La signora dell'arte chiude i battenti
Se dovesse idealmente allineare tutte le opere che ha trattato in mezzo secolo d’attività non basterebbe il lungolago di Lugano che è lì, a pochi metri dallo stretto perimetro - tra via della Posta e piazza San Rocco - dove ruotano le sue giornate: la galleria, l’ufficio e l’abitazione. Elena Buchmann, la signora dell’arte svizzera, presto perderà un pezzo importante della sua lunga storia. «Chi gestisce una galleria deve garantire tre attività: l’esposizione, la promozione di un artista e poi la vendita delle opere. Io smetto con l’attività espositiva. Ma continuerò a seguire gli artisti che sento più vicino, a fornire consulenze a collezionisti e istituzioni e a dedicarmi all’archivio», racconta nel suo spazio accanto a Palazzo Reali, che chiude con la mostra di tre opere della serie Orizzonti firmate dall’amico Alberto Garutti.
La partenza da San Gallo nel 1975
Elena Buchmann insieme al marito Felix (sposato quando lei aveva vent’anni e scomparso nel 2008) ha iniziato a San Gallo (1975), poi si è spostata a Basilea (1983) con parentesi nei Grigioni e infine in Ticino (ad Agra dal 1998 e a Lugano dal 2013). Se si volta indietro ricorda con affetto il periodo di San Gallo con la prima mostra dedicata al grigionese Matias Spescha. «Inizialmente - racconta - faceva manifesti per un cinema». I Buchmann sono stati tra i pionieri della multimedialità . «Ad esempio con Arnulf Rainer e Dieter Roth mettemmo insieme le opere, un video che proiettammo in uno spazio buio ricavato in fretta e furia, una serie di foto e la musica. Ecco, questo per dire che per noi l’esposizione non è mai stata una semplice presentazione di quadri o sculture ma una operazione culturale, un percorso di crescita. Dagli anni Settanta le nostre gallerie sono sempre state un luogo di incontro, di scambio intellettuale, di socializzazione. A San Gallo si discuteva molto. E lì capimmo che il mondo dell’arte stava cambiando, che in Europa e in particolare in Italia, stava nascendo un movimento - la transavanguardia - di reazione a quanto stava accadendo in Usa. Così iniziammo a proporre artisti come Enzo Cucchi e Mimmo Paladino; quest’ultimo giocava molto sulla materialità: all’inizio non sapevo come venderlo ma poi l’ho capito, tanto è vero che lo ha comprato il museo di Berna. Dopo San Gallo ci trasferimmo a Basilea».
Mario Merz e il cesto mai utilizzato
«Sin dall’inizio - prosegue il racconto Elena Buchmann, stavolta seduta nel salotto della sua casa sotto un «animale» al neon di Mario Merz, l’artista che nel 1983 ha inaugurato la galleria di Basilea - la nostra filosofia di lavoro è stata precisa. Siamo sempre partiti dall’opera, dall’emozione, dalla curiosità che ci trasmetteva; poi abbiamo allacciato rapporti con l’artista, che in alcuni casi si sono trasformati in una affettuosa amicizia come appunto con Merz, che abbiamo ospitato a lavorare insieme alla moglie Marisa nel castello di Rietberg nei Grigioni. E come tutti gli artisti anche lui aveva strane richieste. Una volta mi domandò di trovare un artigiano capace di intrecciare una cesta. Allora non c’era internet, era complicato. Alla fine lo trovai. Ma quel cesto non venne mai utilizzato».
Ha venduto ovunque, America compresa
Nella sua storia la Galleria Buchmann ha realizzato e curato 52 cataloghi che poi sono degli autentici saggi. E ha venduto opere ovunque, America compresa. «Un tempo - prosegue la signora Elena - c’era solidarietà e collaborazione tra galleristi, eravamo noi a calmierare il mercato. Se qualcuno non aveva un artista richiesto da un cliente, allora si rivolgeva al collega che lo trattava e tutto si risolveva. È tutto cambiato profondamente con l’arrivo delle case d’asta, dei fondi d’investimento che puntano sull’arte e l’apertura delle grandi gallerie che hanno sedi in tutto il mondo e si presentano alle fiere con decine di manager. Il valore adesso non si assegna più seguendo un percorso, una crescita progressiva legata a mostre a presenze nei musei, a una storia personale e artistica. I criteri di valutazione sono cambiati. E anche le mostre progressivamente stanno perdendo interesse: si guarda di più l’evento, più al contenitore che al contenuto. All’inaugurazione un tempo anche i clienti Vip si accontentavano di un bicchiere di vino bianco e un bretzel, oggi il successo si misura dall’abbondanza del catering».
L’attenzione per i giovani
La lista degli artisti che Elena Buchmann ha incontrato, esposto, trattato, venduto a collezionisti e musei, attraversa la storia dell’arte svizzera e internazionale del Novecento. Di alcuni conserva a casa piccole, intime opere con dediche, che dialogano con i pezzi di arte africana selezionati nel tempo dal marito Felix ed esposti in una vetrina. In mezzo ci sono anche i giovani emergenti che Elena ha seguito con passione. Come il luganese Alex Dorici. O ricordi, come quello di Pipilotti Rist, pioniera della visual art: «La conosco da quando aveva sette anni e aveva la treccina». Sul tavolino accanto alla poltrona dove è seduta a raccontare frammenti di vita una piccola scultura di Felice Varini è accanto all’autobiografia (in tedesco) di Angela Merkel, il libro che attualmente sta leggendo. Nel corridoio tre pezzi numerati della serie Trashstone realizzati da Wilhelm Mundt.
Le fiere tappe importanti
Nel percorso della Buchmann le fiere sono sempre state tappe importanti. «Le ho frequentate un po’ tutte con Felix, lui però si annoiava e dopo la prima giornata andava via lasciandomi sola nello stand. Ma me la sono sempre cavata. Ricordo una volta che mi misi a urlare contro Lucio Amelio, dal quale avevo comprato un’opera che dopo un’ora lui non mi voleva più dare. Amelio era un istrione e bravissimo a vendere, si era inventato una tecnica: ogni ora tirava fuori un artista diverso. A Bruxelles, invece, andai insieme a Helmut Middendorf che al ricevimento si presentò vestito da «teddy boy»; poiché non lo fecero entrare con il bicchiere di vino che aveva in mano nella zona riservata non venne a dare la mano al re, spiegandomi poi che era contro la monarchia».
Il racconto del passaporto
Oggi tutto è cambiato. C’è il problema delle autentiche, ci sono i falsi. «In realtà ci sono sempre stati. Racconto un episodio. Una volta avevo un dubbio su un’opera di Jannis Kounellis. Sono andata così nel suo studio a Roma ed è stato lui a dirmi che sì, era un falso: era un disegno su carta Fabriano ma a quell’epoca, mi aveva raccontato Kounellis, non aveva i soldi per permettersi proprio quel tipo di carta». Dopo ore di racconti il cielo sopra Lugano s’è fatto rosso annunciando il buio. Ed Elena Buchmann aggiunge alla storia un piccolo rimpianto: «Molti anni fa avevo fatto domanda per ottenere il passaporto italiano. La procedura si bloccò perché, mi dissero, dovevo aver vissuto per un certo numero di anni in Italia, e mi chiesero di trovare un testimone. Lasciai perdere. Chiedevo il passaporto perché, pur essendomi sentita per tutta la vita profondamente svizzera, sono nata in Italia come mia madre e volevo riprendermi una parte delle mie radici. Pace, non ne ho mai fatto un dramma».
Nota a margine: la Galleria Buchmann di Berlino creata da André, figlio di Elena e Felix, naturalmente andrà avanti. Tra l’altro André rappresenta Tony Cragg come scultore e ha in esclusiva l’archivio dei disegni dell’artista.