L'appello di un ex medico di guerra: «È ora di cambiare strada»
Flavio Del Ponte apre e muove le mani quando parla e racconta dei suoi 30 anni al fronte come chirurgo di guerra. Cambogia, Laos, Vietnam, Pakistan, Afghanistan, Somalia, Sudan, Kenya, Haiti. Sono tanti i luoghi e le situazioni con cui si è confrontato e che oggi ha voluto racchiudere nel libro «Dissonanze - Storie di un chirurgo di guerra» edito da Armando Dadò Editore di Locarno. Un libro-testimonianza, ma non solo, il suo. Perché è soprattutto un invito, «ormai diventato inderogabile», dice alla presentazione del volume a Someo avvenuta giovedì scorso, al riavvio del rispetto del diritto umanitario internazionale oggi calpestato. «Non è solo il momento di dire «no» alla guerra - precisa - ma anche di dimostrarlo con i fatti. Se non riusciremo a fermare le violenze e andremo avanti con questa foga inarrestabile per l’umanità sarà la fine».
La prima «missione»
Someo non è un luogo scelto a caso. Perché è a pochi chilometri da qui, a Bignasco, che Flavio Del Ponte, fratello di Carla, è cresciuto. «Dal prete del villaggio al collegio Papio di Ascona, la mia è stata una formazione particolare che mi ha dato accesso alla vera cultura e mi ha accompagnato per sempre». Sarà anche per questo che nel 1975, all’età di 31 anni, Del Ponte, dopo tre anni di assistente di chirurgia all’ospedale di Locarno, parte per la prima «missione» all’estero. La destinazione è l’ospedale di Lamberene in Gabon fondato dal premio Nobel per la pace, Albert Schweitzer.
La prima di una serie. Perché da lì in poi il giovane chirurgo non si è più fermato. Perché poi seguiranno altre missioni per la Croce Rossa, per il Corpo Svizzero di Aiuto in caso di Catastrofe, per l’OMS e per l’Alto Commissariato per i Rifugiati. Nel 1994 si trasferisce a New York dove lavora presso la Divisione operazioni per il mantenimento della pace dell’Onu quando il sottosegretario generale è Kofi Annan. Due anni dopo, torna a Berna al Dipartimento degli Affari Esteri nella Divisione della Cooperazione allo Sviluppo e la sua battaglia è sulle mine antiuomo. Dal 2009 si dedica alle ultime sfide come quella di rivisitare la sua storia di chirurgo e di inviato dell’Aiuto umanitario.
«Bisogna agire oggi»
Le mani grandi e quasi sempre in movimento. Anche oggi che ha 80 anni. Flavio Del Ponte, che ha operato centinaia di feriti e visto decine di guerre, non smette di muovere le dita, di usare quelli che sono stati i suoi strumenti di lavoro. Una volta gli hanno anche sparato e più volte se l’è vista brutta. Ma è sempre andato avanti, non ha mai mollato. Neppure oggi. Che ha appeso il bisturi da 15 anni. Ma, a suo modo, è ancora al fronte. Questa volta per denunciare, per ribellarsi di fronte all’affossamento del diritto umanitario, soprattutto svizzero. Che proprio di questi tempi, nonostante le molte guerre lontane e vicine, dall’Ucraina al conflitto israelo-palestestinese, sta subendo duri colpi a livello politico per il venire meno di un impegno che un tempo era invece quasi assodato. «Dopo la Seconda guerra mondiale i movimenti per la pace si sono come affievoliti e oggi non si sentono quasi più - prosegue -. Invece è proprio oggi che bisogna agire, siamo in un momento decisivo, non possiamo più aspettare, non si può rimanere con le mani in mano».
La fama della Svizzera
Ridare valore, ma soprattutto risorse e importanza all’aiuto umanitario, salvaguardandolo «da chi vorrebbe strumentalmente utilizzarlo continuando lo stesso a fare la guerra». È questo l’appello del chirurgo di guerra. Che questa volta ha deciso di usare le sue grandi mani per scrivere un libro e gridare al mondo l’urgenza di agire. Non a caso, il volume edito da Dadò esce quasi in contemporanea con l’edizione tedesca stampata in Germania. «Se la tendenza a togliere soldi all’aiuto umanitario e alla cooperazione continuerà - continua - sarebbe gravissimo perché si darebbe un colpo mortale alla fama della Svizzera come Paese di accoglienza e da sempre impegnato in prima linea per il bene dell’umanità. È il momento di decidere da che parte stare. Vogliamo fare parte dei vincitori del mondo o vogliamo continuare la nostra tradizione umanitaria?».
L’importanza dei valori
Del Ponte sa già qual è la risposta e si augura di non essere da solo. Ma anzi di riuscire, anche attraverso il libro, a risvegliare le coscienze. «La Svizzera ha da sempre un ruolo molto importante nel mondo perché con la sua neutralità è riuscita a tenere a bada certi sviluppi nefasti per la pace nel mondo. Questo ruolo però oggi sta scemando pericolosamente. Eppure, chi meglio del nostro Paese può riportare e dare importanza ai valori etici e morali dei diritti umani che tutelano la persona e la sua dignità in tempo di pace e in tempo di guerra? Valori e diritti che oggi purtroppo di fronte a certi conflitti e certi comportamenti portati avanti dalle superpotenze sono diventati purtroppo carta straccia e ciò è davvero inaccettabile». Inaccettabile soprattutto per un Paese che da sempre si è fatto portatore e difensore di questi principi. Ma che oggi sembra guardare da un’altra parte. O è solo semplicemente disorientato.
Anche se, Del Ponte non cede di un millimetro, non è questo il momento di tentennare. Tanto più che a differenza del passato, «un Paese che oggi attraversa una guerra, e oggi i focolai sono 140, non torna più alla normalità, perché deve affrontare un periodo di crisi a tempo indeterminato come sta succedendo al continente Africano e ad altre Nazioni profondamente a rischio».