L'intervista

«Le raccolte di firme a pagamento? Ho cambiato idea»

Il politologo Nenad Stojanovic una volta voleva vietarle – Ora è favorevole, ma riconosce che serve una riflessione
Andrea Stern
Andrea Stern
08.09.2024 06:00

Una decina d’anni fa, a Bellinzona, Nenad Stojanović fu avvicinato da un ragazzo con accento meridionale che gli chiese di firmare una iniziativa per l’educazione civica nelle scuole. «Facendo il finto ingenuo gli posi un paio di domande - ricorda il politologo ed ex deputato PS -. Capii che non aveva la minima idea di cosa si trattasse e che guadagnava 2 franchi a firma. Mi dissi che non andava bene, che queste cose avrebbero dovuto essere vietate! Ma oggi ho cambiato idea e credo che sarebbe problematico vietare la prassi di raccogliere firme a pagamento».

Signor Stojanović, come mai ha cambiato idea?
«In un mondo ideale di democrazia diretta le firme vengono raccolte da persone impegnate che credono in una causa. Ma nella realtà non funziona così. È difficilissimo avere successo se non si può contare sul sostegno di un partito, un sindacato o un’associazione che ha i mezzi per farcela».

Ne è sicuro?
«Quando a fine dicembre 2016 lanciai il referendum sulla legge di applicazione dell’iniziativa popolare contro l’immigrazione di massa, ci furono tante persone che si fecero avanti per aiutarmi. Anche il PPD ticinese contribuì a raccogliere firme.Ma tutti insieme arrivammo appena a circa 8.000 firme sulle 50.000 richieste».

Poteva comprare le firme mancanti.
«Fui effettivamente avvicinato dalla società Incop, che è ora al centro dello scandalo delle presunte firme false. Ma già il loro approccio mi fece sospettare che ci fosse qualcosa che puzzava. Declinai l’offerta, dicendo che pagare per raccogliere firme era contro i miei principi».

È l’insuccesso di quel referendum ad averle fatto cambiare idea?
«Quel referendum non riuscì ma permise di legittimare implicitamente la legge votata dal parlamento, e quindi di far tacere l’UDC e la Lega che gridavano allo scandalo. Comunque sì, mi resi conto che senza l’acquisto di firme ci sarebbero molti meno referendum e iniziative che arriverebbero alle urne e questo sarebbe una perdita per la nostra democrazia diretta».

Oggi si vota anche troppo. Ci sono 17 iniziative allo stadio della raccolta firme e parecchie altre già validate e pronte per essere messe alle urne.
«È un argomento che viene avanzato da chi non crede nell’intelligenza del popolo.Sono ambienti elitisti che non vedono di buon occhio che le cittadine e i cittadini siano consultati spesso e vorrebbero rendere più difficile l’esercizio della democrazia diretta».

Quando si vota il cittadino non si lascia influenzare dal titolo

A volte si vota su proposte irrealizzabili, nascoste dietro titoli ingannevoli.
«Sì, ma i titoli possono essere fuorvianti solo a livello di raccolta firme. Quando si vota il cittadino non si lascia influenzare dal titolo».

Quindi lasciamo tutto così?
«Non dobbiamo buttare via il bambino con l’acqua sporca. Invece di introdurre un divieto, che oltretutto sarebbe difficilmente applicabile, dovremmo piuttosto porre fine all’anarchia che regna nel settore».

Come vorrebbe porre fine all’anarchia?
«Queste società dovrebbero registrare i loro lavoratori, con dei contratti, un salario orario e i contributi sociali. Poi bisogna inasprire le regole a tutela della protezione dei dati personali, ciò che permetterebbe nel contempo di limitare il rischio di frodi».

Lei proponeva un’app.
«Ci possono essere idee migliori. Ad ogni modo nell’era digitale immagino che non sia difficile trovare un sistema che permetta ad ogni cittadino con diritto di voto di identificarsi».

Era tutto più semplice quando si andava a votare al seggio e i raccoglitori si piazzavano davanti ai municipi. Ma poi sono arrivati quelli che, come lei, hanno voluto il voto per corrispondenza.
«È vero, ma non si può avere il panino e il soldino! Poter votare comodamente, per posta, è per me un progresso per la democrazia. Averlo introdotto in Ticino, nel 2011, è stato forse uno dei miei maggiori successi da granconsigliere. Anche nel mio partito c’era chi non voleva cambiare, chi temeva che il PPD ne avrebbe approfittato. Invece alle prime elezioni con il voto postale il PPD perse quattro punti e in breve tempo tutti si convinsero della bontà del sistema».

Quando mi sono ritirato stava per nascere il secondo figlio e ho detto che prendevo un congedo paternità dalla politica. Poi è arrivato il terzo, che ora ha 7 anni

Lei ha lasciato il Gran Consiglio nel 2013. Tornerà mai a fare politica attiva?
«Mai dire mai. Al momento non è nei miei piani di vita. Ma non lo escludo, una volta che i bambini saranno cresciuti. Quando mi sono ritirato stava per nascere il secondo figlio e ho detto che prendevo un congedo paternità dalla politica. Poi è arrivato il terzo, che ora ha 7 anni».

Tornerebbe in politica a Berna, dove vive oggi?
«No, tornerei sicuramente in Ticino, dove ho una casa e dove soggiorno regolarmente».

Quindi segue ancora la politica cantonale?
«Sì, ma molto di più quella nazionale. Nel PS svizzero sono membro della Commissione di controllo. Siamo in tre, riceviamo i verbali della presidenza, verifichiamo se vengono rispettati gli statuti e siamo anche l’autorità di ricorso».

Secondo lei il PS si sta muovendo bene?
«A livello svizzero sicuramente sì. Il PS è molto più stabile rispetto ad altre forze socialdemocratiche, come la SPD tedesca o i socialisti francesi. Il PS mantiene il suo elettorato e soprattutto rimane il principale partito di sinistra, coprendo un’ampia area. Alla sua sinistra ci sono dei partitini, ma restano marginali».

E in Ticino?
«È vero che in Ticino il PS è un po’ più in affanno, da diversi anni».

Oggettivamente Marina Carobbio era la candidata più forte. Quattro anni prima, nel 2019, era riuscita a fare ciò che nessun socialista è mai riuscito a fare nella storia, entrando al Consiglio degli Stati

Certe scelte, come la candidatura blindata di Marina Carobbio per ilConsiglio di Stato, magari non contribuiscono a rafforzare i ranghi.
«Oggettivamente Marina Carobbio era la candidata più forte. Quattro anni prima, nel 2019, era riuscita a fare ciò che nessun socialista è mai riuscito a fare nella storia, entrando al Consiglio degli Stati. È una persona con un forte sostegno popolare».

È peccato aver perso Amalia Mirante?
«Con Amalia Mirante c’è stato un confronto aperto dove lei e chi la sosteneva ha potuto esprimere le proprie opinioni. Alla fine la base del partito ha deciso democraticamente. Ed è giusto così. Quello che disturbava di Amalia Mirante è che si comportava come se avesse l’abbonamento generale per essere sempre candidata al Consiglio di Stato. Lo è stata due volte consecutive, voleva una terza. Tanti altri socialisti non hanno avuto questa opportunità».

Ci sono anche tanti giovani promettenti che lasciano presto la politica.
«Purtroppo in politica, in tutti i partiti, ci sono dei carrieristi, che pur di conquistarsi spazio e poltrone non esitano a fare sgambetti ai compagni.Il risultato è che molti idealisti restano schifati e se ne vanno. È un peccato».

In Ticino il PS è spesso attaccato da sinistra.
«Fa parte del gioco. I partiti della sinistra radicale accusano il PS di essere troppo socialdemocratico e di fare compromessi con la destra. Il che è normale quando si hanno responsabilità governative, perché la collegialità non è solo una prassi, è un obbligo costituzionale».

L’MPS ha gioco facile.
«Essere un partito dove praticamente sono soprattutto due persone a decidere lo rende più agile. Ma poco democratico. Sul loro sito non c’è alcuna trasparenza sulle strutture interne. Hanno un congresso dove la base, con sensibilità diverse, decide democraticamente il programma o le candidature?».

E i comunisti?
«Il PC mi sembra un po’ troppo un partito di apparatchik, meno attivo sulla scena cantonale rispetto all’MPS e con posizioni spesso inaccettabili sul piano internazionale, per esempio quando difende l’operato di alcuni regimi autoritari».

In questo articolo: