Le donne e l’Iran di Azar Nafisi
Azar Nafisi è stata insignita quest’anno a Pordenonelegge, manifestazione letteraria, del Premio Crédit Agricole, per il suo impegno a favore delle libertà delle idee. In questa occasione ha presentato il saggio «Leggere pericolosamente». Proprio pochi giorni fa in Iran una studentessa, Ahou Daryaei, ha protestato contro l’ordine della «polizia morale» di mettere il velo denudandosi. Arrestata, è finita in manicomio.
Professoressa Nafisi, sono passati vent’anni da «Leggere Lolita» a Teheran, il libro che ha fatto conoscere al mondo la condizione delle donne nella società iraniana. Com’è cambiata la situazione, e in particolare quella delle donne, da allora?
«La donne iraniane sono state le prime a opporsi alla Repubblica islamica. Quando l’Ayatollah Khomeini emanò la prima fatwa per il velo obbligatorio, migliaia di donne scesero in strada cantando: la libertà non è una questione di oriente o occidente, è un fatto globale. E da allora le donne hanno continuato a lottare con i risultati che purtroppo tutto il mondo conosce. Ricordo quando io e alcune mie colleghe ci rifiutammo di indossare il velo obbligatorio e io fui cacciata dall’università. E sottolineo obbligatorio, perché dobbiamo avere la libertà di scegliere se portarlo o no. Ricordo il sacrificio di Mahsa Amini, nel 2022 e il movimento che ne derivò, portando nelle piazze, sotto lo slogan Donna, Vita, Libertà il grido delle donne iraniane che si strappavano il velo, bruciandolo e mostrando a tutti il loro potere. Il movimento delle donne in Iran è più forte che mai e non c’è nulla che si possa fare per contrastarlo, perché non è un movimento politico, ma esistenziale».
Nel suo libro appena pubblicato, Leggere pericolosamente, lei riprende il tema del potere sovversivo della letteratura, citando esempi, fra gli altri, di scrittori come Salman Rushdie, Ray Bradbury, Toni Morrison, Margaret Atwood. La letteratura davvero ha questo potere? E nella pratica, come si può tradurre questo in azione?
«Qualunque sistema totalitario, appena arriva al potere, si scaglia contro le donne, le minoranze, la letteratura e le arti, l’immaginazione e le idee. Il regime teocratico iraniano ha confiscato la nostra storia, ha rubato la nostra identità. La letteratura è pericolosa perché è pluralistica, polifonica, si fonda sulla verità, mentre la voce della dittatura è una sola, si fonda sulla menzogna. In letteratura anche il cattivo può avere la parola: è il più democratico spazio nel mondo e uno dei più pericolosi, perché nel momento in cui vieni a conoscere la verità non puoi rimanere in silenzio, devi alzarti e parlare se non vuoi essere complice dei crimini commessi».
Al festival del film di Locarno, l’anno scorso, un iraniano ha vinto il Pardo d’oro. E in molti altri festival nel mondo, film iraniani proibiti in patria sono oggetto di premi e di standing ovation. Quanto è importante il sostegno internazionale?
«Le racconto un aneddoto. In passato, ogni volta che lasciavo l’Iran, mia madre mi accompagnava alla partenza e mi diceva: diglielo, diglielo! E intendeva che raccontassi quello che accade nel nostro Paese, E la stessa cosa mi chiedevano i miei conoscenti, e se gli altri sapessero di noi, perché il nostro regime nella Repubblica islamica cerca di isolarci, e di raccontarci che il mondo ci ha dimenticato. Quindi tocca a noi, che possiamo parlare liberamente, offrire pieno supporto a chi parlare non può. Dobbiamo diventare le loro voci. E non solo dell’Iran, anche di Ucraina, Afghanistan, Turchia, Sudan, Siria e di tutti quei posti che possiamo aiutare a diventare liberi usando la nostra libertà. Non ho nessuna fiducia nei nostri politici, mentre sta a voi, alla stampa, rappresentare le voci del popolo. È la gente ordinaria che dovreste sostenere, non i governi, la gente comune».
A questo proposito, lei che insegna nelle università americane, e ha partecipato da giovane ai movimenti libertari nell’America degli anni Settanta, come giudica il sostegno degli studenti alla causa palestinese?
«La Palestina è nel mio cuore e a vedere quello che succede mi si spezza giorno dopo giorno. Io penso che sia il popolo palestinese che quello israeliano stanno vivendo sotto leader corrotti. Penso che sia Netanyahu che Hamas abbiano tutto l’interesse a continuare questa guerra, tanto a loro non importa nulla se migliaia di persone muoiono. Netanyahu vuole continuare per non perdere il potere, essere processato e andare in galera; Hamas ha cominciato questa guerra stuprando donne, uccidendo bambini, pur sapendo che Israele avrebbe risposto. Entrambi hanno abbandonato i loro popoli. Entrambi rappresentano un veleno tossico per loro».
In Israele il popolo contesta Netanyahu.
«Centinaia di migliaia di israeliani si riversano nelle piazze per chiedere la fine di questa guerra. E noi dobbiamo sostenerli e supportarli, perché il governo israeliano non coincide con la popolazione israeliana, e così come i terroristi non sono la maggioranza della popolazione palestinese. Io sono per la soluzione dei due Stati, sono per il diritto del popolo palestinese a vivere in dignità e integrità. Sono stata in contatto con gruppi dove persone dell’una e l’altra nazionalità collaborano, uno di questi si chiama Parent’s Circle e si tratta di genitori che piangono la morte dei loro cari. Questi gruppi funzionano, se ci riescono loro, lo possiamo fare anche noi».
Lei, che vive ormai da molti anni negli Stati Uniti, come giudica la situazione attuale della società americana?
«Ho vissuto in una società totalitaria e riconosco le avvisaglie di una crisi. Le nostre democrazie sono fragili, e noi tendiamo a dimenticare quante guerre sono state combattute per affermarle e difenderle. In America la reazione di fronte a queste problematiche spesso è di rifiuto, rimozione. Il fatto è che la nostra società è diventata troppo comoda, e quando le democrazie sono troppo comode, qualcosa di orribile può capitare. Il nemico davvero pericoloso è la nostra «sleeping consciousness», la nostra atrofia del sentire. Mi piace ricordare e mi identifico con il pensiero di Primo Levi. Levi dice che i mostri esistono e sono grandi, ma sono pochi. Non dobbiamo averne troppa paura. Quello di cui dobbiamo avere paura è l’atteggiamento di inerzia della gente comune, dei tanti che agiscono seguendo i dettami dei mostri senza porsi delle domande»