Il caso

L'incredibile URC

La storia di Anna, barista e mamma, che si scontra con gli Uffici regionali di collocamento – «Sistema da riformare»
© CdT / Chiara Zocchetti
Andrea Bertagni
Andrea Bertagni
30.06.2024 06:00

Che qualcosa non va lo ha segnalato anche il Tribunale cantonale delle assicurazioni. A più riprese. Eppure, Anna (nome di fantasia, quello vero è conosciuto dalla redazione) sta ancora aspettando. Sta ancora aspettando giustizia. È il 2021 quando Anna si iscrive in disoccupazione. Non ha un diploma se non quello di un liceo artistico e per una quindicina d’anni ha lavorato come barista e cameriera. Anna è anche mamma di un figlio piccolo e perciò capisce subito che la sua strada è quella di riqualificarsi professionalmente. Perché le aziende del suo settore, quello dell’alloggio e della ristorazione, cercano soprattutto personale in grado di lavorare nei turni serali o con turni spezzati. Condizioni che non si confanno al suo essere madre. Anna però non demorde. Segue comunque un corso nella ristorazione consigliatole dall’Ufficio regionale di collocamento (URC). Lo segue e anche con profitto. Poi, un giorno vede finalmente la luce. Vede un futuro. Capisce che può diplomarsi come assistente dentale. Cambiare vita. Finalmente. Sembra il realizzarsi di un sogno. E in parte è così perché alla fine Anna non si lascia sfuggire la possibilità. Rientrare nel mondo del lavoro con un’attività che le permetta di conciliare lavoro e figli, la famiglia. Peccato che non va tutto come dovrebbe.

«Serve una revisione del sistema»

Anna incontra le opposizioni dell’Ufficio regionale di collocamento (URC). Che non solo non l’ha informata come avrebbe dovuto della possibilità di cambiare lavoro ma continua anche a rifiutarsi attraverso l’Ufficio delle misure attive di pagarle gli assegni di formazione. Che invece le spetterebbero. A segnalarlo, anzi, a scriverlo nero su bianco nella sua ultima sentenza, fotocopia della precedente, è pochi mesi fa il Tribunale cantonale delle assicurazioni. Sono passati anni e Anna sta ancora attendendo. Perché il caso si trascina ormai da tempo. Tra sentenze, opposizioni, ricorsi, repliche, dupliche e chi più ne ha più ne metta.

Quello di Anna è soltanto un esempio. Uno di molti. Perché che qualcosa non va come dovrebbe nel sistema del ricollocamento dei disoccupati da parte dello Stato è convinto anche Tiziano Galeazzi, deputato UDC in Gran Consiglio. Galeazzi a più riprese ha portato gli Uffici regionali di collocamento in Parlamento. Uffici che lui stesso ha conosciuto avendoci lavorato per tre anni a fine anni ‘80. «So di cosa parlo - sottolinea -. Inoltre, nel corso degli anni ho parlato anche con diverse persone che sono passate dagli URC e mi hanno raccontato la loro esperienza negativa. In questi uffici oggi c’è troppa burocrazia. Inoltre, sembrano impegnati più far fare corsi ai disoccupati che a inserirli di nuovo sul mercato del lavoro. Serve insomma una revisione del sistema».

«Corsi inutili»

Galeazzi è un fiume in piena. «A volte gli URC sembrano fare opposizione al ricollocamento dei disoccupati. Eppure, il loro mandato è chiaro. Devono trovare un posto di lavoro a chi non lo ha. Invece sembrano più abituati a penalizzare le persone e a obbligarle a farle fare dei corsi inutili. Corsi creati ad hoc per far arricchire determinate imprese e organizzazioni». Per il deputato dell'UDC insomma è chiaro. «C’è un problema e va rivista tutta l’operatività degli Uffici regionali di collocamento». Anche perché, continua, la loro missione non è più compatibile con la società di oggi. «Prendiamo ad esempio il «servizio aziende URC» che sulla carta dovrebbe aiutare le imprese a trovare la manodopera disoccupata che hanno bisogno. Quanti di questi collocatori vanno realmente sul terreno? Quanti conoscono davvero le differenti realità imprenditoriali del Canton Ticino? Queste sono solo alcune delle molte domande che ho già fatto attraverso numerosi atti parlamentari senza però mai ricevere una vera risposta esauriente».

«Ecco come andrebbe cambiato il modello»

Galeazzi non è il solo a nutrire dubbi in Parlamento. Anche Amalia Mirante, deputata in Gran Consiglio per Avanti con Ticino&Lavoro, è del parere che il sistema vada riformato. Ecco perché un mese fa ha preparato tutta una serie di mozioni. «Non voglio condannare gli Uffici regionali di collocamento, ma suggerire delle proposte per migliorarli, per avvicinarli a quello che dovrebbero essere. Perché oggi, spiace dirlo, ma funzionano meglio le agenzie interinali di collocamento». Da qui tutta una serie di richieste. Meglio, suggerimenti, come li chiama Mirante, secondo la quale sarebbe necessario iniziare a investire di più in un settore considerato centrale. E questo per tutta una serie di ragioni.

La principale è che «nonostante il Prodotto interno lordo pro-capite cantonale (cioè dei residenti) sia fra i più elevati in Svizzera, i dati relativi ai salari e alla disoccupazione risultano ancora essere fra i più deboli all’interno della Confederazione». Ma non solo. «Se si prendono i dati sulla sottoccupazione - aggiunge la deputata nei suoi atti parlamentari - la necessità di svolgere più lavori contemporaneamente, il tasso di rischio di povertà, il ricorso all’aiuto sociale, la difficoltà di rientrare nel mondo del lavoro e tanti altri ancora, il Cantone Ticino emerge come un cantone in sofferenza». Da qui la necessità di «ristabilire un dialogo sano tra aziende, Stato e cittadini per superare le difficoltà legate al mondo del lavoro e consentire anche al Ticino di essere a tutti gli effetti un cantone svizzero. Questo consentirà di alleviare il fenomeno dell’obbligo per i giovani di emigrare oltre Gottardo, ma anche quello delle persone in pensione che non riescono a vivere coi loro risparmi. Come abbiamo sempre sostenuto, le persone hanno tutto il diritto di nascere, formarsi, lavorare e creare una famiglia nel loro Cantone».

Di fronte a un quadro del genere, Mirante ne è persuasa, serve insomma cambiare marcia. «In particolare, crediamo che gli Uffici regionali di collocamento debbano cambiare attitudine comportandosi sempre più come Uffici regionali di consulenza». Anche se questo non è sufficiente. Per Mirante è anche «necessaria la creazione di Uffici cantonali di reinserimento professionale» e in aggiunta si ritiene «che i servizi pubblici in questione, dovrebbero evolvere dal punto di vista digitale cercando di convogliare maggiormente le proprie forze nel garantire ai datori di lavoro e alle aziende che vogliono reperire personale residente una risposta celere, mirata e qualitativa». Nel quadro della digitalizzazione questo processo «dev’essere in continuo sviluppo e rendere il lavoro dei dipendenti degli uffici preposti ancora più concreto dal punto di vista del collocamento dei disoccupati e degli iscritti all’assistenza».

Tra critiche e ultimi casi

Che qualcosa vada sistemato, al di là dei casi «difficili» che in una massa di 4mila persone (dato di maggio) sono quasi fisiologici, è da tempo che se ne parla in Ticino. Galeazzi e Mirante non sono insomma gli unici politici a sollevare il tema e a proporre e a chiedere correttivi. Anzi, si può dire che quasi regolarmente gli URC finiscono sotto l’obiettivo. Segno che il malcontento è diffuso. O perlomeno continua a suscitare discussioni, interrogativi, prese di posizione.

L’ultimo caso in ordine di tempo è stato pubblicato proprio da La Domenica lo scorso febbraio. Riguardava un 63enne con alle spalle 40 anni di lavoro in un’azienda del Mendrisiotto finito suo malgrado in disoccupazione. Che tra un appuntamento e un altro, burocrazia, fogli e file da inoltrare e prova degli sforzi personali per trovare un impiego si era ritrovato a dover frequentare un corso che prometteva un curriculum vitae perfetto. A 63 anni. Quasi uno scherzo del destino ma tremendamente vero. Perché l’uomo fino a oggi non ha ritrovato ancora un impiego e aspetterà la pensione per tornare a essere tranquillo.

Nel frattempo, Anna e la sua famiglia sono sfiniti. Perché un’occasione di reinserimento professionale, che si è potuta avverare con un nuovo percorso di formazione si è trasformata in una lunga ed estenuante battaglia legale. Non proprio il massimo per chi è stato disoccupato e per chi avrebbe dovuto aiutarlo a tornare nel mondo del lavoro, ma invece, almeno dal punto di vista legale, si è messo di traverso.

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