L'analisi

Le crisi aperte in vista del 2025

Questo è l’anno che ha cambiato il Medio Oriente e non detto che la storia sia finita – Anzi, promette altre sorprese su un sentiero che si è intrecciato spesso con altre crisi, dalla Nord Corea all’Ucraina
© Abdel Kareem Hana
Guido Olimpio
22.12.2024 06:00

Questo è l’anno che ha cambiato il Medio Oriente e non detto che la storia sia finita. Anzi, promette altre sorprese su un sentiero che si è intrecciato spesso con altre crisi, dalla Nord Corea all’Ucraina.

Il bilancio del 2024 parte dalla prima scossa, quella determinata dall’assalto di Hamas contro Israele. Il terremoto che nelle intenzioni del movimento palestinese doveva portare all’accerchiamento del nemico si è tramutato fino ad oggi in un rovescio. A ripetizione. L’errore di calcolo di Yahya Sinwar ha trascinato «dentro» l’Iran, l’Hezbollah, le milizie sciite, gli Houthi dello Yemen e il cauto, perché debole, Bashar Assad. Dopo 12 mesi il cerchio di fuoco preparato da Teheran ha perso i suoi «anelli», spezzati da operazioni militari massicce, omicidi mirati, eliminazione di capi, colpi di intelligence ed uso di tecniche inedite, come i cercapersone esplosivi.

L’onda ha finito per travolgere il regime di Damasco, senza che i suoi paladini storici - Mosca e gli ayatollah - potessero fare qualcosa. Probabilmente un esito non desiderato da Tel Aviv che preferiva un Assad fiaccato ma in controllo piuttosto che avere ai confini un governo di ispirazione jihadista e oggi convertito al pragmatismo «moderato». Nessuno conosce quale sarà il futuro per la nuova Siria. Davvero c’è di tutto. E sorge un Crescente turco mentre declina quello sciita. Il varco in questo schieramento può portare a due successivi sviluppi. Un’azione più dura contro gli Houthi che minacciano costantemente il Mar Rosso: nelle scorse ore c’è stata un’incursione pesante di Tel Aviv per distruggere infrastrutture usati dalla milizia. La seconda, più preoccupante, ipotizza uno strike profondo di Tel Aviv al fine di neutralizzare il programma nucleare degli ayatollah. Ci sono le condizioni, l’IDF ha creato un corridoio e in questi mesi ha provato sia le armi che le tattiche.

Il secondo attore che si è conquistato la scena è un altro dittatore: Kim Jong un. A sorpresa si è mosso in aiuto della Russia offrendo armi e undicimila soldati per la guerra in Ucraina, subito usati come carne da cannone. Una mossa per ottenere in cambio aiuti, cibo, tecnologia, riconoscimento internazionale nell’alleanza dei regimi. Il Maresciallo ha alzato i toni, intensificato lo sviluppo di sistemi bellici importanti ed assistito contento alla grave crisi istituzionale nella Sud Corea. Ne sentiremo parlare ancora. Anche perché confina, per così dire, con il duello intrapreso dalla Cina con i suoi vicini, a iniziare da Taiwan, obiettivo prioritario di Pechino come testimoniano le attività militari quotidiane.

Le ondate umane di militari nord coreani contro le trincee ucraine ci ricordano l’asprezza del conflitto con Kiev costretta a ripiegare nel Donbass, a corto di uomini e preoccupata per cosa farà Donald Trump una volta alla Casa Bianca. Il presidente Zelensky ha ammesso che è impossibile riconquistare la Crimea mentre Putin è convinto di potere arrivare alla vittoria. Intanto la battaglia è feroce, le tattiche ricordano la prima guerra mondiale però con la variante dei droni-kamikaze. Questo sistema è diventato universale, impiegato ad ogni latitudine, con effetti notevoli.

Gli ucraini lo hanno usato per ostacolare i tank, gli insorti siriani per fiaccare le unità lealiste senza scudo, i militanti sciiti per bersagliare Israele da ogni lato, i narcos messicani nelle loro faide. E potremmo andare avanti con un elenco infinito dove appaiono i piccoli velivoli, dal Sudan alla lontana insurrezione birmana. Per chiudere con gli avvistamenti di oggetti volanti in tante città americane tra sospetti, polemiche, interrogativi.

Dal cielo al mare, con la fragilità dei cavi sottomarini, delle pipeline che portano gas o greggio. Infrastrutture esposte ai sabotaggi sofisticati ma anche ad azioni «semplici» effettuate usando un’ancora ed un mercantile. Un dossier che allarma l’Occidente perché sono troppi i punti da proteggere, dal Baltico al Mediterraneo.

E arriviamo all’ultima nota: lo spionaggio. È lotta totale per catturare informazioni, creare confusione, destabilizzare, sabotare impianti, in qualche caso eliminare gli avversari ovunque si trovino. In un palazzo di Teheran, in una capitale europea, in una città canadese, nel cuore di Mosca (come l’uccisione del generale Kirilov), attorno ad una base della Nato. Una campagna senza limiti dove - ricordatelo sempre - vale tutto e il contrario di tutto.

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