La storia di Cecilia e «Blablablind»

I suoi video su Tik Tok e Instagram iniziano sempre con: «Sono una ragazza cieca e oggi vi spiegherò come…». E, inutile dirlo, ormai è un tormentone. Cecilia Soresina, così si chiama la protagonista nonché la fondatrice di «bla bla blind», che, come un vero e proprio brand, si è affermato in pochi mesi come profilo social e blog. Ticinese doc, Cecilia è la prima ragazza non vedente a laurearsi all’USI in Lingua letteratura e civiltà italiana. Ma la sua passione per la letteratura l’ha spinta oltre. «Martedì ho discusso la mia tesi su Dante e Pavese per l’ottenimento della laurea magistrale presso l’università di Bologna». A Bologna?! Proprio così. «Finita la triennale all’USI ho scelto di studiare lontano da casa - ride -, vi lascio immaginare come l’ha presa mia mamma...».
Uniti fino al midollo
Ma partiamo dall’inizio. «I miei genitori hanno scoperto che non vedevo quando avevo circa 4 mesi - spiega Cecilia a La Domenica -. La mia è una malattia genetica: amaurosi congenti di Leber. I miei genitori sono ciechi? No. Ma questa malattia è legata al loro patrimonio genetico. Sono dei portatori sani, e le probabilità che l’incontro tra i loro «geni bacati» - ride - sì a me piace chiamarli così, causasse la nascita di un figlio cieco erano molto poche. Eppure - ironizza - dopo aver scoperto la mia cecità, hanno scelto di correre il rischio e avere un altro figlio. Quando avevo 4 anni è nato Federico, mio fratello, e guarda un po’? Anche lui è cieco». Condividere la stessa disabilità ha senza ombra di dubbio rafforzato il rapporto tra Cecilia e Federico, rendendolo più equilibrato, anche se… Anche se «litighiamo come in qualsiasi rapporto tra fratelli che si rispetti, e poi io con lui ho un atteggiamento molto da «maestrina». Io certe cose ho imparato a farle prima di lui».


Ironica, solare, sorridente, e sfacciatamente perspicace. «Nella mia vita mi è capitato di tutto. Spesso succede che sono seduta al bar con una amica e si rivolgono a lei pensando che io non sia in grado di parlare o di rispondere. Ma anche di peggio. Come quando hanno detto a mia mamma che ha avuto una bella «sfiga» ad avere due figli ciechi. E io e mio fratello eravamo presenti. Ma lei è una tosta, ha sempre la risposta pronta e ribattuto: «se mai una sfida!» Tuttavia con il tempo ho capito una cosa: non potevo essere brava in tutto, ci sono ciechi molto abili nei movimenti, altri a cucinare. I non vedenti devono individuare una disciplina e impegnarsi per svolgerla al meglio».
Una pausa, quasi a superare un momento di imbarazzo. «Io per esempio non sono molto abile nel muovermi in autonomia. Per un cieco muoversi da solo richiede molto tempo e impiego di energie. Ho preferito appoggiarmi al braccio di qualche amica, e ora al mio cane guida Gloria». Poi torna subito il sorriso. «Però ho sviluppato le mie abilità nello studio e nella lettura. Ho anche imparato a scansionare da sola dei libri di testo universitari per poterli leggere in brail».
Tra le pagine di un libro
Tu vedi nero? La luce? «No io non vedo nulla. Ma ho imparato a vedere a modo mio». E poi quel ricordo... «Una volta stavo prendendo il treno con una mia amica, in biglietteria le dicono: «Che coraggiosa a portare in giro la tua amica che sicuramente non ha occasione di muoversi molto», lei ha riso, «ma in realtà Cecilia vede più posti di me». Talvolta si dice che leggere molto permette di visitare mondi lontani, esplorarli, scoprirli grazie alla propria immaginazione. «Ho sempre adorato leggere. Sono una ragazza cieca, i miei genitori mi hanno sempre spronata a fare moltissime esperienze. Ho viaggiato moltissimo, tuttavia, ho conosciuto i posti, solo ed esclusivamente con il filtro dei loro racconti». Ecco allora che leggere non significa solo imparare, «ma anche e soprattutto scoprire il mondo, posti, città, e luoghi della mente attraverso le parole di altre persone, entrare nel pensiero di chi scrive, elaborarlo come se fossi stata io stessa a vedere ciò di cui parlano».
Tormentone social
Bla Bla Blind nasce per sdrammatizzare la sua disabilità, ma anche rendere attente le persone che scelgono di diventare suoi «followers» sulle pari opportunità. «In passato seguivo delle ragazze cieche americane che parlavano della loro quotidianità, non ho trovato nessuno che ne parlava in italiano, così ho pensato di farlo io». Storie e video sui social «per rompere un po’ le scatole sulle cose che non vanno per i ciechi. La tecnologia aiuta molto e ci sono molte strategie che noi ciechi escogitiamo per avere una vita quotidiana normale, ma ci sono anche molte cose che non vanno. Spesso la società non è pensata per includere le persone disabili... Perchè quando voglio fare un bonifico bancario ci metto un’ora e mezza perché il sito non è progettato anche per le persone non vedenti». Effettivamente molti siti internet sono di difficile comprensione anche per le persone vedenti. «Quando ho scelto di andare a studiare a Bologna è stato anche perché ho visto che il sito dell’università era molto ben fatto, e offrivano anche un ufficio esclusivamente dedicato alle persone con disabilità. All’USI non c’è un ufficio dedicato ai disabili. Mi ha aiutato la mia assicurazione per la preparazione del piano di studi, poi sicuramente ho incontrato dei bravissimi professori a Lugano. Ma sarebbe opportuno avere un ufficio del genere in università, si tratterebbe di un segnale importante per la nostra comunità».
Il problema del linguaggio
Crescendo Cecilia ha capito che non poteva permettersi il lusso di essere una ragazza timida. «Se non ci vedi devi abituarti a parlare per primo, a rompere il ghiaccio. Perché? Le altre persone sono a disagio o anche genuinamente in imbarazzo di fronte alla cecità. L’unica cosa che si può fare è essere tu quella meno in imbarazzo di loro». E spesso, proprio perché ci si sente inadeguati di fronte ad una disabilità, non si sa come comportarsi o cosa dire… «Infatti uno dei grandi problemi di oggi sui media, al cinema, o nella realtà in generale è ciò che si dice della disabilità», osserva Cecilia. Era il 2014 quando Stella Young, attivista e attrice disabile, durante una manifestazione a Sidney ha parlato della narrazione orribile che spesso si fa della diversità definendola «inspiration porn», ovvero una pornografia motivazionale. L’attivista ha raccontato come ha incontrato persone che volevano premiarla per dei risultati che di eccezionale avevano poco. Così ha definito questa categoria di persone che vogliono creare dei miti motivazionali in persone con disabilità.


Basta pietismo e melensaggini. «Sono una ragazza cieca- spiega -. Ma sono anche una giovane donna che vuole vivere, sperimentare e sbagliare. Non sono una supereroina perché attraverso la strada con il mio cane guida. La mia disabilità non è l’unico tratto degno di nota della mia personalità. Non voglio essere ammirata né compatita, voglio solo un mondo più inclusivo nei confronti delle disabilità, perché le pari opportunità non vanno intese solo in senso di genere - e sono una femminista convinta- ma anche sul piano delle abilità».