«La Svizzera italiana è importantissima per la SSR»
L'inizio di Susanne Wille è stato col botto. Nel suo primo giorno alla testa della SSR, lo scorso 1° novembre, ha annunciato «la più grande trasformazione nella storia» dell’ente radiotelevisivo. Poco dopo, un titolo roboante dei giornali del gruppo Tamedia («Susanne Wille vuole tagliare mille posti di lavoro») ha fatto temere che questa trasformazione possa fare rima con demolizione. Che la nuova direttrice SSR sia stata chiamata a smantellare il servizio pubblico? No, assicura Susanne Wille in un’intervista a La Domenica che ha tenuto a rilasciare in italiano per mostrare il suo attaccamento a ogni regione linguistica della Svizzera. «Il mio obiettivo - dice - è veramente quello di trovare delle soluzioni per preservare un servizio pubblico forte, una SSR forte che abbia un ruolo rilevante per tutte e tutti noi».
Signora Wille, perché vuole trasformare la SSR? Non sarebbe sufficiente qualche adeguamento?
«Abbiamo analizzato la situazione con il consiglio di amministrazione e abbiamo visto che c’è una situazione abbastanza speciale. Da una parte ci sono da fare risparmi per 270 milioni di franchi, il 17% del budget annuale. Dall’altra ci sono i cambiamenti tecnologici e le nuove modalità di fruizione dei media. Mettendo insieme questi aspetti, ci siamo resi conto che non sarebbe possibile limitarsi a suddividere i risparmi tra le singole unità aziendali».
Perché non sarebbe possibile?
«Sarebbe troppo. I risparmi avrebbero effetti pesanti direttamente sulla programmazione, che non sarebbe più all’altezza delle aspettative del pubblico. Per questo vogliamo analizzare l’azienda nel suo complesso, concentrandoci anche sulle nostre strutture e i nostri processi. Vogliamo vedere dove collaboriamo bene insieme e dove possiamo collaborare meglio, vogliamo capire quali contenuti intendiamo offrire come SSR. È per queste ragioni che riteniamo sia necessaria una trasformazione dell’azienda».
Lei parla di collaborazioni. È possibile, per fare un esempio, che il TG della RSI torni a essere fatto a Zurigo come una volta?
«Per me è veramente importante che la SSR sia vicina alle persone. La realtà della Svizzera italiana non è la stessa della Svizzera interna. Per questa ragione la diversità regionale è una parte centrale della SSR. L’idea che si faccia tutto in un solo posto - che sia Zurigo, Olten o Locarno - non corrisponde alla realtà svizzera. È vero che dovremo trovare delle soluzioni per mantenere questo equilibrio. Ma anche questo cercare sempre di intenderci tra di noi è parte integrante della forza della Svizzera».
Per ora l’unico aspetto concreto della trasformazione è il prospettato taglio di mille impieghi. Non è il più entusiasmante degli inizi.
«Io non inizio di certo il mio lavoro partendo da questa questione, che è al limite solo una conseguenza inevitabile della necessità di risparmiare. Oltretutto non ho mai parlato di mille posti di lavoro. Quella cifra è semplicemente il risultato di un calcolo matematico. Se dobbiamo risparmiare 270 milioni, considerando che il personale incide per la metà dei costi, con un calcolo matematico si arriva a più o meno 900 posti di lavoro entro il 2027 e 1000 entro il 2029. Ma noi non ragioniamo con i calcoli. Noi abbiamo la responsabilità di trovare delle soluzioni. Forse potremo trovare soluzioni che non richiedono la soppressione di impieghi. Per esempio, l’abbandono delle onde FM consente di risparmiare 15 milioni senza tagliare un solo posto».
Ecco, ha toccato un tasto dolente. Non crede che l’abbandono delle onde FM con due anni di anticipo rispetto alle emittenti private possa alienarvi le simpatie di molti radioascoltatori, specie in un periodo delicato come quello che precede la votazione sull’iniziativa «200 franchi bastano»?
«Devo dire che non è stata la SSR a decidere di abbandonare la diffusione sulle onde FM. È una decisione presa di comune accordo tra le autorità federali, le emittenti private di tutta la Svizzera e la SSR, su richiesta del settore radiofonico, che riteneva troppo costoso continuare a finanziare tre tecnologie differenti. Oggi in Svizzera l’80% dei minuti di ascolto radiofonico avviene su vettori digitali».
Ma perché abbandonarle subito?
«In un momento in cui dobbiamo risparmiare è opportuno abbandonare un metodo di trasmissione sempre meno utilizzato. Noi ci adeguiamo a fine anno, altri lo faranno più tardi. È chiaro che sono sempre decisioni difficili. Ogni volta che modifichiamo, o dobbiamo modificare, la nostra offerta o la tecnologia con la quale distribuiamo i nostri programmi, c’è qualcuno tra chi ci ama e segue, che vive questi cambiamenti come una perdita.Questo dimostra ancora una volta come la SSR sia un patrimonio di tutte e tutti e, per questo, si discute e dibatte su ogni decisione».
Già che ci siete, abbandonerete anche il Teletext?
«Nelle riunioni di comitato di direzione discutiamo regolarmente di tecnologie, di tutte le tecnologie. Lo facciamo anche tenendo conto delle esigenze degli utenti. Per quanto riguarda il Teletext, ci sono ancora tante persone che lo utilizzano».
Buona parte dei giovani invece non utilizza nemmeno più la radio e la tv. È immaginabile che la SSR produca contenuti per TikTok o Instagram?
«Il cambiamento digitale è enorme, non solo tra i giovani. Sempre più persone utilizzano i servizi digitali. Noi dobbiamo trovare delle soluzioni, se vogliamo mantenere un ruolo rilevante. Se posso fare un esempio, io ho detto sin da subito che il progetto con il titolo provvisorio «PlayNext» riveste la massima importanza perché rappresenta il futuro del servizio pubblico».
Che cos’è il progetto PlayNext?
«È un progetto SSR per la creazione di una piattaforma di streaming nazionale unica che accolga tutta la produzione delle unità aziendali, quindiSRF,RTS, RSI e RTR, insieme ai contenuti di PlaySuisse. Si potranno vedere le trasmissioni sia in diretta streaming, sia on demand. Speriamo di riuscire a lanciare questa piattaforma nel 2026».
Lei crede che fra 50 anni si guarderà ancora la televisione?
«Non lo so. Appena dopo aver preso possesso del mio nuovo ufficio, un collaboratore è venuto da me e mi ha regalato una fotografia dell’auto di «Ritorno al futuro», il film con Michael J. Fox. Dentro a questa auto c’è un flusso canalizzatore che permette di viaggiare nel tempo. Ecco, il collaboratore mi ha detto che mi regalava quell’immagine perché nessuno sa come sarà esattamente il futuro ma ciò non toglie che bisogna sempre pensarci. Ora questa fotografia è sulla mia scrivania a simboleggiare la necessità di guardare sempre in avanti ed essere pronti a ogni scenario. Radio e televisione ci saranno ancora per tanto tempo ma, in verità, nessuno sa cosa il futuro ci porterà ».
Uno scenario che potrebbe stagliarsi all’orizzonte è quello dell’eventuale accettazione popolare dell’iniziativa «200 franchi bastano». Sarebbe la fine del servizio pubblico?
«Sarebbe la fine del servizio pubblico come lo conosciamo oggi. Con la metà dei soldi non sarebbe più possibile mantenere la nostra diversità dell’offerta con un così forte ancoraggio nelle varie regioni. Sarebbe un duro colpo anche per la Svizzera e il suo sistema mediatico come lo conosciamo oggi».
Ai tempi della Billag il canone radiotv costava 451 franchi all’anno. Se la SSR è riuscita a sopravvivere piuttosto bene alla progressiva riduzione del canone fino a 335 franchi, perché non potrebbe sopravvivere a un’ulteriore calo?
«È vero che il canone radiotv è diminuito ma contemporaneamente la politica e la popolazione svizzera hanno deciso di assoggettare al canone anche le aziende. Questo ha permesso di compensare almeno in parte la riduzione degli introiti. Inoltre negli ultimi anni la SSR ha già adottato varie misure di risparmio in tutte le sue unità aziendali. Dobbiamo continuare a risparmiare ma c’è comunque un limite sotto il quale le conseguenze diventano troppo pesanti».
Negli anni Novanta la SSR aveva 5000 collaboratori. Oggi ne ha più di 7000. Era davvero necessario crescere così tanto?
«Quello che posso dire è che negli ultimi dieci anni il numero di collaboratrici e collaboratori stava diminuendo. Poi c’è stato un leggero aumento a causa della trasformazione digitale e durante la pandemia. Ma ora torna a diminuire. Se si considera che la metà dei costi della SSR è legata al personale, non si può pensare di risparmiare 270 milioni di franchi senza sopprimere posti di lavoro».
C’è un numero minimo di collaboratori sotto il quale non si potrebbe andare?
«Non sarebbe né serio né professionale indicare una cifra. Io vorrei sottolineare, se posso, che ho moltissima stima delle collaboratrici e dei collaboratori della SSR. Ho visitato la RSI, ho visitato la RTS, ho voluto vedere come lavorano le colleghe e i colleghi e sono rimasta impressionata nel vedere la loro energia, la loro creatività, la loro fierezza. Ogni giorno realizzano dei nuovi programmi, ogni giorno. Per loro non è facile lavorare sapendo di essere sempre messi in discussione, sapendo che ci sarà questa votazione e che ci sarà una trasformazione. Ma continuano a farlo con grande passione».
Sarebbe meglio votare adesso, togliersi il dente subito, invece di restare sulle spine fino al 2026?
«Io sono democratica. Amo la Svizzera e il suo sistema politico. Penso che sia giusto prendersi il tempo per discutere di servizio pubblico, di cosa la gente si aspetta dalla SSR e di cosa noi siamo chiamati a offrirle. Per questo sono felice che ci sia un dibattito, che si possa davvero discutere con il pubblico».
Quindi lei ora lavora su due scenari, l’accettazione e la bocciatura dell’iniziativa?
«Noi lavoriamo sullo scenario che deriva dalla decisione del Consiglio federale, la riduzione del canone a 300 franchi. Ma la trasformazione non è soltanto un tema economico, di risparmi. È veramente l’idea di stabilizzare il futuro della SSR, di preservarla, di trovare risposte su cosa vogliamo fare in un periodo di grandi e rapidi cambiamenti».
Invece di pensare solo a risparmiare, non sarebbe possibile sviluppare altre forme di finanziamento oltre al canone radiotv?
«Non spetta a noi inventare nuove forme di finanziamento, sono decisioni che competono alla politica. Da parte nostra cerchiamo sempre nuove soluzioni, ma siamo in un contesto in cui i ricavi commerciali sono in calo, non solo per noi ma per tutti i media. I cambiamenti tecnologici si susseguono e il pubblico ha modificato le sue modalità di fruizione. È una realtà dalla quale non possiamo prescindere. Quello che possiamo fare è riflettere bene su come investire al meglio il budget per costruire una SSR forte per il pubblico».
Come spiega il fatto che il Ticino sia stato, con oltre 30.000 firme, il cantone che più di tutti ha contribuito alla riuscita dell’iniziativa «200 franchi bastano»?
«Ho analizzato i numeri della Svizzera italiana e ho visto che i nostri programmi sono popolari. Il pubblico segue e apprezza ciò che facciamo. C’è anche molta partecipazione. Ora è nostra responsabilità spiegare perché un servizio pubblico è importante, perché l’indipendenza e la qualità sono importanti, qual è il valore aggiunto che la SSR può dare alla società nella promozione della cultura, del cinema, dei talenti musicali, dello sport».
Ecco, lo sport. È davvero essenziale che la SSR diffonda anche le gare di Formula 1 o le partite di Champions League?
«La concessione dice che anche lo sport e l’intrattenimento rientrano nel mandato del servizio pubblico. Noi vediamo che lo sport raggiunge moltissime persone. Durante le Olimpiadi, per esempio, il 43% dei telespettatori erano persone giovani. Discuteremo senz’altro con le colleghe e i colleghi delle varie unità per capire cosa vogliamo trasmettere. Ma sicuramente lo sport fa parte del programma della SSR».
Tornando all’iniziativa «200 franchi bastano», secondo lei chi l’ha firmata l’ha fatto per risparmiare sul canone o perché non apprezza la linea politica della SSR?
«È difficile dare una risposta univoca. Ci sono sicuramente motivi differenti. Per questo ogni volta che vengo nella Svizzera italiana ascolto molto volentieri le opinioni delle e dei politici, per capire meglio la situazione».
Secondo lei la SSR è orientata politicamente?
«C’è chi ci critica di essere troppo a destra, chi troppo a sinistra. Il dibattito sulla neutralità della SSR c’è sempre stato ed è un dibattito che io accolgo positivamente. È importante che si discuta del servizio pubblico. La qualità, l’indipendenza e l’imparzialità dei nostri programmi sono per me valori imprescindibili e sono tra le mie più importanti priorità. Da parte nostra facciamo molta autocritica, discutiamo molto nelle unità aziendali e i programmi sono spesso una risposta a queste discussioni».
Oggi la RSI riceve circa il 20% dei proventi del canone. Visto l’ampio sostegno dei ticinesi all’iniziativa «200 franchi bastano», ritiene che questa quota possa essere ridiscussa?
«Si può discutere di tutto. Ma la SSR è finanziata in modo solidale. Questo è il cuore di un’azienda mediatica che rappresenta quattro lingue e quattro culture. Per noi è importante essere vicini alle persone, a tutte le persone. E comunque non iniziamo le nostre riflessioni da questa domanda. Prima vogliamo capire cosa è meglio fare e poi decideremo come finanziare tutto».
La Svizzera italiana può solo perderci.
«La Svizzera italiana fa parte della Svizzera. È una parte importantissima. Io ho scelto di chiamare la trasformazione «Enavant», in avanti in romancio, proprio per sottolineare come per noi la valorizzazione delle minoranze e l’equità nel riconoscere la rilevanza e il contributo di ogni regione linguistica sia essenziale. Per la SSR, tutti sono importanti».