Le notti di Lugano sono diventate monoteiste
Un grave fatto di cronaca induce inevitabilmente a riflettere sulla sicurezza in città. Normale che sia cosi: tutt’al più è peccato avere la sensazione che sarà del tutto inutile. Una lite, una rissa dall’esito imprevedibile e purtroppo gravido di conseguenze non possono bastare del resto a creare un elemento di oggettiva criticità in merito a una problematica così delicata: meglio, per la tranquillità di tutti, derubricare perciò quanto accaduto all’alba di domenica in pieno centro a livello di estemporanea fatalità.
Anche se… Anche se le caratteristiche della zona sono note, anche se il protagonista del fatto non è propriamente uno stinco di santo: anche se, soprattutto, da anni si va dicendo che certe notti nel perimetro tra la pensilina e il quartiere Maghetti sarebbe meglio evitare di passeggiare. O quantomeno farlo, come si direbbe in qualsiasi città, con gli occhi bene aperti.
Provando ad analizzare la situazione senza voler creare eccessivi allarmismi ma neppure senza fingere di vivere nel paese dei balocchi sarebbe auspicabile sapere di poter contare appunto sulla consapevolezza comune: quella dei cittadini, ovviamente, ma anche quella delle autorità, dalle quali sarebbe giusto attendersi concrete misure di prevenzione invece della stucchevole ostentazione della fredda realtà espressa dalle immancabili graduatorie nazionali, il bene rifugio di chi vuole dimostrare che certe cose possono succedere solo altrove. E non, come invece accade ed è già accaduto, anche proprio sotto il nostro naso.
Mi rendo perfettamente conto, tuttavia, che il compito di chi deve garantire la nostra tranquillità è sempre più improbo. Perché alla delinquenza classica - certamente la più pericolosa, quella cioè di cui le statistiche ufficiali possono ancora attestare lo scarso impatto nella nostra regione - si è andata sovrapponendo una crescente, palpabile forma di disagio, di insofferenza e di instabilità individuale e di gruppo che si traducono spesso in situazioni di banali provocazioni e di piccole, gratuite molestie evidentemente tutt’altro che piacevoli per chiunque ci si ritrovi confrontato. Risolvere il problema non sarà facile, sottovalutarlo nascondendosi dietro la sua casualità sarebbe estremamente grave.
Abbiamo tutti, però, una parte di responsabilità. Chiunque abbia… generosamente superato i sessanta non può non ricordare una città diversa, capace di vivere al ritmo di una vera vita notturna aperta a tutte le categorie di età, attrattiva persino per chi proveniva dalla grande Milano, movimentata com’era giusto che fosse e non priva di eccessi e di trasgressioni, al punto che verrebbe voglia di dire ai novelli nottambuli che abusi di alcol e cocaina, purtroppo, non sono scoperte della loro epoca. C’era tutto, anzi, di più. Però c’erano anche un sacco di pizzerie aperte - veramente aperte, strano, no? - sino all’una di mattina, locali di identità storica dove le classi di età si mescolavano senza particolari problemi e anche le pattuglie della polizia ad attendere su via Pioda o via Trevano per raccomandare a giovani veri o presunti tali di non fare troppo rumore. Magari prima di andare a fare mattina a Campione.
Sembra un altro mondo? No, era semplicemente la Lugano degli anni ’80, prima di ciò che abbiamo permesso succedesse in seguito: l’incomprensibile desertificazione delle serate e il conseguente abbandono della scena, fatte salve alcune puntuali eccezioni, a una sorta di cultura monoteista del divertimento. In quelle notti che rimpiango c’erano forse più ombre che in quelle di oggi, con addirittura un omicidio rimasto irrisolto, baruffe e regolamenti di conti. Ma non la ruvidezza e l’inospitalità cui ci stiamo purtroppo abituando, che hanno spinto sempre più persone a uscire dal giro senza che vi fosse un vero avvicendamento generazionale.
E la città, oggi, ne soffre. Passatismo? Forse. O magari solo il piacere di ripensare a un tempo bello che non tornerà. E allora va bene cosi.