La storia

L'agriturismo non piace al Cantone

Una masseria «bio» combatte per rinascere tra il cemento della periferia di Lugano, ma otto opposizioni le tagliano la strada – «Dovremo aspettare anni»
© CdT / Chiara Zocchetti
Davide Illarietti
22.09.2024 10:30

Una volta, si narra, a proteggere la masseria Gemmo c’era un contadino burbero, armato di forcone. Gli ex bambini del quartiere lo ricordano con timore («guai se ti beccava a giocare sui prati») e una punta di rimpianto. L’ostilità era motivata?

Il forcone - c’è chi dice «un fucile», forse a salve - non è bastato a tenere lontano il cemento, che negli anni si è mangiato la campagna di Sorengo e Breganzona. I palazzi ora circondano la masseria: morto il contadino, è stata abbandonata per un decennio - tetti sfondati, erbacce ovunque. Sembrava destinata a scomparire anch’essa.

Invece no. A sorpresa, durante la pandemia sui prati del Gemmo sono ricomparsi filari di piante coltivate, pomodori, lattughe. Prima in un angolo, poi in un altro. Gli abitanti del quartiere si sono interessati: hanno scoperto che i nuovi proprietari, una coppia di giovani dall’aspetto simpatico - «un po’ alternativi» - non solo non erano armati di forcone, ma volevano fare della masseria un luogo aperto al quartiere.

La masseria il Gemmo a Breganzona.
La masseria il Gemmo a Breganzona.

«È stato bellissimo» racconta Marianne, 71 anni: oggi lavora come cassiera volontaria al mercato bi-settimanale (martedì e sabato) che si svolge dentro al Gemmo. Per tutta la vita ha osservato la masseria da lontano - «abito proprio qui dietro» - senza osare avvicinarsi: si era rassegnata. «Appena ho saputo la novità sono venuta a offrire il mio aiuto».

Otto opposizioni

Non tutti, però, sono stati altrettanto collaborativi. Il progetto di ristrutturare il rudere e farne un agriturismo biologico a sfondo sociale - presentato un anno fa - ha suscitato entusiasmo ma anche le immancabili resistenze. Da una parte scolaresche e abitanti del quartiere hanno iniziato a visitare la fattoria, dando vita a un’associazione di auto-consumo che coltiva una parte dei terreni (ma la masseria ospita anche eventi culturali e manifestazioni organizzati dall’OTAF, il WWF e altre associazioni). Dall’altra non solo i vicini di casa, ma anche il Cantone e un’associazione hanno presentato un totale di otto opposizioni.

A trovare da ridire sono stati, in particolare, gli uffici cantonali dei Beni Culturali e dell’Agricoltura, la Società ticinese per l’arte e la natura (Stan) e cinque famiglie residenti nei dintorni. Il risultato: i lavori di distrutturazione dell’antico rudere, che dovevano partire a inizio dell’anno prossimo, sono stati posticipati a data da destinarsi. Se ne riparla tra due o tre anni (forse). Che cosa è andato storto?

Una filosofia di vita

«La nostra idea è sempre stata e rimane quella di restituire alla società un luogo prezioso, mantenere un presidio agricolo e verde in quest’area urbana sempre più cementificata» spiegano Mirko Marelli e Karin Ernst mentre si aggirano tra gli ortaggi rigogliosi e curati, ciascuno con un cartello in legno recante il nome («cicorino rosso», «verza», «cavolo cinese», «pan di zucchero»).

Il contrasto è evidente. Girando attorno alla masseria, che risale al 1600, tutto rimanda alla filosofia ecologista dei nuovi proprietari - uno stile simpaticamente «hippie» anche nel modo di vestire - e alla sostenibilità: pacciamatura, zero pesticidi, confetture confezionate a mano su vecchi tavoli di legno, ortaggi non sono per forza «belli» ma sicuramente buoni e sani. «Ci siamo innamorati di questo posto» racconta Karin, che fino a pochi anni fa lavorava nel sociale a Losanna ed è tornata in Ticino quando la sua famiglia ha rilevato la fattoria nel 2014. «È stata una scelta di vita».

Mirko invece ha lavorato a lungo in Africa nel commercio equo e solidale (la masseria ospita anche una bottega di artigianato senegalese, che ha importato lui stesso) e non è abituato alla burocrazia ticinese. «Ci sembrava di fare qualcosa di positivo per la collettività e non mi aspettavo tanti ostacoli» confessa. Il progetto del «nuovo» Gemmo prevedeva una ristrutturazione conservativa, più la sostituzione di una cascina pericolante (e non protetta come bene culturale) con un magazzino per attrezzi e servizi. L’investimento compelssivo è di 4-5 milioni di franchi. «L’intenzione è certamente di proseguire con le attività per le scuole e con le associazioni di cittadini» commenta Mirko con una punta di amarezza. «Dobbiamo però rassegnarci a dover aspettare ancora un po’ di tempo».

L’incontro con i funzionari

I contadini del Gemmo oggi sono tutt’altro che burberi, ma non per questo arrendevoli. Hanno chiesto un incontro con il Cantone e martedì i funzionari di ben quattro uffici (una quindicina di persone) hanno visitato le vecchie stalle e il fienile abbandonato e cadente, su cui sorgono ormai da tempo delle modine forse troppo ottimistiche. All’idea iniziale dell’agriturismo biologico (nove camere, due appartamenti turistici, un’abitazione per i gestori) è stato contestato il cambio di destinazione d’uso - «ma non vogliamo fare un albergo a cinque stelle» - e il progetto dovrà essere sottoposto a una serie di modifiche per ottenere la licenza di costruire. «Noi siamo ovviamente disponibili ai cambiamenti e li faremo, fermo restando che le attività ricettive sono indispensabili per sostenere la futura struttura» concludono Karin e Mirko. «L’agricoltura purtroppo oggi da sola non basta». Il Gemmo di domani (o dopodomani) dovrà insomma essere sostenibile in senso non solo ambientale ma anche economico. E resterà un bene protetto ma, ricordano i nuovi proprietari, «per proteggerlo bisogna prima sistemarlo».

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