L'analisi

La strana storia dell'Imperatore ucciso in Libia

Abd al Rahman Milad, alias al Bidja, direttore dell’Accademia navale libica, è stato ucciso
Guido Olimpio
08.09.2024 06:00

Domenica scorsa. Un SUV entra nella località di Sayyad, a ovest di Tripoli, quando è preso di mira da un tiro intenso che non lascia scampo all’uomo seduto all’interno. Non uno qualsiasi: Abd al Rahman Milad, alias al Bidja, detto anche l’Imperatore, direttore dell’Accademia navale libica.

La vittima che è stato a sua volta carnefice, come accade spesso nei conflitti, più ancora in quelli «civili». Con una traiettoria brutale ed una fine che probabilmente potrebbe riservare nuove sorprese.

Il libico, 34 anni, si è fatto strada attraverso i lampi della rivolta contro Muhammar Gheddafi, nel 2011, e usando il proprio clan familiare ha creato un’enclave di potere nella sua cittadina natale, Zawla. Ha iniziato con il contrabbando verso la Tunisia, poi con traffici di carburante, infine entrando pesantemente nel «mercato» dei clandestini che volevano attraversare il Mediterraneo per raggiungere l’approdo italiano. Un ruolo favorito dall’indossare, in modo piuttosto disinvolto, la divisa di ufficiale della Guardia Costiera. La migliore copertura e tutela per uno che ricavava soldi dal flusso di barconi diretti a Nord. Milad controlla, dirige, impone la sua legge e, come rileva un rapporto nell’Onu nel 2017, è uomo della Marina di giorno e contrabbandiere di notte. Non esita a far sparare sui battelli di gruppi rivali, è duro, senza remore, sfrutta al meglio la continua instabilità dello stato nordafricano, spezzato dalle faide tra milizie alle quali si aggiunge la contrapposizione tra l’esecutivo di Tripoli e quello della Cirenaica, capitanato dal generale Khalifa Haftar. Dominano i signori della guerra, piccoli e grandi, dotati di forze, ambiziosi e velleitari, tutti abbastanza spregiudicati per prestarsi a manovre e a far da sponda ad attori esterni.

I metodi di al Bidja - soprannome forse preso dal gergo calcistico, vuol dire pressare/spingere - sono ben noti. Nel 2018 sono ancora le Nazioni Unite a definirlo «il più pericoloso dei trafficanti, implicato in torture e violenze nei confronti di migranti». Giudizio severo messo nero su bianco, subito seguito da un’iniziativa del Tesoro statunitense che lo inserisce nella lista nera e lo «sanziona». Una misura simbolica che però sottolinea l’importanza e le responsabilità di un personaggio in continua ascesa.

Il «marinaio», in apparenza, gode di protezioni nella capitale e assume anche, per un certo periodo, la guida della Guardia costiera diventando interlocutore dei paesi europei che tentano di trovare soluzioni all’ondata migratoria. Lui affermerà di avere avuto fondi d’origine occidentale (Italia inclusa), denaro destinato a potenziare la sorveglianza dei villaggi costieri tramutati in punti di partenza. Probabile che raccolga informazioni preziose, conosca scorciatoie e segreti. Guadagna poi favori impegnandosi nei combattimenti contro i nemici della Cirenaica, mantiene relazioni con ambienti «islamici».

La sua carriera subisce una pausa quando nell’ottobre 2020 viene arrestato su richiesta del Tribunale dell’Aja e le autorità dell’epoca provano a mettere un freno all’illegalità. È uno stop breve, perché torna libero dopo soli quattro mesi e gli affidano le chiavi dell’Accademia. Lo fermeranno solo le pallottole tra sospetti di regolamenti di conti ma anche di un agguato deciso da qualcuno all’estero. Un servizio segreto? Un «cliente» scontento? Un concorrente? La risposta è sepolta nelle sabbie libiche insieme ai resti dell’Imperatore. Intanto in mare si continua a morire.

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