L'analisi

L'intelligence ai tempi di Trump

L'uragano Trump punta impetuoso sull’establishment americano e spinge in alto interrogativi sulla sicurezza – Ci si potrà fidare di chi prende a pesci in faccia gli alleati e fa l’amicone di Vladimir Putin?
Guido Olimpio
02.03.2025 06:00

L'uragano Trump punta impetuoso sull’establishment americano e spinge in alto interrogativi sulla sicurezza. Ci si potrà fidare di chi prende a pesci in faccia gli alleati e fa l’amicone di Vladimir Putin? Il punto interrogativo non è un’esagerazione ma il riflesso delle mosse compiute dalla nuova amministrazione Usa. E questo ci porta ad esaminare alcuni personaggi scelti per incarichi delicati. La direzione dell’intelligence, il dipartimento che sovraintende le 19 agenzie del settore, è stato consegnato nelle mani di Tulsi Gabbard. Ex democratica, passata nelle file repubblicane, affascinata dal regime siriano di Assad con cui ha mantenuto rapporti, ha spesso portato avanti le tesi del Cremlino. Quali garanzie offre?

I dubbi non sono nuovi, persino nel suo nuovo partito c’erano state perplessità abbandonate in ossequio agli ordini del «boss». L’FBI, invece, sarà guidata da Kash Patel, ex procuratore dal dente avvelenato con gli avversari di The Donald. Ha promesso vendetta, vuole usare il Bureau contro cartelli e immigrazione clandestina, ha iniziato a «purgare» gli uffici da chi ritiene non sia fedele. Il suo vice, Dan Bongino, è un ex poliziotto passato poi nel Secret Service (faceva la scorta ai presidenti) ma negli ultimi anni la sua occupazione è stata quella di responsabile di un podcast schierato su posizioni di ultrà-destra. Un complottista no vax, con esperienza minima nel gestire una macchina poderosa chiamata a fronteggiare «talpe» di ogni colore e terroristi in un panorama globale quanto mai instabile.

Nella prime settimane di governo il team presidenziale si è preoccupato di fare tagli al personale con l’obiettivo di ridurre la burocrazia, combattere il lassismo, contenere i costi. Problemi noti, da risolvere, ma che possono diventare il pretesto per eliminare voci di dissenso. La ramazza ha avuto esiti inattesi. La Cia ha inviato con una mail alla Casa Bianca un elenco con nome di battesimo e iniziale del cognome di agenti, assunti da due anni, che potevano essere candidati al licenziamento. Questo per rispondere alle sollecitazioni perentorie inviate dal DOGE, l’ente comandato da Elon Musk che ha assunto la funzione di tagliatore di teste. Ora è stata aperta un’inchiesta interna per capire se la lista ha compromesso la protezione di funzionari, ruoli e altri aspetti delicati. Di certo c’è qualche occhio indiscreto alla ricerca di dettagli.

Usare la scure per sfoltire i ranghi, attuare la decimazione, regnare con la paura non rappresenta il miglior approccio per mantenere la compattezza dei ranghi. La storia dello spionaggio è ricca di tradimenti provocati dall’insoddisfazione sul posto di lavoro, dal mobbing, dal sentirsi poco valorizzati o persino penalizzati. Lasciando per strada migliaia di uomini e donne, senza stipendio e copertura sanitaria, c’è il rischio che qualcuno mediti la propria rappresaglia personale o sia agganciato da un salvatore (straniero) che gli offre aiuto. Infatti, qualche specialista ha messo in guardia: alcuni possono collaborare con entità nemiche. Sono scenari estremi, probabilmente eccessivi, però l’esperienza consiglia il «mai dire mai» in un ambiente dove debolezze, necessità economiche urgenti - tipo cure sanitarie o mutui da onorare - diventano ganci formidabili per i reclutatori.

Ben più allarmante, nel quadro strategico, la spaccatura con gli alleati Nato. Alcuni paesi, come i Baltici o la Polonia, hanno ottime informazioni sulle intenzioni e manovre del Cremlino. Le ricavano da osservazioni dirette sul campo, conoscono bene il loro «cliente», hanno sperimentato i suoi metodi. Il Financial Times ha scritto che gli Usa potrebbero escludere il Canada dai Five Eyes, il patto che mette insieme i servizi americani, canadesi, britannici, australiani e neozelandesi. Una ritorsione per la guerra dei dazi. Storia subito smentita da Washington ma che è segno di tempesta.

Del resto, cosa devono pensare nell’alleanza quando Trump tesse le lodi del leader russo, si dice pronto a stringere accordi economici, rifiuta di condannare l’invasione dell’Ucraina? Gli confidereste dei segreti temendo che, per i suoi giochi «commerciali», li spifferi a qualcuno?

Non siamo certo ingenui. Sappiamo bene che nel mondo delle ombre le amicizie sono sempre state parziali ma con l’avvento di Trump ne esistono ancora meno.

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