L'algoritmo fa bene alla salute

Quando la tecnologia va in soccorso alla medicina, la salute migliora. E questo perché le cure, o meglio la prevenzione delle malattie, diventa sempre più personalizzata, tagliata sulla persona. È un po’ come andare dal sarto a fare un abito invece che acquistarne uno di serie in un negozio. Si chiama medicina, o salute di precisione e sfrutta le tecnologie avanzate, la digitalizzazione e l’immensa mole di dati e informazioni che sono congelati nei data base e che vengono estratti e poi elaborati grazie soprattutto all’intelligenza artificiale, affidandoli a famiglie di algoritmi addestrati per fare questo lavoro con estrema precisione. Ed è quello che si fa alla Supsi, precisamente all’istituto MeDiTech diretto dal professore Stéphane Meystre.
«Il nostro lavoro parte da un cambio di paradigma e di cultura. Sino a oggi – spiega Meystre – la diagnosi di una malattia partiva dalle analisi, da esami di laboratorio e poi il medico calibrava la cura secondo la sua esperienza, che teneva conto di casi simili o di una letteratura scientifica che magari era ferma a 20 anni prima. La nostra visione va oltre questa impostazione classica. La medicina di precisione entra nella società, ci scava dentro tanto che racchiude tutto ciò che resta fuori dall’ambito sanitario. In pratica tiene conto dello stile di vita di tutti noi che non siamo necessariamente malati o ospedalizzati, prende in considerazione le abitudini, il modo di alimentarsi, l’attività fisica, eventuali pressioni sul lavoro e in famiglia, e così via. In definitiva il nostro focus mira a un approccio più complessivo, predittivo, preventivo, personalizzato e partecipativo».
La strategia delle quattro P
La medicina delle quattro P. Preventivo perché aiuta a ridurre fattori di rischio di malattie; predittivo perché attraverso l’analisi dei dati si può appunto «predire» un disturbo futuro; personalizzato perché ogni intervento può essere «cucito» sull’individuo; partecipativo perché questo processo prevede un intervento attivo della persona. «L’obiettivo numero uno- spiega ancora Stéphane Meystre - è aiutare le persone a rimanere in salute. E questo oggi è possibile perché riusciamo a sfruttare una grande mole di dati (big data), informazioni spesso molto dettagliate (cliniche, sullo stile di vita, l’ambiente, il profilo genomico), e grazie all’uso delle nuove tecnologie riusciamo a selezionare da campioni di grandi dimensioni, a volte aggregati, ciò che realmente ci serve. Ci dobbiamo rendere conto che i dati a nostra disposizione crescono in maniera esponenziale e questa corsa rende tutto molto complesso. Siamo seduti su un tesoro che va valorizzato e sfruttato. Per fare un esempio concreto: stiamo lavorando su algoritmi molto raffinati e performanti che riescono a interpretare, localizzare, identificare e predire malattie non visibili dal cardiologo perché posseggono variazioni così sottili che sfuggono». E invece grazie alle nuove tecnologie digitali si possono cogliere «dettagli, sfumature che magari non riusciamo a interpretare in prima battuta».
Un processo di ottimizzazione
Ma la medicina di precisione punta anche a rendere le cure sanitarie più efficienti. «Oggi questo aspetto è fondamentale – fa notare il professor Meystre – perché abbiamo una popolazione che invecchia sempre più e deve mantenersi il più possibile sana, altrimenti ci confronteremo con costi sanitari sempre più elevati; inoltre abbiamo bisogno di personale molto specializzato ed è dunque quanto mai necessario ottimizzare, ridurre i bisogni attraverso la prevenzione». Questo è possibile adottando stili di vita diversi, integrando sport, alimentazione, cercando di capire attraverso i geni se si è predisposti o meno a certe malattie. «Non dimentichiamo - riprende il direttore - che il nostro stato di salute dipende per il 40% dal nostro comportamento quotidiano; la vita sociale invece influisce per il 15%; l’ambiente (quindi quello che respiriamo, ad esempio) pesa nella misura del 5%; per il 10% siamo legati alla nostra storia medica o a eventuali farmaci che assumiamo; il 30% ci riporta agli aspetti ereditari ma è anche influenzato dalla epigenetica». Una parte di queste informazioni sono contenute nella cartella clinica digitale, che «ora è abbastanza avanzata ma per catturare dati e per un suo uso intelligente servono algoritmi. La cartella informatizzata del paziente (in Ticino su questo fronte siamo un po’ in ritardi rispetto ad altre aree del Paese come la Svizzera francese) è invece concepita bene e consente di condividere e di gestire con il malato e con i medici informazioni sanitarie rilevanti».
Quattro aree di ricerca scientifica
All’istituto diretto dal professor Stéphane Meystre attualmente ci sono quattro aree scientifiche e di ricerca che lanciano progetti in collaborazione con ospedali, non soltanto svizzeri ma anche europei, enti come l’EOC, università. Le prime tre aree hanno attività un po’ diverse: elaborazione di segnali come ECG e integrazione di wearables; sviluppo di dispositivi medici come sensori intelligenti; applicazioni di IA in ambito sanitario, ad esempio per consentire il riutilizzo di dati clinici per la ricerca scientifica; la quarta sviluppa sistemi attraverso tecniche come la telemedicina per raccogliere informazioni utili a diagnosi e cure in particolare di malattie neurodegenerative.
I pazienti per la ricerca
Uno degli ultimi progetti dell’istituto MeDiTech con l’Eoc «punta – spiega Meystre – a creare algoritmi per identificare pazienti eligibili per studi clinici. È una ricerca importante perché nel 90 per cento dei casi questi pazienti non vengono riconosciuti e dunque si perdono opportunità terapeutiche e di ricerca. Molti studi falliscono proprio per mancanza di una casistica. Il nostro algoritmo dalle cartelle cliniche cava via “notizie” che offrono precise indicazioni su chi è candidabile».
In questo lavoro entra di prepotenza un problema affatto irrilevante: la privacy: «Questo è un aspetto direi vitale. Io personalmente da quindici anni lavoro per proteggere la privacy ed evitare che l’attività degli algoritmi possa in qualche modo far cadere le barriere di protezione che vengono piazzate per salvaguardare dati sensibili e confidenziali e conservarli protetti anche per il loro utilizzo futuro. Molti pazienti accettano volentieri che le informazioni che li riguardano possano essere sfruttate per la ricerca ma ci chiedono garanzie e noi dobbiamo assicurarle. C’è da aggiungere che la normativa federale e quella europea stanno cercando si adattarsi sempre più all’avanzare della tecnologia».