L'imam di Lugano ha il passaporto (ma non basta)
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La moschea di Viganello si svuota dopo la preghiera di mezzogiorno (al Dohr) e Radouan Jelassi in un angolo beve té al cardamomo - «ottimo d’inverno» - mentre i fedeli rimettono le scarpe: saluti, strette di mano.
«Al-Salam Alaikum»
La pace sia con voi. Ma l’imam di Lugano non trova pace da giorni e, se non fosse scalzo, vorrebbe togliersi diversi «sassolini dalla scarpa». Sabato - ieri per chi legge - doveva recarsi a Bienne (BE) per partecipare a una grande conferenza in vista del mese di Ramadan e parlare davanti a una platea di circa mille persone. L’evento è finito al centro di una polemica a seguito di un articolo del SonntagsBlick, che definiva «controversi» alcuni relatori tra cui proprio lui, Jelassi.
La conferenza è stata annullata dalla Città di Bienne che è proprietaria del centro congressi (Kongresshaus) affittato dagli organizzatori dell’evento. Jelassi è un uomo cordiale e abituato alle polemiche: all’inizio la prende con ironia e sorridente condiscendenza araba - sarà il profumo del cardamomo - ricordando le passate disavventure con i giornalisti in Ticino («la conferenza stampa all’albergo Pestalozzi, ricordate?»). Poi il té finisce e d’improvviso si fa serio. È evidente che la vicenda lo ha segnato, riaprendo una ferita mai rimarginata.
Il passaporto
La storia ritornata a galla a Bienne è abbastanza nota inTicino: riguarda la procedura di naturalizzazione avviata a Lugano nel 2013 da Jelassi - di origini tunisine ma già cittadino francese - e bloccata dalla SEM per un presunto «rischio per la sicurezza interna ed esterna» segnalato dal Servizio delle attività informative della Confederazione (SIC). Il preavviso negativo - basato su sospetti di contatti con non meglio precisati militanti islamici, poi rivelatisi infondati - aveva annullato la naturalizzazione che aveva già avuto il via libera dal Consiglio Comunale di Lugano.
«È stata un’odissea che mi ha segnato nello spirito e nel corpo» rievoca l’imam. «Ho denunciato l’ingiustizia subita, e i funzionari che l’hanno perpetrata. Ne è seguita una causa legale e il Tribunale Federale ha sancito la verità e l’infondatezza delle informazioni infamanti di cui sono stato vittima: non ho mai avuto legami con l’estremismo, promuovo da sempre un Islam moderato e tollerante. Eppure ancora oggi, dopo una lunga battaglia per la verità, mi ritrovo a fare i conti con un pregiudizio duro a morire».
Jelassi tira fuori da sotto la tunica rituale (dishdasha) il passaporto rosso. Porta la data del febbraio 2023, ma è comunque una mezza notizia. Il fatto che l’imam abbia infine ottenuto la cittadinanza elvetica non ha fatto scalpore come quando gli è stata negata («avete per caso visto titoli di giornale?» chiede ironico) ma per lui rappresenta comunque una grande conquista non solo personale. «Per me questo è il simbolo della vittoria della giustizia, e dello stato di diritto che vige in Svizzera. Per fortuna, viviamo in un paese che ha il coraggio di verificare quando un funzionario sbaglia e correggersi. Ma è anche un paese dove purtroppo l’islamofobia è sempre più diffusa e lo dimostra quest’ultimo episodio».
Il passo indietro
La storia per certi versi si ripete. Il Municipio di Bienne ha cancellato il congresso dopo che il contratto era già stato firmato, avanzando motivazioni di sicurezza («la sicurezza dell’evento non può essere garantita»). Oltre a Jelassi i nomi dei predicatori comparsi sui media sono quelli dei tedeschi Ferid Heider e Mohamed Matar, che hanno preso le distanze dai Fratelli Musulmani (organizzazione politica considerata terroristica in diversi paesi arabi) e del pakistano Shoaib Hussain, un influencer musulmano molto seguito in Europa. «Si trattava di un evento esclusivamente religioso e per niente politico, che in quanto tale era stato autorizzato in precedenza senza problemi dalla città» sottolinea Jelassi. «È proprio questo, assieme alle motivazioni della cancellazione, che mi sconvolge».
L’imam si rigira tra le mani il passaporto mentre, seduto su una sedia, si lancia in una predica pacata ma vibrante nella moschea ormai vuota. Solo un fedele, seduto con la schiena contro una colonna, ascolta in silenzio e annuisce. «Questa vicenda ancora una volta ci porta a porre delle domande: fino a quando noi musulmani della Svizzera saremo trattati da cittadini di seconda categoria, e la nostra religione sarà utilizzata come bersaglio polemico a scopi politici?» ragiona. «I musulmani pagano le imposte e lavorano per il bene e lo sviluppo del paese, rispettano le leggi e le libertà degli altri ma non sempre sono rispettati, come in questo caso, e non lo è nemmeno la loro libertà di culto prevista dalla costituzione svizzera».
«Non finisce qui»
Ai margini della sala delle preghiere ci sono delle scatole per le donazioni. A un muro sono appesi i certificati della solidarietà indirizzata dalla Lega dei musulmani in Ticino a varie cause benefiche. La moschea di Viganello è solo la più famosa delle cinque presenti nel nostro cantone - tre nel Luganese - e frequentate da una comunità numerosa: secondo gli ultimi dati diffusi a gennaio dall’USTAT, in Ticino i musulmani erano 6.834 nel 2023, con una stabile tendenza all’aumento da anni (erano 5.934 nel 2013).
«Il problema è che la nostra comunità non ha voce e spesso subisce in silenzio le narrazioni distorte che vengono fatte da altri, mass media in primis» prosegue Jelassi, che si dice determinato a perseguire nelle sedi legali «chiunque continui a perpetrare i falsi pregiudizi di cui anche io sono stato e continuo a essere vittima. Sono stufo di essere malgiudicato. Ho già sofferto abbastanza».
Laureato in diritto e teologia, specializzato in scienze della comunicazione e già attivo a livello accademico in Ticino e in diverse commissioni federali, Jelassi racconta di avere subito «un pesante danno professionale» dalla vicenda finita all’epoca sui media e denunciata da lui stesso, con l’avvocato Paolo Bernasconi. Oltre alla perdita economico-professionale, il 56.enne ha avuto anche «pesanti problemi di salute» ma «evidentemente tutto questo non è bastato» conclude con tristezza. «Il musulmano deve passare la vita a convincere gli altri che non è una minaccia e che è innocente. Io mi chiedo: perché?».