L'analisi

Le opzioni militari di Trump in Messico

Il primo volo è stato notato ad Oriente al confine Texas-Messico, il secondo dalla parte opposta, tra la penisola della Baja California e la costa messicana – Poi altri ancora tra gennaio e febbraio
©JOEBETH TERRIQUEZ
Guido Olimpio
16.02.2025 06:00

 Il primo volo è stato notato ad Oriente al confine Texas-Messico, il secondo dalla parte opposta, tra la penisola della Baja California e la costa messicana. Poi altri ancora tra gennaio e febbraio. Missioni ripetute da parte di numerosi ricognitori americani, compresi i sofisticati RC 135 e i famosi U 2, di solito usati per monitorare russi, nordcoreani e nemici mediorientali.

I loro tracciati, pur trattandosi di mezzi militari, erano ben visibili sul web. Probabile che il Pentagono abbia intenzionalmente «mostrato la bandiera», per telegrafare un messaggio all’interno e all’esterno del paese. Attività già viste in passato solo che ora è cambiato l’intero scenario regionale e c’è chi non esclude sorprese vista la posizione di Donald Trump contro il vicino. Oltre alla questione dei dazi c’è la lotta ai narcos, con alcuni cartelli designati da Washington come organizzazioni terroristiche. Una classificazione, unita ad una propaganda veemente dei repubblicani, che può portare a passi muscolosi.

In diverse occasioni il nuovo segretario alla Difesa, Peter Hegseth, ha affermato senza problemi che «ogni opzione è sul tavolo», comprese eventuali incursioni statunitensi oltre il Muro. Sollecitato a fornire dettagli ha preferito restare nel vago, per non dare riferimenti precisi e lasciare al presidente la scelta definitiva. Come è noto The Donald ama il protagonismo e il tema contrasto all’immigrazione/traffici è una delle sue cartoline elettorali. Facile pensare ad un suo ordine perentorio, firmato con uno dei pennarelli giganti che ha esibito quasi ogni giorno da quando è entrato alla Casa Bianca.

In mancanza di dati - con The Donald l’incertezza è tattica - sono gli esperti ad elaborare le ipotesi. La prima prevede un’attività combinata di forze speciali e Dea, un profilo adottato in altri quadranti geografici, come l’Afghanistan. I soldati, in particolare i membri del 7th Special Forces addestrati ad agire in America Latina, devono rappresentare il braccio mentre i funzionari antidroga garantiscono il lato investigativo-giudiziario. Un ampliamento di quanto svolto in questi anni in supporto dei messicani.

La seconda «soluzione» si affida ai droni d’attacco che inseguono e colpiscono i padrini. Ecco che le ricognizioni aeree di questi giorni potrebbero servire anche a costituire un banco bersagli, ascoltando comunicazioni, registrando movimenti. In sostanza il Pentagono ripeterebbe quanto viene fatto nei confronti dei qaedisti o dei seguaci dello Stato Islamico in Siria, Somalia, ovunque sia ritenuto necessario.

Gli osservatori spiegano che a disposizione di Trump ci sono diversi strumenti legali che gli darebbe la possibilità di autorizzare interventi pesanti ma anche missioni «coperte» tirando dentro la Cia e i suoi paramilitari. Oppure anche contractors, protagonisti come gli uomini in divisa della guerra al terrore.

I progetti trumpiani, però, devono vedersela con il Messico, giustamente fiero nella difesa della propria sovranità. La presidentessa Claudia Shinbaum ha mandato al confine nord diecimila soldati per aumentare i controlli ed ha ribadito che ogni paese conduce la caccia ai gangster nel rispettivo territorio. Il concetto è chiaro, anche se non sarebbe poi strano se chiudesse un occhio su qualche raid non pubblicizzato.

Tra gli analisti c’è chi mette in guardia sui rischi. Un agente americano che agisce unilateralmente può venire arrestato dai messicani: ci sono stati episodi dove gli inquirenti statunitensi hanno incontrato problemi, tra ricatti e giochi sottobanco. Oppure cosa accade se un membro di un commando cade prigioniero di una gang? Inoltre, i super trafficanti hanno da sempre cellule in America capaci di far male. Non sono eventi improbabili. Ancora oggi c’è una parte di mistero su chi abbia realmente rapito, torturato e ucciso nel febbraio dell’85 Kiki l’agente Dea Kiki Camarena, sequestrato da poliziotti corrotti agli ordini del cartello di Guadalajara. Vicenda seguita poi da rapimenti di presunti colpevoli e sospetti di infiltrazione dell’intelligence.

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