La Siria sta andando a pezzi
La Siria va in frantumi, squassata dall’attacco dei ribelli e da alleanze instabili. È debole come non mai, con un esercito semi-disperso, dipendente dall’appoggio decisivo di russi e iraniani, i due principali alleati che hanno lasciato libero il campo dopo 13 anni di guerra civile. Il presidente Bashar Assad ha pagato prima con la perdita di Aleppo e Hama, poi di Homs e di tutto il paese. Ora è accerchiato a Damasco, ma alcuni lo danno già fuggito all’estero. Usa, Ue e Onu chiedono un vertice a Ginevra tra gli insorti e quel che resta del regime nato nel 1971 e oggi a un passo dalla fine.
I ribelli
Hanno lavorato sodo per almeno due anni, acquisendo un bagaglio militare notevole e sviluppando l’uso di droni kamikaze. Secondo alcune fonti hanno goduto dei consigli degli ucraini e così hanno importato tattiche impiegate in modo devastante per colpire i lealisti. La forza principale degli insorti è rappresentata da Hayat Tahrir al Sham, organizzazione che ha rotto sul piano formale con al Qaeda ma continua ad accogliere militanti jihadisti di diversi paesi (albanesi, uighuri, ceceni, uzbeki). Al suo fianco in una coalizione mai compatta le fazioni filo-turche. HTS vuole riprendersi il territorio perduto, collabora solo per interesse pragmatico con la Turchia. Secondo un’interpretazione i turchi avrebbero bloccato l’assalto alla metà di novembre e poi si sono accodati, sorpresi dalla fuga dei soldati. Il punto debole di al Sham è il timore «internazionale» che continui ad essere ultra-radicale. A questo si aggiungono i contrasti con gli altri gruppi. Per questo il suo leader Abu Muhammad al Jolani ha teso la mano a concorrenti e minoranze, un modo per allontanare i sospetti. E nel frattempo ha alzato il tiro sostenendo di voler liberare Damasco.
La Turchia
Il presidente Erdogan ha in mente due target. I soliti. Bloccare i curdi che agiscono nel Nord della Siria e sono la spalla del PKK (curdi di Turchia) creando una fascia di sicurezza. Avere un peso in qualsiasi assetto che riguardi il vicino, da qui l’uso delle milizie come strumento militare/politico. Ma questo non gli ha impedito, a seconda dei momenti, di mantenere aperto il canale di comunicazione con Damasco, Mosca e la stessa Teheran.
I curdi
Sono al fianco degli Usa nella caccia allo Stato Islamico, hanno buoni rapporti con i russi nelle aree settentrionali, hanno cooperato con il regime nel settore di Aleppo ma ci sono state tensioni in altre regioni, si sono scontrati con i filo-turchi e, nel contempo, hanno trovato un compromesso temporaneo con HTS.
La Russia
Nel 2015 ha mandato il contingente che ha salvato Assad, un passo seguito dalla creazione di basi navali - Tartous, Latakia - e di altre per l’aviazione. Un intervento che ha consacrato il ritorno di Mosca in Medio Oriente, una mossa nel disegno strategico globale del neo-zar. Solo che il conflitto in Ucraina ha costretto Putin a richiamare molti soldati e mezzi lasciando in Siria unità ridotte. Un ridimensionamento sfruttato dagli insorti. E ora Putin appare indeciso, anche perché i governativi sono soverchiati mentre le sue installazioni sono esposte.
L’Iran
Ha messo radici militari e politiche in Siria, una piattaforma per assistere l’Hezbollah in Libano, colpire Israele, raggiungere il Mediterraneo. Fino a pochi mesi fa il suo network era robusto, poi ha subito i raid devastanti di Tel Aviv. Teheran, questa volta, non ha potuto fermare l’avanzata nemica, anche perché è distratta dal duello con Tel Aviv. Ha promesso armi ad Assad ma intanto avrebbe richiamato parte dei pasdaran. Potrebbe usare le milizie sciite irachene ma anche loro hanno dei limiti: rischiano ritorsioni e Bagdad vuole evitare di essere coinvolta.
Israele
È determinato nel fermare l’avanzata di Teheran, cerca di rallentare il flusso di armi in favore dell’Hezbollah, vede con favore un Assad depotenziato ma sempre al potere, non si fida dei ribelli ma non li ha mai presi di mira in modo sistematico ed è stato «ricambiato» dagli insorti.
Gli Usa
Ha creato l’asse con i curdi nonostante siano nemici di un paese Nato, la Turchia. Ha costruito numerosi avamposti per controllare il corridoio sciita usato dall’Iran, infatti ogni tanto sferra dei blitz nei confronti dei militanti sponsorizzati da Teheran. Inoltre, non concede tregua all’Isis, mai scomparso. C’è attesa per l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca: manterrà i 900 militari presenti o ordinerà il ritiro?