L'anarco-milionario che dice «oh yeah» alla vita (e al vino)

«Ooooooh yeah». Strascico di percussioni e tastiere sintentiche, la voce che sprofonda e risale allusiva. Dagli anni ‘80 nei film di Hollywood e negli spot televisivi è l’effetto sonoro par excellence quando per strada passa una bella donna o un’auto di lusso. Oggi la voce di Dieter Meier è diventata virale grazie ai meme e alla mascotte della birra Duff nei Simpson - a cui fa da colonna sonora - ma pochi sanno che è la sua. Chi immaginerebbe che dietro a quelle due sillabe «goderecce» c’è un cantante svizzero 79.enne dalla carriera multiforme?
Meier è un volto noto oltre Gottardo, dove cinquant’anni fa è stato un pioniere del cosiddetto «elettropop». Nel 1985 con il suo gruppo, gli Yello, raggiunse il successo internazionale grazie a una canzone dance piuttosto ripetitiva che spopolò in Europa e Stati Uniti (complice il film Una pazza giornata di vacanza, il primo a utilizzarla come commento musicale). Nel brano Meier non fa altro che ripetere «oh yeah», il titolo del singolo, in quello che con il tempo è assurto a inno alla gioia di vivere per almeno una generazione. Ma si presterebbe, per osmosi, a fare da riassunto alla vita del cantante stesso.
«È stata un’evoluzione naturale»
Musica, arte concettuale, tanto vino e cibo di qualità.In sessant’anni di carriera Meier ha incarnato alla perfezione il ruolo del viveur e la spensieratezza celebrata dagli «Yello» con i loro video iconici: si definisce un anarchico convinto, memore di un attivismo dandy nelle fabbriche occupate a Zurigo negli anni Sessanta. È stato poeta, giocatore di poker, scrittore, artista concettuale e negli ultimi anni anche viticoltore e ristoratore di alto livello. Nato nel 1945 a Zurigo, appartenente a un’agiata famiglia di industriali, ha cambiato un’infinità di mestieri e lo ha sempre fatto seguendo l’ispirazione. «Raramente nella mia vita ho formulato dei veri e propri programmi» confessa a La Domenica. «Per la maggior parte del tempo ho semplicemente seguito quello che mi veniva in mente, di volta in volta».
È la filosofia di dire «sì» alla vita, anzi «oh yeah», applicata ad ogni campo. L’approdo alla ristorazione è solo l’ultima di una lunga serie di trasformazioni - «uno sbocco naturale» dice - ed è stato preceduto da esperimenti nel settore vitivinicolo, incominciati negli anni Novanta, fino all’apertura di una fabbrica di cioccolato nel canton Svitto nel 2022. «Considero la gastronomia assolutamente come una forma d’arte» spiega il 79enne. «Oltre che una passione personale, è stata per me l’evoluzione di un percorso artistico».
Il caso Meier
Le due cose sarebbero collegate anche in un altro senso. Secondo alcune autorevoli ricostruzioni giornalistiche, dedicate anche in anni recenti al «caso» Meier, il successo del tormentone musicale sarebbe all’origine delle fortunate avventure dell’artista in altri ambiti. Dopo «Oh, yeah» - ha calcolato il Wall Street Journal - il cantante avrebbe accumulato un patrimonio di 175miloni di franchi investendo i proventi musicali nei modi più disparati. Oggi la «ditta Meier» ha una struttura imprenditoriale ramificata, portata avanti con successo dai figli. «Per me è un privilegio lavorare con loro, e vederli sempre più coinvolti in questi progetti» conferma il 79.enne. «Le attività imprenditoriali sono curate soprattutto da mia figlia Eleonore, che ha assunto la direzione della società di famiglia e segue strategicamente le nostre attività».
Il vino come arte
Attività molteplici e diversificate. Tutto è cominciato con un viaggio in Argentina. Meier si innamora negli anni Novanta del Paese sudamericano che aveva visitato già decenni prima assieme al padre Walter, commerciante di umili origini fondatore, tra le altre cose, di una banca privata. Ci torna da musicista di successo e acquista una tenuta ottocentesca di 2.200 ettari nei pressi di Buenos Aires, chiamata Ojo de Agua. Meier è un appassionato di vini e ha un’idea precisa in mente. «Ho sempre pensato che produrre buon vino abbia a che fare con l’espressione creativa» spiega a La Domenica. «È un’espressione artistica che si associa a una grande precisione artigianale. Questa interazione mi affascinava».
Del resto Meier ha sempre mostrato di avere un’idea ampia di creatività. Come artista concettuale in gioventù si è distinto con imprese curiose come la posa di una targa alla stazione ferroviaria di Kessel nel 1972, in cui prometteva di tornare sul posto «il 23 marzo 1994 dalle 15 alle 16» (cosa che poi fece), oppure trascorrendo otto ore al giorno per cinque giorni consecutivi a insacchettare pezzi di metallo davanti alla Kunsthaus di Zurigo.
Dalle carni al cioccolato
Prima del successo musicale Meier ha tentato la strada del poker professionistico - «ero un drogato di carte» - e anche dopo l’incontro con Boris Blank e Carlos Peron, il duo fondatore degli Yello, Meier ha accompagnato alla carriera musicale una lunga serie di occupazioni «a coté» più o meno dilettantesche: il golf, il cinema, le arti visive (ha sempre curato di persona i video degli Yello). Con il vino ha fatto centro: quello prodotto nella tenuta Ojo de Agua è oggi considerato tra i migliori biologici al mondo, trapiantato in vigneti gemelli sulle Ande, in Patagonia e a Ibiza. «In Argentina ho testato diversi tipi di terreni e ho trovato le condizioni ideali in particolare nella zona di Mendoza, dove il clima e l’acqua di disgelo delle Ande sono il punto di partenza ideale per delle produzioni di grande qualità» spiega il 79.enne. «La mia politica è quella di crearmi un pubblico fedele con vini di alta qualità, e ha funzionato».
Nell’imprenditore anarchico la passione per l’agricoltura va a braccetto con quella per la gastronomia. Le carni prodotte nelle tenute in Argentina sono servite in un ristorante di sua proprietà nel quartiere della Rennweg a Zurigo e dallo chef Nico Maeder sulla Bärengasse. «Ho la fortuna di lavorare da molti anni con le persone giuste che condividono la mia passione per il vino e il buon cibo» confessa il 79.enne. «Il mio segreto è affidarmi a dipendenti leali e competenti». Il motto condiviso è «back to the roots», tornare alle origini. «Ci concentriamo sull’essenziale» spiega l’artista, che ha applicato il concetto anche a una fabbrica di cioccolato aperta l’anno scorso a Freienbach (SZ). «Anche qui ho seguito l’ispirazione, utilizzando un processo di estrazione a freddo brevettato a livello mondiale». Ne avrebbe per riempire un libro, e difatti lo sta scrivendo. Se mai uscirà - «ci lavoro ormai da diversi anni» ammette - sicuramente non sarà una lettura noiosa.