L'esercito degli invisibili

«So che esistono altre persone come me. Solo nella mia sezione siamo in due a non avere documenti». Mujo Mujic ha 45 anni e tra 9 mesi uscirà dal carcere di Lugano. Scontata la pena non saprà però cosa fare. Perché ufficialmente non esiste. Mujic non è un caso isolato, anche se certamente particolare, visto che è un detenuto. Si stima che in Svizzera siano oltre 70 mila le persone nella sua situazione. Li chiamano sans papiers. Uomini, donne e bambini senza documenti di riconoscimento. Senza quindi passaporto, carta d’identità, atto di nascita. Uomini, donne e bambini con un volto, un nome, una storia. Eppure senza uno Stato, senza nessuno che possa riconoscerli ufficialmente. Quindi impossibilitati a vivere una vita vera. Che per tutti significa avere un lavoro, una casa, un’assistenza sanitaria, un permesso di soggiorno, un’educazione.
Per tutti ma non per loro. Perché i sans papiers non esistono anche se sono reali. Anche se come tutti dormono e si svegliano tutte le mattine, mangiano, guardano la televisione e il telefono cellulare, si prendono cura dei figli e dei loro membri familiari, pensano alle vacanze, ai regali da fare o anche solo ai vestiti che potrebbero comprare. Non una situazione nuova, quella dei sans papiers, tutt’altro. Eppure sempre presente, sempre attuale. Anche nel 2024. Anche in Svizzera e in Ticino.
Fantasmi che quasi nessuno vede. Schiavi in catena che quasi nessuno riesce a liberare. Quasi. Perché in realtà qualcuno è riuscito a fare qualcosa. Mentre qualcun altro continua a farla. L’azione forse più eclatante è avvenuta qualche anno fa nel Canton Ginevra. Dove le autorità sono riuscite a regolare, e quindi a fare uscire dalla nebbia quasi duemila persone. Un’azione chiamata con un nome: Papyrus. Portata avanti dal Cantone in collaborazione con la Confederazione. Meglio con la Segreteria di Stato della migrazione (SEM). «Quando parliamo di stranieri irregolari bisogna sempre tenere presente che stiamo parlando di un ambito di competenza federale», ricorda Gabriela Giuria, giurista e membro della Fondazione Diritti Umani di Lugano. Ad avere l’ultima parola è quindi Berna. Anche se i Cantoni hanno margini di manovra.
Da Ginevra a Zurigo
A Ginevra ad esempio hanno agito sulla base del quadro normativo di riferimento. Gli stranieri che potevano sperare di essere regolarizzati dovevano essere conformi a tutta una serie di condizioni. Tra cui quella di avere un lavoro, di risiedere in Svizzera da diversi anni, essere integrati, non avere problemi di indigenza e di non pesare sugli strumenti di assistenza sanitaria e sociale. Criteri restrittivi che non hanno comunque impedito a migliaia di sans papiers di vedere finalmente la luce, di essere considerati cittadini come tutti gli altri.
Ma Ginevra non è l’unico esempio. A Zurigo dove vivono circa diecimila persone senza documenti d’identità opera un’associazione riconosciuta e aiutata dal Comune che non solo si occupa dei sans papiers ma si impegna concretamente per migliorare la loro situazione sociale, sanitaria e giuridica. «Dal 2021 la città si assume i costi dei sans papiers che vengono curati come pazienti ambulatoriali o stazionari negli ospedali di Triemli e Waid», racconta Giuria. Ma non è tutto. Anche la Croce Rossa ha messo a disposizione un proprio laboratorio per permettere alle persone prive di documenti di ricevere cure infermieristiche e mediche gratuite.
Non una cosa di poco conto in una vita, quella degli apolidi, in cui la paura di essere scoperti dalla polizia è costante, senza parlare delle esperienze traumatiche di fuga molte volte vissute o del senso d’inferiorità sempre presente nei confronti di chi gli dà un lavoro e una casa. Se a ciò si aggiunge che la maggioranza dei sans papiers sono donne, molte le mamme che cercano lavoro per sostenere economicamente i figli, ecco che la debolezza può trasformarsi presto in disperazione, angoscia e male di vivere.
I molti ostacoli
«L’estrema vulnerabilità e precarietà dei sans papiers è certamente difficile - spiega la responsabile dell’associazione, che si chiama Sans-Papiers Anlaufstelle Zürich, Bea Schwager - Ci sono un numero enorme di ostacoli che devono essere superati nella vita di tutti i giorni e molte battaglie che devono essere combattute con le autorità, anche nei casi in cui la situazione legale è effettivamente chiara». Inoltre, «a causa del difficile accesso alla giustizia, i migranti privi di documenti difficilmente possono difendersi dallo sfruttamento, dalla violenza, dalle rapine e da altri crimini. Anche la situazione abitativa è difficile», annota Schwager. E se a tutto ciò si aggiunge che «politicamente la situazione è bloccata a livello nazionale e cantonale ed è possibile migliorare la situazione dei migranti privi di documenti solo nelle città più grandi», il quadro che emerge non invita troppo all’ottimismo.
Ecco perché le organizzazioni internazionali che si occupano di diritti umani continuano a insistere affinché la Svizzera sottoscriva la Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie. Una Convenzione approvata dall’Assemblea generale dell’ONU il 18 dicembre 1990 ed entrata in vigore il 1° luglio 2003, che la Svizzera non ha né firmato né ratificato. Ingiustamente, secondo le organizzazioni che si battono per i diritti umani. «Purtroppo la migrazione è un tema che serve per fare politica - annota Giuria - e oggi in Svizzera sulla migrazione c’è una politica di protezionismo portata avanti dai partiti di maggioranza».
La Convenzione e l’iniziativa
Giuria ha la sua idea. Come certi partiti hanno la loro. Secondo il Consiglio federale la sottoscrizione della Convenzione non si giustifica invece perché molti dei diritti garantiti nella parte della convenzione concernente le persone in situazione regolare sono già contemplati da trattati ratificati dalla Svizzera, come ad esempio la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, il Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali e il Patto internazionale relativo ai diritti politici. Detto altrimenti, introducendo diritti che vanno oltre i diritti dell’uomo - è il parere di Berna - la convenzione potrebbe favorire un aumento del numero di lavoratori migranti clandestini nonostante le misure previste per arginare la migrazione illegale.
Nel frattempo chi si batte per più diritti non è rimasto con le mani in mano. Con una raccolta firme lanciata lo scorso aprile si intende riuscire a portare avanti un’iniziativa popolare federale, chiamata «Per un diritto di cittadinanza moderno (Iniziativa per la democrazia)», con la quale si intende modificare la Costituzione federale, offrendo agli stranieri la possibilità di ottenere la cittadinanza svizzera se soggiornano legalmente in Svizzera da cinque anni, non sono stati condannati a una pena detentiva di lunga durata, non compromettono la sicurezza interna ed esterna della Svizzera e hanno conoscenze di base di una lingua nazionale.