativi di distruggere aerei cargo occidentali usando dei pacchi bomba. E dunque al comando atlantico, con un coordinamento di tutti i partner, sono state varate delle contromosse. In parallelo ai pattugliamenti è stato intensificato l’addestramento di team composti da subacquei e palombari. Una esercitazione ad hoc si è svolta nelle acque vicino a La Spezia, località che ospita uno dei migliori reparti al mondo specializzati in questo tipo di attività: i Comsubin. Saranno gli uomini-rana e i loro colleghi che agiscono sul “fondo” a dover verificare la sicurezza di porti, di network, di snodi logistici. Missioni dove il fattore umano dei militari è integrato da nuovi mezzi, spesso top secret.
L’intervento verrà appaiato da un monitoraggio continuo di alcune «presenze» interessanti. Mosca, che rischia ormai di perdere gli appoggi in Siria, ha comunque mantenuto nell’ultimo mese in Mediterraneo un paio di fregate, qualche unità appoggio e due unità per l’intelligence. «Vascelli» tenuti d’occhio con una filatura continua dove si sono alternati «assetti» italiani, francesi, americani, spagnoli e portoghesi. Droni, velivoli da ricognizione, navi hanno creato un grande ombrello di sorveglianza destinato a durare e ad allargarsi ad un fronte meno evidente. Quelle delle petroliere ombra.
Mosca, al fine di aggirare i controlli e sanzioni, ha mobilitato centinaia di questi scafi in grado di trasferire il greggio. Vecchie carrette spesso avvistate a sud della Grecia - per trasbordi di carico nello spazio internazionale -, a nord di Orano (per la stessa ragione), tra Cipro e la costa siriana. Non sono punti geografici casuali: qui esistono i «boschi». Sono aree di incontro, settori dove attendere la chiamata del compratore oppure angoli dove avvengono dei rifornimenti. Il coinvolgimento di almeno una di queste petroliere nella rottura dei cavi finlandesi ha messo in evidenza come le «cisterne», in qualche occasione, possono partecipare a manovre clandestine. E sono sacrificabili.
L’attenzione per i russi si allarga agli iraniani che, a loro volta, muovono la loro flottiglia di petroliere. Teheran è in una situazione particolare: teme un attacco israeliano, attende con timore la presidenza Trump, sta rinsaldando i rapporti strategici con il Cremlino, cerca comunque di dialogare con l’Occidente ma non può abbandonare i suoi «amici» in Medio Oriente. A partire dagli Houthi yemeniti, protagonisti di dozzine di raid contro il traffico in Mar Rosso. Grandi perturbatori di una via commerciale fondamentale, con ripercussioni globali non da poco. Anche qui l’Alleanza Atlantica, che è già impegnata con un proprio dispositivo, è stretta tra le onde: da un lato ha la necessità di garantire il transito, dall’altro non ha alcun interesse ad essere coinvolta in un conflitto senza fine.
E infine l’ultimo scacchiere. Allarmante. Riguarda l’Oriente dove la Cina non nasconde la sua pressione su Taiwan e nei confronti di paesi - come le Filippine - con i quali ha conteziosi territoriali. L’agitarsi di Pechino ha indotto gli alleati a mobilitarsi al fianco degli Usa, le Marine europee (Italia e Francia incluse) hanno inviato loro unità sulle rotte asiatiche. E lo hanno fatto non solo per mostrare una bandiera.