Sanremo

L'avvelenata di Meneguzzi

Il cantante momò torna sulla rassegna musicale italiana: «Per scrivere canzoni orecchiabili si usa l’intelligenza artificiale, oggi il pop lo fanno gli algoritmi»
Olly, vincitore del Festival di Sanremo 2025 con «Balorda nostalgia» ha rinunciato all’Eurosong di Basilea. Al suo posto andrà Lucio Corsi. EPA/FABIO FRUSTACI
Mauro Rossi
23.02.2025 06:00

Nonostante sia passata una settimana dalla sua conclusione il Festival di Sanremo continua far discutere, anche per la decisione del suo vincitore, Olly, di rinunciare alla partecipazione dell’Eurovision Song Contest, lasciando spazio al secondo classificato, Lucio Corsi. Di questo e di altro ne parliamo con il cantante e produttore ticinese Paolo Meneguzzi che ha iniziato a partecipare ai festival all’epoca dei vinili e delle musicassette, vivendo tutti i passaggi del music business fino alla «musica liquida».

Proprio alla luce dei mutamenti avvenuti negli ultimi anni nell’universo pop, hanno ancora un senso le competizioni canore alla Sanremo?
«Hanno senso se riescono a dare una visibilità ai cantanti e alle loro proposte (soprattutto ai più giovani) in modo da permetter loro di uscire dal grande magma di internet e delle piattaforme streaming dove è difficile districarsi tra le migliaia di cose pubblicate ogni giorno. Se però li si spinge a partecipare non con canzoni di qualità bensì con produzioni anonime e standardizzate, come quelle che il più delle volte capita di ascoltare, allora torniamo al punto di partenza. Anzi, in quel caso il risultato è di screditare la musica pop più di quanto non lo sia già allo stato attuale. Ed è quello che purtroppo accade: invece di promuovere la bella musica e la cultura, i festival spesso ignorano le proposte di qualità facendo passare il concetto che, soprattutto tra i giovani, le cose che funzionano sono quelle brutte, dozzinali. Come accaduto nelle ultime edizioni di Sanremo, compresa quella appena conclusasi».

Un’edizione di Sanremo dove, nonostante il successo di pubblico, il livello qualitativo delle canzoni si è appiattito. Come lo spiega?
«Perché non ci sono più vere cifre stilistiche né a livello compositivo né interpretativo. Oggi è tutto un continuo copiarsi alla ricerca non della bella canzone ma di quella che più facilmente e in breve tempo, è in grado di colpire. E questo a causa della mancanza di autori che lavorano su un concetto artistico e non esclusivamente commerciale ma soprattutto per il prepotente ingresso nel pop dell’intelligenza artificiale con la quale tutti bene o male si stanno interfacciando per scrivere. E questo fa si che tutte le canzoni siano simili, cantabili indifferentemente da qualsiasi interprete, perdendo ogni cifra stilistica. E che tutto finisca per essere regolato in termini di algoritmi».

Si spieghi meglio…
«È abbastanza semplice: se il mercato musicale è inondato di proposte tutte uguali, gli algoritmi che governano le piattaforme e i social media - oggi i quasi totali diffusori della musica pop - reputano che quello sia lo standard preferito dalla gente e lo premiano rendendolo virale. Se qualcuno prova a proporre qualcosa di diverso l’algoritmo pensa che questo non rientra tra ciò che piace alla maggior parte delle persone e dunque lo boccia, lo esclude da ogni playlist a favore di cose più vicine a quello che ritiene essere lo standard. A quel punto ad un artista, se vuole raggiungere una vasta audience, non resta che seguire il trend generale. E qui si crea una sorta di corto circuito. Al quale si potrebbe sfuggire solo grazie ai festival. Ma se chi li dirige e fa le scelte si affida a sua volta agli algoritmi, tutto è inutile. Fortuna che quest’anno a Sanremo qualcosa è sfuggito a questa regola (Corsi, Cristicchi, Brunori e lo stesso vincitore Olly). E guarda caso è stato premiato: segno che se al pubblico si propone qualcosa di valido, lo apprezza. E chissà che quanto avvenuto non contribuisca a modificare anche le scelte degli algoritmi….»

Ma l’intelligenza artificiale è davvero così influente nel pop di oggi?
«Certamente. Anche perché è facile usarla. Basta inserire un testo approssimativo e in cinque secondi ti regalara mille possibili sviluppi di una canzone, cantati da una voce che sembra la più bella del mondo. A quel punto a te non resta che ricopiare il risultato, magari con qualche piccolo ritocco, ricantare il tutto allo stesso modo. Ecco, oggi in massima parte si lavora così. Ma credo che questo sia un periodo di transizione, in cui tutto viene delegato all’AI proprio in quanto si sia abbagliati dall’estrema facilità nell’usarla. Probabilmente, con il tempo, proprio per sfuggire all’eccessiva omologazione dei prodotti che ne escono, si imparerà ad utilizzarla in modo più selettivo e fare in modo che possa essere un vero aiuto. Ma quel momento credo sia ancora lontano...»,

Nella musica sarà l'uomo a prevalere sulla macchina? Mi piacerebbe ma sinceramente non lo so

Dunque ritiene che, alla fine, nella musica sarà l’uomo a prevalere sulla macchina?
«Mi piacerebbe ma sinceramente non lo so. Quello che so è che oggi il pop è completamente “sputtanato”. Soprattutto nell’ultimo quinquennio abbiamo abituato le persone ad ascoltare solo schifezze. Non si sta più puntando sulla qualità bensì sull’immagine dei vari cantanti, su come creare il fenomeno, sul gossip. Il bel canto oggi arriva per ultimo perché è tutto deviato dall’utilizzo dell’autotune. Sapere cantare non è più importante, così come non è importante costruire bene un brano: è sufficiente che abbia quei 10 secondi giusti per farlo diventare virale sui social».

A proposito dell’autotune contro il quale lei si era già scagliato lo scorso anno provocando non poche polemiche. È sempre contrario ad un suo utilizzo? Non ritiene, come sostengono molti, che sia solo uno strumento tecnologico alla stregua dei tanti che da tempo vengono utilizzati per migliorare il suono?
«No. Perché se è vero che da anni, da decenni addirittura, la tecnologia ci ha messo a disposizione delle apparecchiature in grado di allargare lo spettro sonoro di uno strumento, queste presuppongono che tale strumento tu lo sappia suonare. L’autotune no. Ti permette di cantare anche se non lo sai fare. E siccome viene utilizzato principalmente nei “live” ritengo che sia una truffa perché imbroglia lo spettatore eliminando ogni criterio di selezione tra gli interpreti in termini qualitativi . Alla fine infatti non emerge più il più bravo, ma il più bello, quello che si muove meglio. Ma questo non è musica. E la gente non sa più effettuare una scelta secondo criteri oggetti. Ed è un peccato perché ci sono tanti cantanti bravi, con delle qualità. Però, paradossalmente anche loro oggi sono obbligati ad usare l’autotune. Perché sennò vengono criticati perché non cantano perfettamente come quelli che pur stonati come una campana lo usano. Insomma anche qui una situazione paradossale. Che però contrariamente all’utilizzo dell’intelligenza artificiale (che nessuno può veramente dire fino a che punto è utilizzata poiché nessuno è nella stanzetta dei compositori mentre “creano”) possiamo controllare e limitare almeno nelle esibizioni “live” in modo da non ritrovarci in una situazione come quella attuale, in cui il vincitore di Sanremo ha rifiutato la partecipazione all’Eurosong perché ha una canzone molto difficile, con sbalzi melodici incredibili che in quel contesto, non potendo usare l’autotune, non saprebbe come interpretare. È un paradosso italiano. Al momento solo italiano ma un bel paradosso».

Ma come se ne esce?
«Bisognerebbe rimettere la qualità al centro di tutto. Fare in modo che chi è a capo di certe strutture non ragioni in termini esclusivamente speculativi e commerciali, ma rimettesse al centro la qualità delle proposte musicali inserend, almeno in contesti ufficiali come il Festival di Sanremo, regole ben precise in modo che soprattutto i giovani possano capiscano cosa è bello e cosa non lo è, cosa è finto e cosa è vero. Poi potranno sembre scegliere, ci mancherebbe, ma dobbiamo dar loro la possibilità di capire e di valutare. Cosa che oggi non viene loro data».

A suo avviso è necessario puntare maggiormente sull’educazione musicale…
«Vero ma finché nelle scuole continuano a far suonare i flauti come cent’anni fa non se ne esce. E finché dall’alto non arrivano esempi seri (tipo artisti affermati che non si piegano a determinate logiche e che non si vendono al sistema) è difficile che si esca dalla situazione attuale. Ed è un peccato perché ci sono tanti giovani bravi che dovrebbero essere aiutati ad esprimersi liberamente senza quei condizionamenti cui sono sottoposti oggi. Ma finché uno come Jovanotti va in tv a dire che Tony Effe e Mozart sono colleghi, è dura…»

In questo articolo: