Il caso

L'enigma di Unabomber

Cosa c'è dietro a due esplosioni a Ginevra: la pista che porta a Patek Philippe
Matteo Galasso
16.03.2025 06:00

È una storia che ricorda , con le dovute proporzioni, quella di Unabomber, con protagonista Theodore Kaczynski, diventato eremita dopo aver insegnato matematica alla Berkeley University e poi bombarolo terrorizzando l’America degli anni Settanta, Ottanta e Novanta. Un personaggio replicato negli anni più volte da gente abituata a maneggiare gli ordigni in Europa e Usa. Stavolta il racconto parte da due esplosioni, fra agosto e novembre 2024, due esplosioni che hanno scosso Ginevra: la prima ha ferito un ingegnere meccanico di Patek Philippe, la seconda ha colpito la figlia dodicenne di un maestro orologiaio della stessa azienda. Entrambi gli ordigni sono esplosi in contesti apparentemente ordinari: un sacco per i rifiuti a Saint-Jean, un pacco in una cassetta postale a Grange-Canal. Il Ministero pubblico della Confederazione (MPC) si è assunto la direzione dell’inchiesta, fin da subito ipotizzando un disegno criminale ai danni del personale della celebre manifattura orologiera.

L’allerta è scattata nell’agosto 2024 nel quartiere ginevrino di Saint-Jean, nei pressi della stazione di Cornavin. Un ingegnere meccanico, impiegato presso la rinomata maison orologiera, ha riportato gravi lesioni agli arti inferiori a seguito della detonazione di un ordigno nascosto all’interno di un contenitore per rifiuti urbani depositato nei pressi della sua abitazione. Il sacco - da cui trasudava un fluido non riconoscibile - è esploso non appena l’uomo ha tentato di sollevarlo.

A distanza di pochi mesi, a fine novembre, un secondo ordigno è deflagrato nell’atrio di un edificio residenziale a Grange-Canal, un quartiere esclusivo nella zona meridionale della città. L’esplosione si è verificata all’interno di una cassetta postale, ferendo gravemente una dodicenne che si accingeva a ritirare la corrispondenza. La giovane è stata poi sottoposta a un delicato intervento chirurgico d’urgenza. La coincidenza non è sfuggita agli inquirenti: la bambina è figlia di un maestro orologiaio specializzato in micromeccanica impiegato sempre presso Patek Philippe.

I protocolli di sicurezza

La duplice esplosione ha alzato il livello di guardia ai vertici del colosso orologiero ginevrino, che da allora ha intensificato i suoi protocolli di sicurezza. Il Consiglio di amministrazione, secondo il Tages-Anzeiger, si è poi dichiarato «sotto shock», raccomandando «massima prudenza» ai dipendenti, chiedendo cautela e riservatezza riguardo alle attività aziendali.

Parallelamente, nuove rivelazioni hanno progressivamente orientato le indagini verso l’ipotesi di un’azione estorsiva su vasta scala. Il quotidiano 20 Minutes ha riferito dell’esistenza di richieste di denaro indirizzate alla manifattura ginevrina per cifre milionarie. Sebbene le autorità abbiano inizialmente evitato conferme ufficiali, il sospetto di una strategia intimidatoria ai danni della maison ha preso sempre più corpo.

I primi indizi nel dicembre scorso

Le operazioni investigative si sono dispiegate su più fronti, coinvolgendo la Polizia cantonale ginevrina, l’Ufficio federale di polizia (Fedpol) e l’Istituto forense di Zurigo (FOR), sotto la supervisione del MPC. Gli inquirenti hanno scandagliato diversi quartieri della città, rispondendo a numerosi falsi allarmi bomba. A gennaio 2025, un ulteriore pacco sospetto è stato segnalato in rue de la Corraterie, nei pressi di una società fiduciaria collegata sempre a Patek Philippe, confermando che la minaccia non poteva essere sottovalutata. La perizia sugli ordigni ha escluso l’ipotesi di artefatti rudimentali e quindi l’azione di semplici dilettanti.

Le prime svolte investigative sono arrivate a dicembre 2024, quando due individui sono stati fermati e sottoposti a interrogatorio con l’accusa di tentata estorsione, impiego di esplosivi e tentato omicidio, ma nel giro di poche settimane entrambi i sospettati sono stati completamente scagionati, costringendo gli inqui renti a ripartire da zero.

Il sospettato e il riscatto

Il 12 marzo 2025, una nuova svolta: in un comunicato ufficiale il Ministero pubblico della Confederazione ha annunciato l’arresto di un cittadino svizzero di 61 anni, residente a Ginevra e identificato come un fotografo di guerra con esperienza in zone di conflitto (Siria, Iraq, Ucraina). Secondo gli inquirenti, il sospettato non solo avrebbe fabbricato e piazzato gli ordigni esplosivi, ma sarebbe anche l’autore delle lettere minatorie e delle richieste di riscatto indirizzate a Patek Philippe.

La chiave dell’inchiesta, stando a quanto riportato dal quotidiano Le Temps, sarebbe stata una transazione sospetta in criptovalute. Nel tentativo di convertire una somma ingente in franchi svizzeri, il sospettato avrebbe attirato l’attenzione delle autorità federali, che hanno incrociato i dati finanziari con le tracce forensi sugli esplosivi, conducendo così all’identificazione dell’uomo. Il successivo arresto è stato il risultato di un’operazione di polizia coordinata su scala internazionale, con il coinvolgimento di Europol e di unità investigative specializzate.

Le indagini ora si concentrano sulla ricostruzione delle motivazioni dietro gli attentati. Al momento, si avanzano due ipotesi principali: una vendetta personale nei confronti della maison orologiera o una strategia estorsiva fondata su informazioni interne all’azienda. L’entità delle conoscenze del sospettato sulle dinamiche industriali di Patek Philippe resta una delle questioni aperte.

Un intero quartiere scosso

Attualmente, il 61enne si trova in stato di fermo il Ministero pubblico ha precisato che «la procedura è ancora in corso». Da parte sua, Patek Philippe ha preferito non rilasciare dichiarazioni ufficiali, limitandosi a ribadire la propria «massima fiducia» nell’operato delle autorità federali. Intanto, a Saint-Jean e Grange-Canal, i quartieri teatro delle esplosioni, si attendono sviluppi giudiziari per capire cosa è successo davvero.

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