Il caso

L'ex dipendente che ha chiesto un milione al Cantone

E ne ha ottenuti solo 50mila, come risarcimento per essere stato licenziato dallo IAS nel 2013 – La sentenza è arrivata dopo oltre 10 anni
© CdT / Chiara Zocchetti
Andrea Stern
Andrea Stern
15.09.2024 12:30

Chiedeva un milione di franchi ma dovrà accontentarsi di poco più di 50.000 franchi, un ex dipendente cantonale che era stato licenziato ingiustificatamente nel 2013. Il suo legale, l’avvocato Carlo Postizzi, ha tentato invano di far valere una precedente sentenza del Tribunale federale che avrebbe potuto in teoria permettere all’ex dipendente cantonale di ottenere tutti i salari che gli sarebbero spettati fino al pensionamento. Ma l’Alta corte è entrata solo in parte nel merito del ricorso, finendo per confermare il rifiuto già espresso su territorio ticinese.

«Sono molto deluso - commenta l’avvocato Postizzi -. La giustizia ha impiegato oltre dieci anni per chiudere un caso, per altro in maniera superficiale. Non è di certo la prima volta. Ma qui stiamo parlando di un uomo a cui è stato tolto il futuro».

Il licenziamento dopo 16 anni

L’ex dipendente cantonale in questione, oggi quasi cinquantenne, lavorava per l’Istituto delle assicurazioni sociali (IAS). Era stato assunto come ausiliario nel 1997, prima di essere nominato funzionario nel 2008. Per diversi anni tutto era filato liscio. Ma poi i rapporti tra le parti avevano iniziato a deteriorarsi, secondo l’avvocato Postizzi a seguito dell’avvento di una nuova capo ufficio che avrebbe mostrato particolare ostilità nei confronti del dipendente in questione.

Motivi «risibili» e ingiustificati

«Per due anni consecutivi gli sono stati negati gli avanzamenti sulla scala salariale, che in precedenza gli erano sempre stati concessi - spiega l’avvocato -. I motivi addotti erano, a mio modo di vedere, piuttosto risibili. Per esempio, gli veniva rimproverato di fare la pausa pranzo sempre allo stesso orario, ciò che avrebbe dimostrato un maggior attaccamento alla vita privata rispetto alle esigenze della vita lavorativa. Ricordo anche che venne mandato a fare un corso di recupero insieme agli apprendisti, a seguito di alcuni piccoli errori nell’evasione delle pratiche».

Erano i presagi di un licenziamento che venne prospettato nel giugno 2013 e poi concretizzato nel seguente mese di ottobre. Il dipendente in questione - ormai ex dipendente - chiese il reintegro nella sua funzione, che non gli fu concesso poiché il diritto cantonale ticinese non prevede questa possibilità. Provò allora a contestare i motivi del licenziamento e dopo un lungo batti e ribatti fra istanze giuridiche ottenne finalmente ragione. Nel 2018 il Tribunale amministrativo cantonale, cui il dossier era stato rimandato indietro dal Tribunale federale, sancì il carattere ingiustificato della disdetta del rapporto d’impiego.

Il tempo dei risarcimenti

Quella decisione apriva le porte a una richiesta di risarcimento. L’ex dipendente cantonale provò dapprima a chiedere il reintegro nella sua funzione ma quando il Consiglio di Stato gli propose quale unica via d’uscita un’indennità d’uscita e per ingiusto licenziamento di poco superiore ai 50.000 franchi, egli decise di sfoderare l’artiglieria pesante.

«Bisogna considerare che dopo il licenziamento il mio assistito ha sofferto di seri problemi di salute, per i quali gli è stata riconosciuta una rendita d’invalidità - riprende l’avvocato Postizzi -. Quindi siamo di fronte a un caso in cui la lesione della personalità va oltre il carattere ingiustificato del licenziamento e produce una perdita di guadagno. In un caso simile, che fa giurisprudenza, il Tribunale federale ha riconosciuto a una donna licenziata dalla Confederazione e tutti i salari che avrebbe potuto percepire nel caso in cui il licenziamento non l’avesse fatta piombare in malattia. Ed è quello che abbiamo chiesto anche noi».

Oltre un milione di mancati guadagni

In totale fanno 1.133.937,30 franchi, ovvero ciò che l’ex dipendente cantonale avrebbe potuto guadagnare fino all’età della pensione, dedotte le rendite dell’assicurazione invalidità. La richiesta si basava sul presupposto che la responsabilità di tutti i suoi problemi di salute fosse attribuibile allo Stato, in quanto autore della disdetta del rapporto d’impiego. Ma questa tesi non è stata avallata né dal Consiglio di Stato né dalle successive istanze pronunciatesi in merito.

«La pretura non ha capito bene la portata di questo approdo giurisprudenziale del Tribunale federale - commenta l’avvocato Postizzi -, mentre il Tribunale d’appello non è entrato nel merito delle nostre sette censure, facendo così un diniego di giustizia. Il Tribunale federale, infine, non ha potuto valutare appieno il caso visto che si può esprimere solo sulla decisione dell’istanza precedente, quindi il Tribunale d’appello che non ha esaminato le nostre censure, e non della pretura».

Caso definitivamente chiuso

La sostanza è che, con la sua recente sentenza, il Tribunale federale ha definitivamente chiuso un caso iniziato oltre dieci anni fa. «Quando io ero pretore a Bellinzona - punzecchia l’avvocato Postizzi -, le sentenze le facevo in dieci giorni».

Ma ancor più che per la tempistica, il legale è deluso per la presunta approssimazione con cui la giustizia avrebbe trattato la causa. «Era un caso interessante perché avrebbe aperto delle possibilità a tutte le persone che si ammalano a causa di un licenziamento ingiustificato - osserva -. Purtroppo non possiamo fare altro che accettare il verdetto. Ma dispiace molto, in primo luogo per il mio assistito, un uomo cui è stato tolto il futuro».

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